La Suprema Corte conferma che il “giusto prezzo” di cui all’art. 586 c.p.c. non può essere legato a valori di mercato
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III, ord. 12 febbraio 2024, n. 3887, Pres. Rubino, Est. Rossi
Esecuzione forzata – espropriazione immobiliare – aggiudicazione – giusto prezzo (Cod. Proc. Civ. Art. 586 – art. 108 L.F.)
[I] “Il ‘giusto prezzo’ cui fa riferimento l’art. 586 cod. proc. civ. è un concetto non economico, correlato cioè al valore venale o al miglior risultato di collocazione dell’immobile conseguibile in base ai parametri di mercato, bensì giuridico: esso designa l’esito ottenuto da una sequenza procedimentale della fase liquidatoria svolta in maniera conforme alle regole che la presidiano, ovvero in assenza di fattori devianti o interferenze illegittime incidenti sulla formazione del prezzo” (massima redazionale)
[II] “Nemmeno nel contesto concorsuale il riferimento alle ‘condizioni di mercato’ come parametro di ‘giustezza’ del prezzo va inteso come biunivoca correlazione al prezzo di mercato” (massima redazionale)
CASO
Una società sottopone ad esecuzione forzata l’immobile di un privato e, in esito alla procedura, esperiti numerosi infruttuosi tentativi di vendita con ripetuti ribassi, l’immobile viene aggiudicato ad un prezzo notevolmente inferiore all’iniziale valore di stima.
Contro il provvedimento di trasferimento del bene all’aggiudicatario il debitore espropriato propone opposizione agli atti esecutivi sostenendo “l’ingiustizia del prezzo di aggiudicazione, notevolmente inferiore a quello corretto tenuto conto delle condizioni di mercato”.
Il giudice di primo grado rigetta l’opposizione e il debitore esecutato ricorre allora per cassazione con un unico motivo, volto a sostenere la violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c. e dell’art. 108 della Legge fallimentare (il R.D. 267/1942, applicabile alla fattispecie ratione temporis), poiché, dice il ricorrente, “il giusto prezzo” – previsto dall’art. 586 c.p.c. come parametro per l’esercizio del potere di sospensione dell’esecuzione (ostativo all’emissione del decreto di trasferimento) – va rapportato al valore corrente di mercato del bene staggito, alla stregua di quanto stabilito nell’ambito delle procedure concorsuali dall’art. 108 L.F.: da ciò inferisce la notevole inferiorità del prezzo di aggiudicazione conseguito nella specie (euro 345.000), ribassato di oltre il 70% rispetto al valore di stima (euro 1.282.500)”.
Il ricorrente, inoltre, “ove confermata l’interpretazione seguita dal giudice di merito, prospetta questione di legittimità costituzionale dell’art. 586 cod. proc. civ., per contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di buona gestione dell’amministrazione della giustizia (art. 98 Cost.), di parità di trattamento delle parti del processo (art. 111 Cost.)”.
SOLUZIONE
La Suprema Corte rigetta innanzitutto l’unico motivo di ricorso incidentale del creditore procedente, motivo logicamente preliminari rispetto al detto motivo di ricorso principale, e così disattende l’eccezione di inammissibilità dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. spiegata dal debitore esecutato avverso il decreto di trasferimento “per essere le questioni dedotte dall’opponente relative a ‘adempimenti e provvedimenti precedenti il decreto di trasferimento’”, ritenendo che l’opposizione de qua non avrebbe potuto essere promossa contro provvedimenti anteriori al provvedimento di trasferimento, poiché “l’evenienza allegata (ed il correlato vizio) è invero riscontrabile soltanto in rapporto all’esito positivo dell’esperimento di vendita (cioè a dire, in rapporto al quantum dell’aggiudicazione), ben potendo il prezzo a base dell’asta stabilito con l’ordinanza di vendita subire incrementi (anche considerevoli) per l’effetto della gara tra gli offerenti”.
Ciò chiarito sulla tempestività del rimedio esperito dal debitore espropriato, la Corte passa quindi alla valutazione del motivo di ricorso principale, che ritiene infondato, come pure infondata viene poi ritenuta la questione di costituzionalità in subordine formulata.
In merito al ‘giusto prezzo’ cui fa riferimento l’art. 586 c.p.c. la Corte richiama alcuni principi ormai consolidati: innanzitutto, quello, già affermato sin da Cass. 18451/2015, in base al quale “il potere di sospendere la vendita, attribuito dall’art. 586 c.p.c. (nel testo novellato dall’art. 19 bis della legge n. 203 del 1991) al giudice dell’esecuzione dopo l’aggiudicazione perché il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto, può essere esercitato allorquando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all’aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del giudice dell’esecuzione”; e quello, pure consolidato, e già affermato da Cass. 11116/2020, secondo il quale “non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, idoneo a fondare la sospensione prevista dall’art. 586 c.p.c., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, né si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura elaborati dalla giurisprudenza, tra cui non si possono annoverare l’andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare”.
Si tratta, dice la Corte, “di una lettura ermeneutica costantemente ribadita in numerosi successivi arresti giurisprudenziali di legittimità, mai posta in discussione o contraddetta, sì da integrare vero e proprio diritto vivente”.
Da qui, la correttezza della pronuncia di prime cure, che si è attenuta a questi principi, e l’affermazione che “il ‘giusto prezzo’ cui fa riferimento l’art. 586 cod. proc. civ. è un concetto non economico, correlato cioè al valore venale o al miglior risultato di collocazione dell’immobile conseguibile in base ai parametri di mercato, bensì giuridico: esso designa l’esito ottenuto da una sequenza procedimentale della fase liquidatoria svolta in maniera conforme alle regole che la presidiano, ovvero in assenza di fattori devianti o interferenze illegittime incidenti sulla formazione del prezzo”.
Dopo di che, la Corte passa ad analizzare i rapporti tra l’art. 586 c.p.c. e l’art. 108 L.F. nella correlazione invocata dal ricorrente, chiaramente concludendo che “non è conforme a diritto l’applicazione analogica all’espropriazione singolare della norma (ratione temporis applicabile) dettata dall’art. 108 l.fall. per la procedura concorsuale”, muovendo questa tesi, dice sempre la Corte, da un presupposto errato: “la omologia, strutturale e funzionale, della fase liquidativa nell’esecuzione singolare ed in quella collettiva”, quando invece le due procedure hanno profonde differenze. Innanzitutto, evidenzia la Cassazione, mentre “nella espropriazione individuale la vendita del compendio staggito segue un subprocedimento rigorosamente predeterminato dalle norme codicistiche … nel quale al giudice dell’esecuzione sono riservati spazi di discrezionalità circoscritti … nelle procedure concorsuali la discrezionalità degli organi direttivi, espressa con il programma di liquidazione, concerne addirittura la tecnica di vendita”. Inoltre, prosegue la Corte, differente è anche il regime della sospensione dell’aggiudicazione, che nella espropriazione singolare spetta al giudice mentre nelle procedure concorsuali ha un regime “composito”, perché il potere giudiziale è subordinato ad un’istanza del fallito, dl comitato dei creditori, del curatore o di terzi interessati.
Pertanto, conclude la Corte sul punto, se lo scopo dell’art. 586 c.p.c. e dell’art. 108 L.F. “appare identico”, si deve evidenziare che “nemmeno nel contesto concorsuale il riferimento alle ‘condizioni di mercato’ come parametro di ‘giustezza’ del prezzo è stato inteso dalla giurisprudenza di nomofilachia come biunivoca correlazione al prezzo di mercato”.
Infine, richiamando tutto quanto sopra esposto, la Suprema Corte ritiene palese “la manifesta infondatezza … della questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente principale, in ogni caso dovendosi ascrivere la disomogeneità di regolamentazione tra espropriazioni individuali e collettive non a vulnus del principio di ragionevolezza bensì a opzione del legislatore, estrinsecazione della sua ontologica discrezionalità e coerente con le diversità, sotto plurimi profili, delle due tipologie di procedure”.
QUESTIONI
Come noto, l’art, 586 c.p.c. prevede che “il giudice può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore al prezzo giusto”.
Si tratta, all’evidenza, di un concetto, quello del “prezzo giusto”, non altrimenti precisato dalla norma e che, quindi, ha reso necessario l’intervento degli interpreti e della giurisprudenza per essere sostanziato.
La Corte della nomofilachia, come visto, ha sul punto raggiunto posizioni ormai consolidate ed esplicitamente assurte a diritto vivente: da un lato, come visto, l’’ingiustizia’ del prezzo ottenuto in esito alle operazioni di vendita è legato a situazioni patologiche (impropri e perturbativi interventi esterni o dolosi, come ad esempio interferenze illecite di natura criminale o prezzo di stima determinato in modo infedele) o a fatti sopravvenuti; dall’altro lato, il ‘prezzo commerciale’ del bene ha scarso o nullo rilievo, essendo ininfluente, ad esempio, anche l’andamento di crisi del mercato immobiliare (su questi temi, si vedano gli interessanti interventi su questa piattaforma di P. Cagliari a commento di Cass. 11116/2020, “I plurimi ribassi al prezzo base d’asta non bastano per la sospensione della vendita e l’estinzione anticipata del processo esecutivo”, edizione 8 settembre 2020, e di V. Scappini a commento di Cass. 2224/2023. “La crisi del mercato immobiliare non fonda la sospensione della vendita forzata ex art, 586 c.p.c. per prezzo ingiusto”, edizione 7 marzo 2023).
In questa occasione la Corte coglie l’occasione per precisare che questa interpretazione deve valere anche per le procedure concorsuali.
Per queste procedure, infatti, l’art. 108 L.F. (ove ancora applicabile ratione temporis) prevede un’omologa possibilità di sospensione dell’aggiudicazione del bene venduto o, meglio, la possibilità, su istanza, di “impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato”.
Similmente, l’art. 217 del vigente Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D. Lgs. 14/2019) prevede che con la stessa procedura si possa impedire la vendita “quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello ritenuto congruo”, però aggiungendo che “se il prezzo offerto è inferiore, rispetto a quello indicato nell’ordinanza di vendita, in misura non superiore a un quarto, il giudice delegato può impedire il perfezionamento della vendita in presenza di concreti elementi idonei a dimostrare che un nuovo esperimento di vendita può consentire, con elevato grado di probabilità, il conseguimento di un prezzo perlomeno pari a quello stabilito”.
Ora, l’introduzione di disposizioni di questa natura – così come l’introduzione della previsione, nell’art. 532 c.p.c., di una chiusura anticipata della espropriazione mobiliare o la previsione dell’art. 164 bis c.p.c. precipuamente dedicato alla chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità dell’espropriazione, così come la previsione dell’art. 102 L.F. e il suo omologo art. 209 CCII, sulla chiusura della procedura concorsuale nella prospettiva di insufficiente realizzo – mirano ad evitare che proseguano, con aggravio di costi a carico del creditore procedente e/o dello Stato, procedure di fatto inutili a soddisfare i crediti per le quali sono state instaurate o idonee a soddisfarli in modo inadeguato.
E’ quindi questo un parametro di riferimento: la possibilità che il prezzo di aggiudicazione, per quanto notevolmente ribassato rispetto al valore iniziale di stima, sia idoneo a dare una non irrisoria soddisfazione ai creditori coinvolti nella procedura.
La Suprema Corte, nella ordinanza in commento, non fa però riferimento a questa ratio ma, richiamando plurimi precedenti in termini, sostanzia il concetto di “congruità” o “giustezza” del prezzo di aggiudicazione al fatto che la procedura si sia svolta nel rispetto della legge, perché tale è la verifica del fatto che sulla procedura non vi siano state illecite influenze o che essa si sia fondata su tutti dati necessari (conosciuti e conoscibili).
Nessun rilievo viene dato al parametro del prezzo commerciale e ciò neppure a fronte di una norma come l’art. 108 L.F. che a tale parametro fa anche esplicito riferimento.
Questa totale obliterazione del valore commerciale non manca di trovare opinioni discordanti tra i giudici di merito. Di particolare interesse, ad esempio, è la pronuncia del 1° febbraio 2023 del Tribunale di Lecco, secondo la quale “la norma contenuta nell’art. 586 c.p.c., al pari di quelle contenute nell’art. 108 L.F. e oggi nell’art. 217 CCII, non richiede al giudice di valutare come si sia arrivati al prezzo di aggiudicazione ma impone di verificare se il prezzo raggiunto all’esito della procedura di vendita sia notevolmente inferiore al “giusto prezzo” del bene al momento dell’aggiudicazione, inteso come valore di mercato del bene”.
Il Tribunale lecchese fornisce infatti una interessante (e a nostro sommesso avviso condivisibile) motivazione, nella quale si argomenta come la valutazione de qua “non possa avvenire facendo riferimento al solo fatto che il prezzo ottenuto sia il risultato della procedura competitiva, sia essa avvenuta attraverso uno, alcuni o numerosi tentativi, perché una simile interpretazione della norma finirebbe per abrogarne la portata”, poiché “l’accertamento da parte del giudice del come si sia arrivati al prezzo di aggiudicazione, se a seguito dello svolgimento in modo legale o meno della procedura di vendita, non può, infatti, servire per tale valutazione, ma può costituire solo un presupposto perché si possa verificare la ricorrenza dei “gravi e giustificati motivi”, diversi dall’ingiustizia del prezzo, che parimenti può, alla luce del disposto dell’art. 108. L.F., consentire, essa pure, di sospendere le operazioni di vendita come fino a quel momento effettuate”.
Del resto, aggiungiamo, la necessità di valutare la correttezza nello svolgimento della procedura di vendita è già insito nella procedura stessa, come del resto, in tutte le procedure giurisdizionali, sicché attribuire al concetto di “giusto prezzo” questo solo significato determina un suo svuotamento.
Più significativo è allora legare questo concetto, caso per caso, al valore dei crediti che esso andrebbe a soddisfare o non soddisfare, interpretazione che permetterebbe anche una sorta di salvaguardia del debitore, che avrebbe allora subito una espropriazione (magari di un bene di rilevantissimo valore, come nel caso portato all’attenzione della Suprema Corte) utile però a liberarlo, totalmente o almeno adeguatamente, dei crediti a suo tempo insoddisfatti.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia