La specificità dei motivi di appello al vaglio della giurisprudenza di merito
di Enrico Picozzi Scarica in PDFApp. Firenze, Sez. II, 8 aprile 2015 ; App. Potenza, Sez. Lav., 20 maggio 2015
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Impugnazioni civili – Requisiti di forma-contenuto atto d’appello – Specificità dei motivi – Nozione – Insussistenza
(C.p.c. art. 342)
[1] Per superare il vaglio di ammissibilità previsto dall’art. 342 c.p.c., l’appello deve indicare le parti del provvedimento oggetto di impugnazione, suggerendo le modifiche che dovrebbero essere apportate alla ricostruzione del fatto e deve altresì specificare le violazioni di legge denunziate e il loro rapporto di causalità con l’esito della lite.
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Impugnazioni civili – Requisiti di forma-contenuto atto d’appello – Specificità dei motivi – Nozione – Insussistenza
(C.p.c. art. 342)
[2] La riforma dell’art. 342 c.p.c. impone all’appellante l’adozione di una tecnica formulare in relazione alla quale i motivi specifici devono essere veicolati secondo uno schema predeterminato in cui siano evidenziate le parti della sentenza censurate, gli errori commessi nella ricostruzione del fatto, nella valutazione della prova, nella riconduzione della fattispecie concreta a quella astratta.
CASO
[1] [2] Entrambi i provvedimenti indicati in epigrafe affrontano il delicato tema della specificità dei motivi di gravame, alla luce del riformato art. 342 c.p.c.
SOLUZIONE
[1] [2] Le sentenze in commento, sebbene in base a distinti itinerari decisori, pervengono a conclusioni analoghe, sancendo l’inammissibilità dei gravami per violazione dei requisiti di forma-contenuto dell’atto di appello. Più distesamente, le linee guida della Corte d’Appello di Firenze si risolvono, invero, in una pedissequa riproduzione letterale del riformato 342 c.p.c.; di contro, più articolata e densa di conseguenze applicative sembra la motivazione della Corte d’Appello di Potenza. Quest’ultima, infatti, rileva che l’appellante – in una lite in materia di conversione del contratto di somministrazione in contratto di lavoro subordinato – abbia omesso di censurare quella parte di sentenza che aveva rigettato l’originaria richiesta di conversione in riferimento all’art. 89, co. 9, l. 276 del 2003, nonché abbia omesso di specificare le ragioni per le quali si riteneva priva di effettività la sola tutela risarcitoria. Diversamente, la sentenza della Corte d’Appello di Firenze – resa in una controversia in materia di sfratto per morosità – sottolinea che il conduttore soccombente, impugnando la pronuncia di prime cure, non abbia affatto censurato le singole argomentazioni che ne fondavano il dispositivo, limitandosi a ribadire la nullità del contratto di locazione. In ogni caso, entrambi i provvedimenti convergono nell’affermare che la novella del 2012 abbia aggravato gli oneri incombenti sull’appellante, delineando una netta cesura rispetto al previgente art. 342 c.p.c. (analogamente Trib. Verona, 28 maggio 2013; App. Roma, 15 gennaio 2013, in Corr. mer., 2013, 840).
QUESTIONI
[1] [2] Le pronunce in esame tratteggiano una sorta di terza via interpretativa tra un orientamento decisamente rigoroso alla luce del quale l’atto d’appello deve essere redatto in modo più organico e strutturato rispetto al passato, quasi come una sentenza (App. Roma, sez. lav., 29 gennaio 2013, in Foro it., 2013, I, 969; App. Salerno, 1 febbraio 2013, in Giust. proc. civ., 2013, 481) e un orientamento più liberale alla luce del quale, ai fini dell’ammissibilità del gravame, è sufficiente che l’appello contenga un’esposizione chiara ed univoca sia della domanda rivolta al giudice dell’impugnazione sia delle ragioni della doglianza (App. Genova, 9 aprile 2013). Nondimeno e per taluni aspetti, entrambe le sentenze denotano un certo irrigidimento formalistico: in questa direzione, ad esempio, muove il reiterato accostamento – compiuto dalla Corte d’Appello di Potenza – dell’art. 342 c.p.c. ad uno schema formulare al quale l’appellante deve necessariamente attenersi (in termini analoghi, cfr. App. Bologna, 1 ottobre 2013, inedita). Infine, non può non destare serie perplessità la circostanza che tra le varie rationes decidendi poste a fondamento della declaratoria di inammissibilità da parte della Corte lucana, vi sia anche il fatto che l’appellante non si sia premurato di contestare la giurisprudenza contraria.
Per maggiori approfondimenti in dottrina, cfr. Consolo, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di «svaporamento», in Corr. giur., 2012, 1135; Costantino, La riforma dell’appello, in Giust. proc. civ., 2013, 21 e ss.; Poli, Il nuovo giudizio di appello, in Riv. dir. proc., 2013, 120 e ss.; Gasperini, La formulazione dei motivi di appello nei nuovi artt. 342 e 434 c.p.c., ivi, 915 e ss.