La sottoscrizione del testamento pubblico: condizioni e implicazioni giuridiche
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFTribunale Viterbo, Sentenza, 07/01/2025, n. 7 – Dott. Eugenio Maria Turco – Presidente – Dott. Paolo Bonofiglio – Giudice Dott.ssa Fiorella Scarpato – Giudice Relatore
Massima: “La sottoscrizione da parte del testatore in un testamento pubblico è un elemento essenziale che, in caso di impedimento fisico, deve essere giustificato mediante una dichiarazione resa in modo veritiero. In caso contrario, l’atto testamentario potrebbe essere dichiarato nullo per difetto di forma, conformemente all’art. 606 c.c..[1]”
(Articoli di riferimento: 603 e 606 c.c.)
CASO
Nel 2021 il sig. AA ha adito il Tribunale di Viterbo chiedendo che fosse dichiarata la nullità del testamento pubblico del padre sig. BB redatto in data 6 luglio 2018; ha chiesto quindi al Tribunale che, a seguito della nullità, fosse dichiarata aperta la successione legittima e che i convenuti fossero condannati alla restituzione dei beni ereditari indebitamente acquisiti in forza di detto testamento.
A sostegno della propria posizione il sig. AA ha effettuato le seguenti premesse: a) che il padre era deceduto in data 1 agosto 2020 lasciando testamento pubblico; b) che delle sue ultime volontà era stata data lettura, su richiesta della vedova CC, in data 27 agosto 2020 dal notaio DD; c) che con tale testamento il padre aveva revocato ogni precedente disposizione testamentaria e aveva infine nominato eredi universali la moglie CC e i suoi due figli, ossia AA medesimo e il fratello EE; d) che il padre, nel testamento, aveva precisato che alla moglie CC e al figlio AA sarebbe spettata una porzione del suo patrimonio pari esclusivamente alla quota di riserva prevista dalla legge per tali soggetti, mentre l’intera quota disponibile, oltre alla legittima, sarebbe santa attribuita al figlio EE; e) che nel medesimo testamento il padre aveva altresì disciplinato l’eventualità di una lesione della quota legittima, stabilendo che, nel caso in cui la moglie CC o il figlio AA avessero richiesto un’integrazione per il raggiungimento dell’ammontare loro riservato dalla legge, l’erede beneficiario della quota eccedente (ossia il figlio EE) avrebbe avuto la facoltà di decidere se compensare i soggetti lesi mediante conguagli in denaro ovvero mediante beni mobili o immobili, anche personali, fino al raggiungimento del valore della quota loro spettante.
Il testamento impugnato è risultato privo della sottoscrizione del testatore. Di tale mancanza il notaio che ha ricevuto l’atto testamentario del sig. BB ha dato conto per iscritto, precisando che il de cuius, prima della lettura dell’atto e in presenza dei testimoni richiesti dalla legge, aveva dichiarato di non poter sottoscrivere a causa di un impedimento alla mano destra. Il sig. AA ha contestato la veridicità di questa dichiarazione sostenendo che, sebbene vero che il padre avesse perso l’uso della mano destra a seguito di un ictus occorso nell’aprile 2016, a ben vedere, in seguito a tale evento, quest’ultimo aveva iniziato a firmare con la mano sinistra tutti gli atti che avevano richiesto la sua espressione di volontà. A detta dell’attore, quindi, il defunto aveva continuato a sottoscrivere documenti con tale modalità fino ad una data prossima al decesso, e comunque ben oltre il 2018, momento in cui è stato poi redatto il testamento pubblico oggetto di impugnazione. A riprova di quanto affermato, il sig. AA ha richiamato una perizia grafica redatta dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal Tribunale di Viterbo nell’ambito del procedimento. Detta perizia ha accertato che il testatore aveva effettivamente continuato a sottoscrivere atti con la mano sinistra anche dopo il 2016, smentendo così la dichiarazione resa nel testamento pubblico del 6 luglio 2018 circa la sua impossibilità a sottoscrivere.
Stanti tali circostanze, il sig. AA ha sostenuto in giudizio che la menzione dell’impedimento alla sottoscrizione riportata nel testamento del padre non corrispondesse alla realtà, e che tale non veridicità equivalesse – giuridicamente – alla mancanza stessa della sottoscrizione, da cui, ai sensi dell’art. 606 c.c., deriva la nullità del testamento pubblico per difetto di un elemento essenziale di forma.
SOLUZIONE
Nel caso di specie non vi è stata contestazione circa l’impossibilità per il sig. BB di sottoscrivere con la mano destra (arto con cui abitualmente firmava) al momento della redazione del testamento, avendo egli subito un ictus invalidante nell’aprile del 2016. Ciò che si è posto in discussione, invece, è stato se la sottoscrizione di altri atti con la mano sinistra, avvenuta sia precedentemente che successivamente alla data del testamento, potesse costituire prova della capacità del testatore di vergare il proprio nome e, conseguentemente, potesse dimostrare la nullità del testamento per falsa attestazione dell’impedimento a sottoscrivere (o meglio, per mancata sottoscrizione).
Il Tribunale ha ritenuto la domanda del sig. AA infondata.
Secondo il giudice di primo grado è apparso evidente che, nonostante l’uso occasionale della mano sinistra per apporre segni grafici sui documenti, il sig. BB non avesse acquisito un’abitudine consolidata a sottoscrivere con tale arto. Al riguardo è stato precisato che la validità della sottoscrizione di un testamento pubblico, come quella di un testamento olografo, deve rispettare il principio secondo cui la scrittura deve riflettere un movimento grafico abituale, tale da rispecchiare l’identità del testatore in relazione alla sua età, al suo livello culturale e alla sua formazione; le sottoscrizioni che il sig. BB ha apposto con la mano sinistra, invece, non possedevano affatto i caratteri di stabilità e riconoscibilità propri della sua grafia precedente all’ictus.
Proprio la consulenza tecnica d’ufficio richiamata dall’attore ha evidenziato come le firme attribuite al sig. BB, vergate con la mano sinistra, fossero prive di tratti costanti e identificativi. La perizia, in particolare, ha escluso la presenza del cosiddetto “gesto fuggitivo incontrollato”, ossia il risultato di quegli elementi grafici ricorrenti che permettono di ricondurre, con elevata probabilità, una firma alla mano di un determinato soggetto. Le firme in questione non solo differivano tra loro, ma risultavano carenti di automatismi grafici e di quelle inclinazioni ripetitive che caratterizzano una scrittura abituale; inoltre non presentavano alcun riferimento, neppure vago, al nome e cognome del testatore, apparendo più simili a segni privi di una struttura identificabile. Di conseguenza tali segni grafici, pur essendo stati materialmente apposti dal sig. BB, non hanno costituito valida prova della sua idoneità a sottoscrivere il testamento in questione.
La circostanza, poi, che prima del 2018 il sig. BB avesse utilizzato in alcune occasioni la mano sinistra per sottoscrivere atti privati non ha implicato l’acquisto di un sufficiente livello di destrezza per rendere tale firma un elemento certo di identificazione. L’analisi grafologica ha infatti accertato una “ridotta capacità di gestione dello strumento scrittoreo (c.d. low skill)” da parte del testatore, dovuta sia alla mancanza di un percorso di apprendimento sistematico della scrittura con la mano sinistra, sia all’assenza di un programma motorio consolidato e costante.
In definitiva, la menzione nell’atto testamentario dell’impossibilità del sig. BB di sottoscrivere con la mano destra è stata ritenuta veritiera e conforme alla realtà. L’impedimento fisico riscontrato ha giustificato pienamente l’assenza della sottoscrizione del testatore, senza che ciò possa si sia tradotto in una volontà di non testare né in una causa di nullità dell’atto pubblico. Pertanto le disposizioni testamentarie sono state considerate valide ed efficaci.
QUESTIONI
Nella pronuncia in commento le osservazioni del Tribunale di Viterbo si sono soffermate sulla figura del testamento pubblico, che, ai sensi dell’art. 603, primo comma, c.c., è il testamento redatto dal notaio alla presenza di due testimoni[2]. In particolare l’attenzione del Tribunale si è focalizzata sull’aspetto della sottoscrizione del testatore, esaminando le conseguenze giuridiche derivanti dalla sua assenza.
L’art. 603, terzo comma, c.c. stabilisce che il testamento deve contenere – oltre al luogo, alla data di ricevimento e all’ora di sottoscrizione – la sottoscrizione del testatore, dei testimoni e del notaio; il codice, invece, non specifica le modalità con cui la sottoscrizione debba essere apposta. Con riguardo a quest’ultimo punto è possibile fare riferimento alle prescrizioni generali dettate dall’art. 51, secondo comma, n. 10, Legge Notarile, secondo cui l’atto pubblico notarile contiene “la sottoscrizione col nome, cognome delle parti…”. Tale sottoscrizione, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è valida se apposta “per esteso”[3], ossia con il nome e il cognome del testatore nella loro interezza; al contempo, però, si è precisato che l’utilizzo di uno pseudonimo, qualora abitualmente impiegato dal testatore nei propri affari e riconosciuto come identificativo nella vita di relazione, non incide sulla validità dell’atto[4].
La sottoscrizione assume una funzione di primaria importanza: essa garantisce la certezza dell’identità del testatore e, soprattutto nel contesto successorio, costituisce un importante elemento di conferma della volontà espressa e contestualmente ridotta in iscritto dal notaio (cfr. art. 603, secondo comma, c.c.), la quale con la morte diventa certamente irripetibile. Proprio per questo motivo, secondo quanto previsto dell’art. 606, primo comma, c.c., l’omissione della sottoscrizione determina la nullità dell’intero testamento[5].
Per evitare di incorrere in tale sanzione di nullità, il terzo comma dell’art. 603 c.c. impone che “se il testatore non può sottoscrivere o può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa, e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell’atto”. Il notaio rogante dovrà quindi fare menzione nell’atto testamentario (prima della lettura) non solo del totale impedimento del testatore ad apporre la sua sottoscrizione, ma anche dell’impedimento dettato dalla grave difficoltà[6], indicando – in ogni caso – la causa specifica della mancata sottoscrizione[7]. Si deve osservare che, in via eccezionale, l’articolo 603, terzo comma, c.c. prevede (ma esclusivamente per il testamento per atto di notaio) un’equiparazione tra l’ipotesi in cui il testatore sia del tutto impossibilitato a sottoscrivere e quella in cui non possa farlo se non con un grande sforzo. Anche in quest’ultima situazione il testatore, pur potendo in concreto effettuare un qualche segno grafico, non appone la propria firma sul testamento, dal momento che la finalità della norma non è quella di giustificare eventuali incertezze grafiche o tremolii nella sottoscrizione bensì di attestare l’effettiva esistenza dell’impedimento dichiarato e che esso è l’unico motivo per cui non si sottoscrive, così evitando che l’assenza della firma venga interpretata come un rifiuto del testatore di assumere la paternità del contenuto dell’atto[8]. In questo senso la dichiarazione proveniente dal testatore, unitamente alla menzione resa in atto dal notaio, è come se equivalesse all’apposizione della sottoscrizione[9].
Come affermato anche dalla pronuncia in esame, l’impedimento a sottoscrivere può derivare da qualsiasi ostacolo fisico, anche solo temporaneo: il testatore, ad esempio, potrebbe non poter sottoscrivere a causa di una difficoltà dovuta a una condizione di estrema debolezza o all’età avanzata. É indubbio tuttavia che, qualora il notaio dichiari nel testamento l’esistenza di un impedimento alla sottoscrizione, tale circostanza debba corrispondere alla realtà; in caso contrario l’atto, che deve rispettare il massimo rigore formale, risulterebbe viziato nella sua essenza, determinando la nullità prevista dall’art. 606, primo comma, c.c. per mancanza di sottoscrizione, la quale è pienamente assimilabile al rifiuto di conferma del contenuto per difetto di volontà[10].
Se invece il testatore risulta in grado di sottoscrivere, questi allora deve sottoscrivere il testamento e deve farlo con la sua grafia abituale[11]. Al riguardo in giurisprudenza si sostiene che, da un lato, imporre al testatore di firmare diversamente (ad esempio in modo leggibile) al punto da farlo “allontanare” dalla sua normale scrittura potrebbe generare incertezze sull’attribuibilità della firma stessa, compromettendo proprio quella certezza di paternità dell’atto che la sottoscrizione mira a garantire. A tal proposito è stato osservato che “commette falso materiale in atto pubblico il notaio che, nel redigere un testamento pubblico, aiuti il testatore a completare la sottoscrizione, senza dare atto, ai sensi dell’art. 603, comma tre, c.c., dell’impossibilità di sottoscrivere, in quanto in tal modo viene rappresentato falsamente che il testatore ha spontaneamente, autonomamente interamente sottoscritto l’atto”[12]. Dall’altro lato va sottolineato che, se si ammettesse la possibilità per il testatore di apporre un segno grafico qualsiasi, privo di riferimenti abituali alla sua persona e dunque potenzialmente riconducibile a chiunque, si verrebbe nuovamente a creare lo stesso problema di incertezza che la sottoscrizione mira invece ad evitare. Si afferma quindi che la sottoscrizione dovrà necessariamente essere apposta con la grafia abituale, anche se da essa dovesse derivarne una firma non facilmente leggibile, purché comunque essa non si riduca ad una semplice sigla o ad un segno grafico del tutto indecifrabile o privo di collegamento con l’identità del testatore[13].
[1] Massima tratta da One legale.
[2] Il testamento pubblico è infatti un atto solenne che, per la delicatezza dell’attività in esso svolta (ossia quella di ricerca e di “traduzione” della volontà del testatore), richiede la forma dell’atto pubblico e la presenza di due testimoni (cfr. art. 603, primo comma, c.c.).
[3] Cfr. Cass. civ., sent. n. 1999/1966 secondo cui “il testamento pubblico è nullo, se non sia sottoscritto dal testatore con il nome e cognome per esteso”.
[4] Cfr. sempre Cass. civ., sent. n. 1999/1966.
[5] Cfr. GENGHINI, Manuali notarili, Vol. I, La forma degli atti notarili, Milano, 2022.
[6] Cfr. GENGHINI, Manuali notarili, Vol. I, La forma degli atti notarili, Milano, 2022.
[7] Cfr. anche art. 51, secondo comma, n. 10, Legge Notarile. Si deve precisare che, tuttavia, si applica quanto disposto dalle norme del codice civile in virtù del dettato dell’art. 60 Legge Notarile, secondo cui “Le disposizioni di questo capo si applicano anche ai testamenti ed agli altri atti, in quanto non siano contrarie a quelle contenute nel Codice civile, nel Codice di procedura civile o in qualunque altra legge del Regno, ma le completino”.
[8] Cfr. Corte d’App. Lecce, sent. n. 400/2018.
[9] Cfr. Cass. civ., sent. n. 4781/1978.
[10] Cfr. Cass. civ., sent. n. 27824/2008; Cass. civ., sent. n. 9674/1996; Cass. civ., sent. n. 1073/1992.
[11] Cfr. SANTARCANGELO, Forma e clausole degli atti notarili.
[12] Così Cass. pen., sent. n. 2493/2019, che si è pronunciata su un caso in cui un notaio aveva guidato la mano di persona non in grado di firmare aiutandola a completare la sottoscrizione in calce ad un testamento pubblico.
[13] L’art. 603 c.c. nulla riferisce sulle modalità di riproduzione della sottoscrizione del testatore. In generale, però, l’art. 53 Legge Notarile dispone che l’intero atto notarile (e quindi anche il testamento pubblico) debba essere scritto “in carattere chiaro e distinto e facilmente leggibile”. Tuttavia, come evidenziato dalla pronuncia del Tribunale di Viterbo in commento, da tale disposizione non si può affatto desumere che la leggibilità sia prevista anche per la sottoscrizione, essendo questa richiesta solo per il contenuto dell’atto.
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