9 Maggio 2017

La sospensione del procuratore non sempre interrompe il processo. E attenzione a restituire il fascicolo…

di Lorenzo Di Giovanna Scarica in PDF

Cass., 23 febbraio 2017, n. 4680

Impugnazioni civili – Omesso rilievo della temporanea sospensione del procuratore dall’albo – Interruzione del processo in assenza di attività processuale – Esclusione – Nullità della sentenza – Esclusione (Cod. proc. civ., artt. 301, 299 e 302)

 

[1] La sospensione del procuratore dall’albo non implica nullità della sentenza nel caso di mancato rilievo, da parte del giudice, della causa di interruzione se nella prima udienza successiva alla cessazione della sospensione l’avvocato ha ripreso l’esercizio del proprio ius postulandi, presentandosi all’udienza stabilita. Il principio è valido a condizione che la sospensione non incida nello svolgimento del processo. Gli effetti della sospensione, pertanto, dovranno prodursi in un arco temporale in cui non vi è stata alcuna attività processuale.  

 

Impugnazioni civili – Mancato deposito del fascicolo di parte regolarmente ritirato – Onere del giudice di indicare la circostanza alla parte inadempiente – Esclusione – Rimessione della causa a ruolo – Esclusione – Decisione della controversia – Necessità (Cod. proc. civ., art. 169)

 

[2] In caso di mancato deposito del fascicolo di parte regolarmente ritirato, il giudice non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano accertamenti presso quest’ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti.

 IL CASO

[1-2] La domanda proposta da parte attrice veniva rigettata sia in primo che in secondo grado.

In particolare, in appello, i giudici confermavano la decisione in quanto risultava mancante, agli atti, il fascicolo di parte di primo grado dell’appellante. Quest’ultimo era stato ritirato dall’avvocato della parte all’udienza di precisazione delle conclusioni ed, in seguito, non più depositato. Pertanto, nell’impossibilità di analizzare la scrittura contrattuale anche il secondo grado di giudizio si concludeva con il rigetto della domanda di Tizio.

L’appellante, soccombente, ricorreva per Cassazione.

Il ricorrente, in particolare, sosteneva che la sentenza di primo grado fosse nulla poiché il proprio difensore, nel corso del giudizio di primo grado, era stato sospeso dall’albo. E la sospensione in questione, a parere della parte, avrebbe dovuto dar luogo ad una causa di interruzione del processo. Invece, l’interruzione non era stata rilevata dal Tribunale e non era stata presa in considerazione neppure dalla Corte di appello. Quest’ultima, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto rilevare, per il motivo sopra riferito, la nullità della sentenza di primo grado e rimettere la causa al primo giudice; avvertendo inoltre la parte, ai sensi dell’art. 169 c.p.c., della mancanza, agli atti, del proprio fascicolo. In questo modo, infatti, il ricorrente avrebbe potuto dimostrare, attraverso il deposito del fascicolo mancante, la validità delle censure proposte.

LA SOLUZIONE

[1-2] La Suprema Corte esclude innanzitutto la nullità della sentenza di primo grado.

L’avvocato di parte difatti, che era stato sospeso per un breve periodo nel corso del giudizio di prime cure, aveva in seguito ripreso la propria attività professionale. Pertanto, non essendovi state udienze riguardanti la controversia in esame nel periodo relativo alla sospensione, il procuratore si era validamente presentato, nell’udienza successiva, dinanzi al giudice di primo grado, per precisare le proprie conclusioni. Da qui l’avvenuta sanatoria del vizio relativo alla mancata dichiarazione della causa di interruzione del giudizio.

La Corte inoltre si sofferma sull’interpretazione dell’articolo 169 c.p.c., ribadendo, sul punto, il proprio precedente orientamento secondo il quale, in caso di mancato deposito di un fascicolo di parte regolarmente ritirato, il giudice non è onerato di segnalare la circostanza alla parte.

L’organo giudicante, infatti, secondo consolidata giurisprudenza, ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti, a prescindere dal deposito o meno del fascicolo di cui trattasi, a meno che non si dimostri che quest’ultimo sia stato incolpevolmente smarrito.

LE QUESTIONI

[1] La pronuncia in epigrafe suscita interesse in quanto fornisce una interpretazione innovativa dell’art. 301 c.p.c., in tema di morte o impedimento del procuratore.

Come è noto, infatti, nel caso in cui la parte non si costituisce personalmente, ma a mezzo dell’unico procuratore, un eventuale impedimento occasionato a quest’ultimo (morte, radiazione, sospensione) integra una causa di interruzione del processo, automaticamente ed immediatamente, dal giorno dell’evento dell’impedimento (v. Cass., 11 dicembre 1986, n. 737). E l’eventuale prosecuzione del procedimento, in assenza della dichiarazione di interruzione del processo, dà luogo a nullità del processo e, di conseguenza della sentenza, eventualmente pronunciata, ancorché né le parti né il giudice abbiano avuto conoscenza dell’impedimento stesso (v. Cass., 11 gennaio 2010, n. 244; Cass., 16 aprile 1997, n. 3279; Cass., 25 ottobre 1989, n. 4382).

Siffatta evenienza, tuttavia, nel caso di specie, non si è verificata.

Al contrario, non avendo avuto contezza, né il giudice, né la parte interessata, dell’evento impeditivo occorso al procuratore, quest’ultimo ha avuto modo, venuta meno la causa della propria sospensione, di proseguire volontariamente il processo, senza conseguenze di alcun tipo.

Detta circostanza, è risultata decisiva per la Suprema Corte al fine di discostarsi dal precedente orientamento sul punto, in virtù dei più generali principi di conservazione degli atti giuridici e di economia processuale.

La Cassazione, implicitamente, attraverso il combinato disposto degli artt. 301, 299 e 302 c.p.c., ha così statuito sulla possibilità del procuratore, temporaneamente sospeso, di proseguire volontariamente il processo nel caso in cui sia cessata la causa che aveva dato luogo alla propria sospensione.

Ciò verrà consentito, si avverte, se nelle more della sospensione non vi sia stata alcuna attività processuale degna di nota.

Siffatta interpretazione dell’art. 301 c.p.c., per quanto innovativa, sembra essere pertanto in linea con la ratio sottesa all’istituto della interruzione.

Quest’ultima infatti è volta a garantire l’effettività del contraddittorio, in situazioni in cui una delle parti sia colpita da determinati eventi che potrebbero menomare la sua concreta possibilità di partecipare al processo (v. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2014, 274 ss.).

Orbene, nel caso in esame, il difensore dell’appellante era stato temporaneamente sospeso dal 7.4.2001 al 6.7.2001, mentre l’udienza successiva, di precisazione delle conclusioni, a cui lo stesso aveva preso parte è avvenuta il 23.02.2002. E quindi a ben sette mesi di distanza dalla causa di sospensione. Risultava dunque palese la mancanza di una effettiva lesione occasionata alla parte dall’evento interruttivo ascritto al proprio difensore.

[2] Anche la censura, sollevata dall’appellante, in ordine all’onere della Corte di Appello di comunicare il mancato deposito del fascicolo di parte, regolarmente ritirato e non depositato, risultava infondata.

Secondo pacifica giurisprudenza, infatti, è onere di chi ritira il proprio fascicolo di parte di ridepositare il medesimo fascicolo in cancelleria, entro e non oltre i termini concessi per il deposito della comparsa conclusionale (v. Cass., 28 gennaio 1987, n. 791; e, da ultimo, Cass., 25 maggio 2015, n. 10741). Ove ciò non avvenga il giudice sarà tenuto a pronunciarsi sulla controversia in esame senza dovere tener conto della documentazione allegata nel fascicolo mancante.

Una conclusione siffatta, secondo la giurisprudenza maggioritaria (v. Cass., 27 ottobre 1982, n. 5627, con nota critica di Magnone Cavatorta, Sul ritiro dei documenti prodotti e sulle conseguenze della loro mancata restituzione, in  Riv. Dir. Proc., 1984, p. 169), risiederebbe nel principio di disponibilità delle prove, sancito dal comma 1 dell’art. 115 c.p.c. (v. Cass., 16 luglio 1997, n. 6521), dal quale si ricaverebbe che la parte, così come ha prodotto il documento, in un secondo tempo lo possa definitivamente ritirare; e che la mancata restituzione del fascicolo faccia presumere la volontà di trattenerlo : v. Cass. 24 febbraio 1993, n. 2280 secondo cui chi vuole giovarsi di documenti prodotti dalla controparte deve produrne copia; Cass., 12 luglio 2007, n. 15660, la quale esclude che il fascicolo della parte che risulti vittoriosa in primo grado e contumace in appello, possa essere utilizzato se non è stato ritualmente depositato. In senso contrario, e per la irreversibilità dell’acquisizione dei documenti prodotti, si vedano, in dottrina, Ruffini, Produzione ed esibizione dei documenti, in Riv. Dir. Proc., 2006, pp. 433 ss., e Villata in Riv. Trim. Dir. e Proc. civ., 2006, pp. 315 ss.

In linea con la sua tesi , la giurisprudenza prevede infatti che, nell’opposto caso, in cui il fascicolo risulti mancante poiché smarrito o sottratto senza che vi sia stata colpa della parte che lo ha correttamente depositato, è obbligo del giudice di fissare un termine per la ricostruzione dello stesso (v. Cass., 12 dicembre 2008, n. 29262). E la violazione di quest’obbligo può integrare un vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., se la parte soccombente, richiamando nel ricorso il contenuto del fascicolo, riesca a dimostrare la rilevanza del medesimo ai fini di una diversa decisione (v. la già richiamata Cass. 1997, n. 6521 e più di recente Cass. 3 giugno 2014, n.12369).

Tutto ciò, si noti, a condizione che sia stata eccepita, prima che il giudice si riservi di decidere, la circostanza dell’avvenuto ed incolpevole smarrimento (v. Cass. 19 maggio 2010, n. 12250 secondo cui tale principio trova applicazione anche nel processo tributario, ai sensi del rinvio operato dall’art. 1, co 2., del d.lgs. n. 546 del 1992; e, da ultimo, Cass. 27 giugno 2016, n. 13218, secondo cui l’onere di allegazione di tale circostanza ricadrebbe proprio sulla parte che ha depositato il fascicolo, in seguito, disperso).

In siffatti casi, dunque, il giudice potrà concedere alla parte, ove occorra, di depositare ex novo il fascicolo mancante qualora le ricerche di quest’ultimo risultassero infruttuose e non si riuscisse a ricostruire, in altro modo, il contenuto del medesimo (v. Cass. 11 maggio 2010, n. 11352).