La sospensione cautelare del provvedimento di diniego della protezione internazionale nei diversi gradi del giudizio
di Jacopo Di Giovanni Scarica in PDFAbstract
La sospensione dell’efficacia del diniego della protezione internazionale è di regola un effetto automatico della proposizione del ricorso giurisdizionale. Nei casi in cui la sospensione non opera automaticamente può essere domandata dal ricorrente; se l’istanza viene respinta, il provvedimento cautelare non è impugnabile ma la domanda può essere reiterata.
La disciplina della protezione internazionale pone all’operatore alcune difficoltà interpretative, anche a causa di una tecnica normativa non sempre impeccabile e della successione di norme che ridisegnano gli istituti.
Come è noto, la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale si articola in due fasi: una amministrativa necessaria, che si conclude con decreto di accoglimento o di rigetto della domanda, e una giurisdizionale eventuale in caso di ricorso avverso il decreto di rigetto.
Un problema di particolare importanza pratica è quello della sospensione del provvedimento amministrativo opposto per effetto della proposizione del ricorso giurisdizionale.
Per tutta la durata della fase amministrativa, il d. leg. 28 gennaio 2008 n. 25 prevede all’art. 7 che il richiedente sia autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della commissione territoriale, e all’art. 32, comma 4, se la domanda non è accolta, l’obbligo di lasciare il territorio quando sia inutilmente decorso il termine per impugnare la decisione.
Se la Commissione rigetta o dichiara inammissibile la domanda, il richiedente asilo può proporre ricorso che ha l’effetto di sospendere il provvedimento impugnato, tranne alcuni casi particolari individuati dalla legge.
Il procedimento è ora regolato dall’art. 35 bis del d. leg. 28 gennaio 2008 n. 25, introdotto dal d.l. 17 febbraio 2017 n. 13 conv. in l. 13 aprile 2017 n. 46, che ha abrogato l’art. 19 del d. leg. 1 settembre 2011 n. 150, il quale a sua volta aveva introdotto una nuova disciplina rispetto a quella originariamente prevista dall’art. 35 del d. leg. 28 gennaio 2008 n. 25. In meno di dieci anni l’istituto ha visto susseguirsi tre procedure connotate da rilevanti differenze tra loro.
L’impianto originario del d. leg. 28 gennaio 2008 n. 25 prevedeva un ricorso in camera di consiglio, che si concludeva con sentenza reclamabile di fronte alla corte di appello. L’efficacia del provvedimento amministrativo impugnato era sospesa, automaticamente dalla proposizione del ricorso o in casi particolari con ordinanza del tribunale su istanza di parte per gravi e fondati motivi, fino alla sentenza di primo grado; la sospensione veniva meno in caso di rigetto del ricorso, ma poteva essere nuovamente disposta con ordinanza della corte d’appello su istanza del reclamante. La norma non disciplinava il procedimento cautelare, in particolare non indicava se la decisione dovesse essere assunta nel contraddittorio, ma espressamente escludeva che le ordinanze cautelari fossero impugnabili.
Nella disciplina introdotta dal d. leg. 1 settembre 2011 n. 150 il ricorso era regolato dal rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. e si concludeva quindi con ordinanza impugnabile di fronte alla corte di appello. Era conservato il generale effetto sospensivo del ricorso, ma per i casi di sospensione non automatica era previsto un meccanismo cautelare più articolato: sull’istanza cautelare del ricorrente, il tribunale provvedeva sentite le parti, con ordinanza non impugnabile, per gravi e circostanziate ragioni esplicitamente indicate nella motivazione (art. 5, comma 1); in caso di pericolo imminente di un danno grave e irreparabile, la sospensione poteva essere disposta con decreto pronunciato fuori udienza, che diveniva inefficace se non era confermato con ordinanza di cui al comma 1 entro la prima udienza successiva (art. 5, comma 2).
La norma taceva sulla sospensione del provvedimento impugnato negli eventuali ulteriori gradi di giudizio in caso di rigetto del ricorso e la questione è stata variamente risolta dai giudici di merito, e infine dalla Corte di cassazione che con ordinanza 27 luglio 2017, n. 18737 ha chiarito che la sospensione del provvedimento di rigetto della commissione territoriale, quando sia prevista dalla legge (cioè al di fuori delle ipotesi eccezionali indicate dall’art. 19, comma 4, del d. leg. 1 settembre 2011 n. 150) permane per l’intero giudizio, quindi anche nel grado di appello e di cassazione. L’orientamento ha trovato conferma nelle successive ordinanze del 12 gennaio 2018, n. 699, e 16 aprile 2018, n. 9357 della corte di legittimità ed è stato condiviso dalla costante giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, ordinanza cautelare 2977/2017; TAR Salerno, sentenze 521/2018, 1139/2017, 1612/2017, 102/2018; TAR Firenze, sentenze 565/2018, 564/2018, 563/2018; TAR Brescia, sentenze 374/2018, 1236/2017, 1175/2017, 1032/2017, 982/2017, 860/2017, 859/2017, 858/2017, 857/2017, 810/2017, 809/2017, 808/2017, 807/2017, 806/2017, 804/2017; deve tuttavia registrarsi in senso contrario la sentenza del Consiglio di Stato, 8 gennaio 2018, n. 80, che però fa applicazione della norma recenziore).
Con il d.l. 17 febbraio 2017 n. 13 conv. in l. 13 aprile 2017 n. 46 è stato introdotto l’art. 35 bis del d. leg. 28 gennaio 2008 n. 25; il procedimento è tornato a essere regolato dagli artt. 737 e seguenti c.p.c., con procedimento in camera di consiglio che si conclude con decreto del tribunale avverso il quale non è ammesso reclamo ma solo ricorso per cassazione. Per la sospensione del provvedimento amministrativo, nei casi in cui essa non sia un effetto ope legis della proposizione del ricorso, è ora previsto un subprocedimento a contraddittorio meramente cartolare, che si conclude con decreto non impugnabile. Il legislatore si è premurato di disporre che la sospensione del provvedimento venga meno in caso di rigetto del ricorso, ma ha previsto che il tribunale possa ripristinarla, per fondati motivi su istanza del richiedente asilo che abbia proposto ricorso per cassazione, introducendo un istituto speciale rispetto a quello previsto dall’art. 373 c.p.c.
In tutte le norme che si sono succedute il legislatore ha mantenuto ferma l’espressa previsione di inappellabilità dell’ordinanza cautelare. La previsione normativa esclude l’applicabilità dello strumento del reclamo, previsto dall’art. 739 c.p.c., ma non muta la natura del provvedimento (ordinanza o decreto) cautelare, che resta non decisoria né definitiva, come ha chiarito la Corte di cassazione nell’ordinanza del 12 aprile 2018, n. 9166 che ha altresì precisato che la domanda cautelare è sempre reiterabile, soprattutto ove le ragioni della reiezione risiedano in violazioni di carattere processuale.