21 Febbraio 2023

La sorte dell’accordo divisorio in caso di pignoramento di quota indivisa

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 17 agosto 2022, n. 24833 – Pres. Falaschi – Rel. Tedesco

Massima: “In tema di comunione ereditaria, ove la vendita di una quota indivisa sia realizzata in presenza di un pignoramento di quest’ultima, che, pur comprendendo tutti i beni di una certa specie, lasci tuttavia fuori beni di specie diversa, l’aggiudicatario non avrà una posizione uguale a quella degli altri compartecipi, in quanto estraneo ai beni non colpiti dal pignoramento. Pertanto, la divisione dei beni rispetto ai quali l’aggiudicatario è subentrato all’esecutato sarà fatta separatamente dalla divisione del resto, cosicché l’accordo paradivisorio stipulato dai condividenti e dall’aggiudicatario senza la partecipazione del coerede esecutato avrà efficacia, purché limitato ai beni ricompresi nella quota che ha formato oggetto di vendita forzata”.

CASO

Sei fratelli divenivano comproprietari, per effetto di successione ereditaria, di una pluralità di immobili, in ragione di un sesto ciascuno.

La quota degli immobili appartenente a uno dei coeredi, già gravata da ipoteca, veniva assoggettata a espropriazione forzata. Nelle more della procedura esecutiva, i coeredi, fatta eccezione per quello esecutato, sottoscrivevano un accordo, sospensivamente condizionato all’aggiudicazione della quota pignorata in favore di quello che ne aveva fatto istanza, con il quale si impegnavano a dividere in via amichevole gli immobili, stabilendo le attribuzioni spettanti a ciascuno di essi; nel medesimo accordo, si prevedeva anche che il denaro compreso nell’asse ereditario, detratte tutte le spese necessarie ai fini della divisione, sarebbe stato ripartito in parti uguali fra i sei fratelli.

Avvenuta l’aggiudicazione della quota pignorata, il coerede che l’aveva acquistata agiva in giudizio per ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’accordo – qualificato in termini di contratto preliminare di divisione – concluso con gli altri.

La domanda veniva respinta in primo grado, con sentenza che veniva riformata dalla Corte d’Appello di Milano, la cui pronuncia era gravata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che, a seguito dell’espropriazione forzata della quota di beni immobili appartenente a un coerede e della sua aggiudicazione a un altro coerede, l’esecutato cessa di essere parte della comunione ereditaria avente per oggetto gli immobili, sicché non occorre la sua partecipazione ai fini della validità dell’accordo con cui gli altri coeredi stabiliscono le modalità con le quali dovrà addivenirsi alla loro divisione.

QUESTIONI

[1] La Corte di Cassazione, con la sentenza che si annota, è intervenuta in una fattispecie in cui si discuteva della possibilità di eseguire in forma specifica un accordo di divisione riguardante immobili caduti in successione; la peculiarità derivava dal fatto che la quota di detti beni appartenente a uno dei coeredi, rimasto estraneo al suddetto accordo, era stata pignorata e, all’esito della procedura esecutiva, era stata aggiudicata al coerede che aveva poi promosso l’azione ex art. 2932 c.c.

La questione decisa sottende il coordinamento della disciplina della comunione ereditaria con quella dettata in materia di espropriazione forzata.

In linea generale, l’espropriazione di beni ricadenti in una comunione (ereditaria o non) è disciplinata dagli artt. 599 e seguenti c.p.c.

L’art. 600 c.p.c. prevede tre alternative: innanzitutto, quando possibile, il giudice dell’esecuzione provvede alla separazione in natura della quota spettante al debitore, affinché venga successivamente posta in vendita; se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice può disporre la vendita della quota indivisa, qualora ritenga probabile che essa avvenga a un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell’art. 568 c.p.c.; poiché è assai difficile che possa verificarsi una simile evenienza, il giudice dovrà disporre che si proceda alla divisione, con conseguente sospensione dell’esecuzione (art. 601 c.p.c.), affinché la quota dell’esecutato possa essere liquidata e consentire ai suoi creditori di soddisfarsi sul ricavato dalla vendita.

Il giudizio di divisione endoesecutiva così incardinato e divenuto ormai lo sviluppo normale di ogni procedura espropriativa avente per oggetto una quota, sebbene sia strumentalmente e funzionalmente collegato al processo esecutivo, rimane da questo soggettivamente e oggettivamente distinto, non potendone essere considerato una fase; esso, giusta l’art. 181 disp. att. c.p.c., si svolge avanti allo stesso giudice dell’esecuzione (inteso come magistrato-persona fisica), che, proprio in ragione della connessione funzionale che lega la divisione endoesecutiva all’espropriazione immobiliare, potrà utilizzare, al fine di assumere i propri provvedimenti, non soltanto le prove tempestivamente e ritualmente offerte dalle parti nel relativo giudizio, ma anche gli atti e i documenti già contenuti nel fascicolo dell’esecuzione (come affermato da Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2022, n. 4473).

La giurisprudenza è incline a negare che sia suscettibile di espropriazione forzata la quota di un singolo bene indiviso ricompreso in una comunione ereditaria o in una qualsiasi altra comunione di cui facciano parte più cose della stessa specie, dal momento che, potendo venire assegnato al debitore, in sede di divisione, una parte di un altro bene facente parte della massa e diverso da quello colpito dal pignoramento, quest’ultimo potrebbe non conseguire i suoi effetti, per inesistenza nel patrimonio del debitore dell’oggetto dell’esecuzione. In questi casi, il creditore dell’erede non potrà fare altro che agire in via surrogatoria per la divisione, onde ottenere l’individuazione preventiva dei beni che potrà successivamente aggredire in via esecutiva.

Il creditore può, invece, pignorare la quota dei beni indivisi di una determinata specie (per esempio, gli immobili ricompresi nell’asse ereditario) spettante al debitore: il vincolo, in questo caso, si concentrerà sui beni che saranno assegnati al debitore nella successiva divisione disposta ai sensi dell’art. 601 c.p.c., nonché sull’eventuale conguaglio.

Dottrina e giurisprudenza, inoltre, ammettono l’espropriazione dell’intera massa ereditaria, secondo le forme previste dall’art. 599 c.p.c., nel caso in cui sia composta da beni omogenei: il pignoramento della quota consegue i suoi effetti concentrandosi sui singoli beni, corrispondenti alla quota, che vengono assegnati al comproprietario esecutato.

La situazione è più problematica quando la massa sia composta da beni di specie diversa: non potendosi procedere a un unico pignoramento, l’unica soluzione prospettabile è quella per cui il creditore promuova, in via surrogatoria, il giudizio di divisione, al fine di potere successivamente aggredire i beni concretamente assegnati al suo debitore. La dottrina, peraltro, ha ipotizzato – in caso di compresenza di beni mobili e immobili – l’applicazione analogica dell’art. 566 c.p.c., dettato per l’esecuzione unitaria su un determinato immobile e sui mobili che lo arredano.

Detto questo, occorre distinguere due ipotesi.

Se l’espropriazione riguarda la quota spettante a un compartecipe sulla totalità dei beni compresi nella comunione, con la vendita di tale quota indivisa non si determina lo scioglimento della situazione di contitolarità, ma una semplice modificazione soggettiva della comunione, in quanto l’aggiudicatario subentra, a titolo derivativo, all’esecutato nella contitolarità del diritto e la successiva divisione si svolgerà, nella diversa composizione soggettiva, secondo le regole comuni.

Se, invece, il pignoramento ha per oggetto tutti i beni di una certa specie, ma non comprende quelli di specie diversa, l’aggiudicatario della quota non assume una posizione uguale a quella degli altri compartecipi, perché rimane estraneo alla contitolarità dei beni non colpiti dal pignoramento, rispetto ai quali, di converso, l’esecutato conserva la qualità di condividente. Ne discende, così, la necessità di operare due distinte divisioni: la prima, avente per oggetto i beni rispetto ai quali l’aggiudicatario è subentrato all’esecutato; la seconda, che riguarderà i soli condomini originari, incluso l’esecutato, avente per oggetto tutti gli altri beni.

Nel caso portato all’attenzione dei giudici di legittimità, l’espropriazione, la vendita e l’aggiudicazione avevano interessato la quota indivisa dei soli beni immobili appartenenti al coerede esecutato.

A seguito di ciò, non si era verificato lo scioglimento della comunione tra gli altri coeredi, che erano, dunque, rimasti comproprietari, avendo l’aggiudicatario della quota del coerede esecutato acquistato (anche) i diritti corrispondenti a quest’ultima (limitatamente agli immobili); la vendita, infatti, aveva realizzato la mera cessione della qualità di condomino, sicché il rapporto di comunione non si era sciolto, fatta eccezione per il comproprietario esecutato (avendo questi perduto la propria quota in favore del coerede aggiudicatario subentratogli).

Sulla scorta di tali principi, il pignoramento della quota indivisa del solo complesso immobiliare appartenente al coerede esecutato, con esclusione degli altri beni (tra i quali il denaro) rientranti nell’asse ereditario, seguito dalla successiva vendita e aggiudicazione della stessa, ha comportato la separazione degli immobili dai restanti beni appartenenti alla massa e, nel contempo, la perdita, da parte del coerede esecutato, del proprio diritto di comunione rispetto agli immobili, ma non rispetto agli altri beni.

Di conseguenza, l’accordo con cui i coeredi diversi dall’esecutato, nelle more del processo esecutivo, avevano predeterminato le regole della futura divisione degli immobili era perfettamente valido con riferimento a questi ultimi e poteva, dunque, essere fatto oggetto di esecuzione in forma specifica (come, in effetti, era avvenuto), pur riguardando anche altri beni – diversi dagli immobili – ricompresi nell’asse ereditario, fermo restando che, relativamente alla loro divisione, non poteva assumere la stessa efficacia, mancando la partecipazione di tutti i coeredi (essendovi rimasto estraneo quello che aveva subito l’espropriazione della quota dei soli immobili).

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