La solidarietà negli appalti. Profili processuali di diritto del lavoro
di Alessandro Benvegnù Scarica in PDFIl presente contributo riassume brevemente le tutele processuali esperibili da parte di un lavoratore dipendente il cui datore di lavoro sia affidatario di un appalto di opere o di servizi; si esamina quindi la tutela ordinaria prevista dal codice civile per arrivare a quella prevista dalle leggi speciali, con particolare attenzione ai problemi del contraddittorio e dei soggetti convenuti, anche alla luce delle ultime riforme.
Dato comune a tutte queste vertenze resta però la competenza del Giudice del lavoro, poiché il credito dell’attore, rectius ricorrente, origina nel rapporto di lavoro (Cfr. Cass., 14 dicembre 1998, n. 12551, Rep. Foro it.,1998, voce «Appalto», n. 43; Cass., 20 aprile 1998, n.4007, in Rep. Foro it., 1998, voce «Lavoro e previdenza(controversie)», n. 62; Trib. Treviso, 6 giugno 2002, in Rass. giur. lav. Veneto, 2002, n. 2, 90 ss.) anche se la soddisfazione del credito retributivo, e come vedremo anche contributivo, alla cui piena attuazione è volta la costituzione di un titolo esecutivo giudiziale, passa per una condanna non dell’effettivo utilizzatore e titolare del contratto di lavoro, ma di chi si è avvantaggiato indirettamente della prestazione lavorativa, ossia il committente dell’appalto o gli altri soggetti.
Azione diretta ex art. 1676 c.p.c.
Inizialmente il codice civile prevedeva a tutela del dipendente dell’appaltatore un’azione giudiziale diretta nei confronti del committente nei limiti del corrispettivo ancora dovuto al suo datore di lavoro: art. 1676 Coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda
Apparentemente, si trattava di una ipotesi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., slegata dalla necessità del litisconsorzio con il soggetto sostituito previsto dall’azione surrogatoria ordinaria ex art. 2900 c.c. (Cass., 14 marzo 2001, n. 3559, in Giur. it.,2001, 1883; Trib. Roma, 5 ottobre 1988, in Mass. giur. lav., 1999) e non sottostante alla prova di una colpevole inerzia del soggetto surrogato/sostituito. (Cfr. per approfondimenti BALENA, Contributo allo studio delle Azioni dirette, Milano, 1990)
Tuttavia, la giurisprudenza l’ha ricondotta nell’ambito della responsabilità solidale (Cass., 28 settembre 2005, n. 18913, in Rep. Foro it., 2005, voce «Appalto», n. 33; Cass., 4 settembre 2000, n. 11607, in Riv. it. dir. lav., 2001, II, 382; Trib. Gorizia, 13 ottobre 2004, in Dir. fall., 2005, II, 579; Pret. Lecce, 9.2.1999, in Corti Bari, Lecce e Potenza, 2000, I, 41.), con esclusione quindi di un’ipotesi di litisconsorzio necessario con il soggetto “sostituito”, anche se il committente risponde nei limiti del corrispettivo ancora da versare all’appaltatore, la cui entità e sussistenza è onere del ricorrente dimostrare (così Trib. Torino, 15 settembre1999, in Giur. it.,2000, 332).
Il limite di questa fattispecie è che presuppone (ed è limitata da) un’ipotesi di un rapporto trilaterale committente/appaltatore/lavoratore, ma non si estende a terzi soggetti nel caso di filiere di appalto più strutturate e complesse; per cui il dipendente del subappaltatore ha azione diretta ex art. 1676 c.c. nei confronti dell’appaltatore, ma non ha contraddittorio con il committente finale (App. Bologna Sez. lavoro, 13 maggio 2014 )
La norma è inoltre pacificamente applicabile in caso di appalto pubblico regolato dal d.lgs. 163/2006 (Cass., 10 marzo 2001, n. 3559, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, 1/4, 44, con nota di Matto, Cass., 7 luglio 2014, n. 15432, Cons. Stato, 30 marzo 2016, n. 1251) e non ha prescrizioni o decadenze particolari o più brevi di quella ordinaria, se non quella quinquennale del credito retributivo di cui all’art. 2948 c.c.
L’azione è infine insensibile all’apertura del fallimento dell’appaltatore sostituito purché promossa prima dell’apertura della procedura concorsuale a carico del formale datore di lavoro (Trib. Torino Sez. lavoro, 16 settembre 2016, Cass., Sez. lavoro, 20 maggio 2016, n. 10543; Cass., 14 gennaio 2016, n. 515 in Fall., 2016, 5, 542 nota di SPADARO; Trib. Monza Sez. lavoro, 01 aprile 2014)
La responsabilità solidale ex art. 29 d.lgs. 276/2003
L’assetto normativo è mutato con l’art. 29 d.lgs.276/2003, che al comma 2 stabilisce: «Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori.»
Primo punto: eventuali clausole di manleva e di esonero della responsabilità tra committente e appaltatore/appaltatore e subappaltatore hanno un rilievo meramente interno tra i convenuti resistenti, ma non sono opponibili come eccezione al lavoratore ricorrente (Trib. Roma, 28 novembre 2012, n. 19824, R.G.L. n. 28400/2011).
L’azione è inoltre soggetta a un termine di decadenza: due anni dalla cessazione dell’appalto, o del subappalto, nel cui ambito l’attività lavorativa del ricorrente è stata impiegata. In assenza del richiamo esplicito alla dinamica introduttiva del giudizio dell’art. 6 l. 604/1966, più prudente è il deposito del ricorso nel termine biennale di decadenza dall’azione (così Trib. Mantova, 14 aprile 2016; Trib. Milano, 31 marzo 2015, n. 869; Trib. Roma, 14 ottobre 2014; Trib. Torino, 18 ottobre 2012, in Riv. Giur. Lav., 2013, II, 123), anche se alcuni giudici hanno ritenuto sufficiente la mera diffida stragiudiziale (Trib. Bolzano, 26 febbraio 2016, n. 49,; Trib. Milano, 19 marzo 2015, n. 204, in www.ipsoa.it; Trib. Roma, 20 gennaio 2014, n. 23801, Trib. Forlì, 11 novembre 2011, in Rass. Giur. Lav., II, 124).
La presenza di due distinti autonomi contratti di appalto, pur intercorsi tra i medesimi soggetti, comporta invece una cesura della responsabilità solidale e l’applicazione di due distinti termini di decadenza, fatto per cui l’azione promossa dopo la cessazione dell’ultimo appalto della serie risulta irrimediabilmente tradiva rispetto al primo (così Trib. Milano Sez. lavoro, 30 ottobre 2014, in Lavoro nella Giur., 2015, 5, 527).
Terza questione: abbiamo un caso di litisconsorzio necessario processuale (per le ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale cfr. REDENTI, Il Giudizio civile con pluralità di parti, Milano, 1953, 253), in cui vi è l’onere di eccepire nella prima, e alla fine l’unica difesa scritta, il beneficium excussionis a carico del formale datore di lavoro (Trib. Genova, 17 giugno 2014, ma contra vedi Trib. Roma, ord. 10 dicembre 2012 il quale ha ammesso che l’eccezione di mancata esecuzione preventiva nei confronti del datore di lavoro venisse sollevata per la prima volta con opposizione ex art 615 c.p.c.).
Da qui due riflessi: in caso di filiere molto variegate l’onere di convenire in giudizio tutti i soggetti intermedi per ottenere un titolo esecutivo opponibile a ciascuno di essi (Trib. Como, ord. 15 gennaio 2015, in www.eclegal.it; Trib. Genova, 2 febbraio 2015, n. 717 e Trib. Genova, 14 febbraio 2014, n. 19; Trib. Monza, 8 marzo 2016) o la necessità di estendere il contraddittorio a soggetti esclusi ove il Giudice ne ravvisi opportunità e necessità (così Trib. Milano, 28 novembre 2013, n. 4335).
Il ricorrente ha l’onere di provare l’esistenza e del rapporto di lavoro subordinato che lo lega al suo diretto datore di lavoro e del contratto di appalto da cui discende la responsabilità solidale dei soggetti convenuti (Trib. Milano Sez. lavoro, 19 luglio 2016 rib. Torino Sez. lavoro, 22/07/2014) e deve limitare il suo petitum a crediti insorti nel periodo di vigenza dell’appalto, restando escluse pretese economiche maturate e geneticamente insorte in una fase cronologicamente successiva alla cessazione della fase produttiva in cui il suo diretto datore di lavoro ha fornito opere o servizi realizzate con la sua prestazione lavorativa (Cass., Sez. lavoro, 02 ottobre 2015, n. 19740; Cass., Sez. lavoro, 04 ottobre 2013, n. 22728).
Vi è inoltre da dire che quanto abbiamo esaminato è stato esteso, sulla base di un’interpretazione analogica, oltre l’ipotesi del contratto di appalto, anche ai vari casi in cui la catena produttiva o di realizzazione del servizio coinvolga più operatori con un passaggio del rischio di impresa da un imprenditore a un altro per una frazione della prestazione che viene affidata in esclusiva a quest’ultimo (si pensi ad esempio alle ipotesi di subfornitura, spedizione e trasporto: App. Brescia, 11 maggio 2016, n. 130 in Guida Lav., 2016, 27, 75 e Argomenti, 2016, 4-5, 1033 nota di Tagliente; Trib. Parma, 11 febbraio 2016; Trib. Rovigo, 9 febbraio 2016; Trib. Roma, 13 giugno 2013, n. 8067; Trib. Bolzano, 13 maggio 2011, n. 179, in Riv. Crit. Dir. e Lav., 2012, 2, 250).
Interpretazione questa, che si scontra con quell’orientamento che, invece, vede nelle norme che prevedono ipotesi di solidarietà nella filiera dell’appalto a favore di dipendenti delle previsioni di carattere eccezionale e, pertanto, non suscettibili di estensione oltre quanto tipicamente predeterminato dal legislatore (v. Trib. Genova, 9 marzo 2016; Trib. Monza, 3 marzo 2016; Trib. Milano, 5 febbraio 2015,; Trib. Roma, 14 luglio 2014, n. 7887; Trib. Parma, 3 luglio 2013, n. 985; Trib. Padova, 25 maggio 2012; Trib. Venezia, 9 marzo 2011, n. 218).
I soggetti esclusi dall’applicazione dell’art. 29 d.lgs. 276/2003: i privati e i condominii
Per espressa previsione di legge, comma 2 art. 29 d.lgs. 276/2003, la solidarietà nell’appalto è esclusa nel caso di committente non imprenditore, poiché la ratio della norma è sanzionare il ricorso a forme di intermediazione e interposizione fittizia nell’utilizzo della forza lavoro nell’ambio dell’attività di impresa, ma l’esenzione si trasla anche a favore dei condominii, enti di gestione privi di personalità giuridica e assolutamente non qualificabili come imprenditori (Cass. ord., 11 gennaio 2012, n. 177 richiamata da Trib. Milano, 23 dicembre 2012, n. 3864)
(segue) i casi di appalto pubblico
La solidarietà per gli obblighi retributivi e contributivi a favore di dipendenti dell’appaltatore sarebbe da escludersi in caso in cui il committente sia un ente pubblico o una Pubblica Amministrazione e il contratto nasca nell’ambito di una procedura disciplinata dal d.lgs. 163/2006, oggi d.lgs. 50/2016, in quanto l’attività contrattuale di questi soggetti sarebbe disciplinata esclusivamente dal codice civile e dal codice degli appalti pubblici, con esclusione di leggi speciali tra cui il d.lgs. 276/2003 (così Cass. civ. Sez. lavoro, 10 ottobre 2016, n. 20327).
In senso contrario si è espresso tuttavia Trib. Ivrea Sez. lavoro, 29 ottobre 2013 secondo cui escludere la tutela di cui all’art. 29 d.lgs. 276/2003 in caso di committente qualificabile come ente pubblico o P.A., fuori da un regime di affidamento diretto, sarebbe scelta in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché attribuirebbe una posizione di significativo privilegio alle Pubbliche Amministrazioni committenti rispetto ai committenti privati e sarebbe occasione di obiettivo svantaggio per il lavoratore occupato nell’ambito di un appalto intercorso con committente pubblico (cfr. anche Trib. Varese, 19 gennaio 2012 in Lav. Nella Gir. 2012, 1202, e più recentemente Cass., 23 maggio 2016, n. 10664; Cass., 24 maggio 2016, n. 10731, Trib. Milano, 16 febbraio 2016, n. 466).