La sentenza che definisce, rigettandola, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. pone un vincolo preclusivo solo sui motivi dedotti e non su quelli deducibili
di Stefania Volonterio, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. III, sent. 4 aprile 2019, n. 9316, Pres. Vivaldi, Est. Gianniti
Opposizione all’esecuzione – Giudicato esterno – Limiti oggettivi del giudicato (Cod. Proc. Civ., art. 615; Cod. Civ., art. 2909)
[I] Il giudicato su un’opposizione all’esecuzione non copre il dedotto ed il deducibile, ma soltanto il dedotto
[II] Il giudicato esterno formatosi in altro giudizio di opposizione all’esecuzione produce i suoi effetti anche su un diverso giudizio di opposizione all’esecuzione nel quale risultano essere state dedotte identiche ragioni di opposizione
CASO
Le aggiudicatarie di un immobile nell’ambito di una procedura espropriativa notificavano ai debitori espropriati e ad altri tre soggetti, qualificati come possessori sine titulo dell’immobile stesso, il decreto di trasferimento (pronunciato oltre un anno prima), unitamente all’atto di precetto con il quale intimavano il rilascio del bene nel termine di legge.
Trascorso inutilmente tale termine, le aggiudicatarie facevano notificare ai sopra citati soggetti il preavviso di sloggio, al quale seguiva un primo infruttuoso accesso per l’esecuzione del rilascio.
I debitori espropriati e gli altri tre soggetti indicati come possessori senza titolo dell’immobile (tra i quali vi era la figlia di uno dei debitori espropriati) proponevano opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
Poco tempo dopo, altra opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. veniva promossa da uno dei debitori espropriati e da due degli altri soggetti qualificati come possessori senza titolo dell’immobile (tra i quali la predetta figlia di uno dei debitori espropriati).
In entrambe le opposizione venivano spese le medesime doglianze, cioè che, successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento, le aggiudicatarie avevano concluso con la figlia di uno dei debitori espropriati “una scrittura privata di vendita” dell’immobile de quo: perciò, sostenevano gli opponenti, non solo l’immobile era legittimamente occupato, ma le aggiudicatarie dovevano considerarsi entrate nella disponibilità del bene stesso, avendo di esso disposto con la citata compravendita.
Le aggiudicatarie si costituivano in entrambi i giudizi di opposizione, sostenendo che la compravendita si era risolta per inadempimento dell’acquirente, che non aveva versato, nonostante plurime diffide, il saldo prezzo pattuito nella scrittura privata di compravendita. Sicché, secondo le aggiudicatarie, “il titolo esecutivo ex art. 586 cod. proc. civ. – che non aveva mai esaurito la sua funzione, dato che le aggiudicatarie non avevano mai acquisito la disponibilità del bene in ragione della protratta occupazione – era utilizzabile nei confronti [della figlia di uno dei debitori espropriati], la quale non poteva opporre una situazione di legittimo possesso dell’immobile”.
Il primo giudizio di opposizione si concludeva con il rigetto della stessa e la sentenza non veniva impugnata.
Il secondo giudizio si concludeva invece con l’accoglimento dell’opposizione, accoglimento che veniva confermato in sede di gravame dinanzi alla Corte di appello.
Le aggiudicatarie proponevano allora ricorso per cassazione con il quale, mediante un unico articolato motivo, censuravano la sentenza di appello sotto diversi profili, eccependo preliminarmente il sopravvenuto passaggio in giudicato della sentenza che aveva rigettato la prima opposizione.
SOLUZIONE
La Corte di cassazione accoglie il ricorso in forza di un unico assorbente motivo: la fondatezza dell’eccezione di giudicato esterno formulata dalle aggiudicatarie ricorrenti e rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado.
La Corte, dopo aver svolto alcune preliminari valutazioni circa la ritualità delle modalità con le quali a suo tempo venne notificata dalle aggiudicatarie alle controparti la sentenza che aveva definito, con il suo rigetto, la prima opposizione all’esecuzione, conclude sia per il perfezionamento di tale notifica ad una certa data sia, di conseguenza, per il passaggio in giudicato della medesima sentenza per mancata impugnazione e afferma che, in tal modo, è stato “definitivamente accertato il diritto [delle aggiudicatarie] di procedere ad esecuzione forzata … in forza di titolo esecutivo costituito dal decreto di trasferimento” a suo tempo pronunciato dal giudice dell’esecuzione.
La Suprema Corte conclude, quindi, che il passaggio in giudicato di tale pronuncia rende incontrovertibile “la perdurante efficacia del decreto di trasferimento nonostante il successivo contratto” e infondati i motivi di opposizione spesi in questa seconda opposizione all’esecuzione e giunge a questa conclusione in ragione “dalla totale coincidenza delle causae petendi delle due opposizioni”, sicché “la decisione del Tribunale, divenuta definitiva, spiega gli effetti di giudicato sull’opposizione ex art. 615 comma 2 c.p.c., pendente davanti a questa Corte”.
La Suprema Corte sottolinea che, anche se è vero che il giudicato che si forma su un’opposizione all’esecuzione copra il dedotto ma non il deducibile, poiché in questo caso il “dedotto” è identico in entrambi i giudizi, quanto ormai incontrovertibilmente deciso in uno non può non avere effetti sull’altro.
QUESTIONI
La vicenda sottoposta alla Corte di cassazione porta l’attenzione sul particolare atteggiarsi del limite oggettivo del giudicato pronunciato a definizione di un’opposizione all’esecuzione.
È noto che nel processo ordinario di cognizione vige il principio secondo il quale il giudicato che lo definisce “copre il dedotto e il deducibile”. Ciò significa, in estrema sintesi, che l’efficacia di una pronuncia si estende, oltre a quanto dedotto dalle parti nel corso del giudizio, anche a quanto le stesse avrebbero potuto e dovuto dedurre e non hanno invece dedotto: perciò, non può essere incardinato un nuovo giudizio, avente il medesimo oggetto del precedente, nel quale vengano spesi quei fatti o quelle ragioni rilevanti (o addirittura decisive) che, come detto, potevano (e quindi dovevano) essere dedotte in precedenza, in quanto già deducibili.
La pronuncia in commento rileva come questa regola non sia applicabile al giudizio di opposizione all’esecuzione.
Si deve in primo luogo ricordare che l’opposizione ex art. 615 c.p.c. può fondarsi su motivi di ampiezza diversa, a seconda che essa si rivolga ad una esecuzione fondata su un titolo di formazione stragiudiziale ovvero a quella promossa sulla base di un titolo di formazione giudiziale.
Nel primo caso non si avranno limiti ai motivi deducibili nell’opposizione: poiché, infatti, non vi è mai stata una precedente fase di accertamento giudiziale, l’opposizione all’esecuzione sarà lo strumento mediante il quale riversare tutto quanto sarebbe stato deducibile in un ordinario processo di cognizione volto all’accertamento dell’esistenza del debito e alla relativa condanna all’adempimento.
Nel secondo caso, invece, poiché all’origine del titolo vi è già stata una fase di accertamento giurisdizionale, le contestazioni in opposizione del debitore esecutato potranno fondarsi o su fatti sopravvenuti alla formazione del titolo stesso o, più in generale, solo su fatti che non erano già deducibili nel corso del procedimento che ha dato vita al titolo.
Nel caso, quindi, in cui alla base del procedimento esecutivo ci sia un titolo di formazione giudiziale, il limite del dedotto e del deducibile nascente dal giudicato che è posto alla base dell’esecuzione sarà pienamente applicabile anche nel successivo giudizio di opposizione all’esecuzione.
Non è però questo il principio espresso della sentenza in commento, che descrive l’operare del limite del dedotto e del deducibile nel diverso rapporto tra il giudicato che definisce un’opposizione all’esecuzione e un’altra (o altre) eventuali opposizioni avverso la medesima esecuzione.
È in questo rapporto che il limite in parola opera parzialmente e, peraltro, solo qualora l’opposizione si concluda con un giudicato di rigetto della stessa (nel diverso caso di accoglimento dell’opposizione, infatti, l’esecuzione non potrà più proseguire e, di conseguenza, non sarà ovviamente necessario e possibile esperire altre opposizioni, di qualsiasi natura).
La sentenza che rigetta l’opposizione di merito all’esecuzione avrà invero un’efficacia preclusiva solo rispetto ai motivi che sono stati in essa dedotti (ed evidentemente rigettati) avverso quella particolare esecuzione forzata, lasciando per il resto libero il debitore sia di proporre altre opposizioni alla medesima esecuzione, sia di fondarle, oltre che su fatti sopravvenuti, anche su motivi che egli avrebbe potuto già spendere nella precedente opposizione ma che non ha speso.
Ciò è possibile proprio per la particolare natura del giudizio di opposizione all’esecuzione o, meglio, della sentenza che lo definisce, alla quale, in caso di rigetto, non viene riconosciuta l’idoneità ad accertare definitivamente l’esistenza del credito e a precludere quindi nuove opposizioni fondate anche su fatti che erano già deducibili (per maggiori approfondimenti sul tema della natura della sentenza che definisce un’opposizione all’esecuzione si rinvia, ex multis, a R. Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Utet, 1993, in particolare da pagg. 74, e a R. Oriani, Opposizione all’esecuzione, in Digesto IV civ., XIII).
Per concludere, si può dire che l’opposizione a un’esecuzione fondata su un titolo di origine giudiziale subisce il limite dato dai motivi che sono stati dedotti o potevano esserlo nel giudizio in cui si è formato il titolo; mentre, una volta ottenuto un giudicato di rigetto dell’opposizione stessa, questo potrà costituire un limite, rispetto ad altri giudizi di opposizione, solo per i motivi già dedotti (come accaduto nel caso sottoposto alla Suprema Corte), ma non per i motivi sopravvenuti e, soprattutto, non per i motivi che potevano essere ivi dedotti ma che non stati ciò nonostante spesi, potendosi così dar vita a plurimi procedimenti di opposizione all’esecuzione fino a quando ciò non sia precluso (si veda lo stesso art. 615, comma 2, c.p.c. nelle espropriazioni forzate, relativamente alle quali il provvedimento che dispone la vendita o l’assegnazione forzata preclude la proponibilità dell’opposizione) o fino a che non sopraggiunga una sentenza di accoglimento che ponga nel nulla l’esecuzione.