La riserva non distribuibile ex art. 2426 n. 4 c.c. non può essere utilizzata a copertura delle perdite se dal bilancio risultano iscritte altre riserve che possono far fronte a tali perdite
di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. I, sentenza del 5 maggio 2022, n. 14210.
Parole chiave: Bilancio – riserva non distribuibile – valore partecipazioni in imprese controllate o collegate.
Massima: “La riserva non distribuibile ex art. 2426 n. 4 c.c. è una riserva che deve essere intaccata solo dopo che altre riserve prive del vincolo di non distribuibilità siano state già erose dalle perdite. Laddove, dunque, bilancio recasse iscritte nel netto numerose altre riserve, tali riserve devono essere prioritariamente utilizzate a copertura delle perdite.”
Disposizioni applicate: 2426, 2446, 2447 c.c.
I soci di Alfa costruttori S.p.A., con delibera di approvazione del bilancio dell’anno X, hanno destinato l’utile netto conseguito in tale esercizio a riserva non distribuibile ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4, c.c. Tale deliberazione è stata poi impugnata da alcuni soci per vari motivi, tra i quali quello che qui rileva è il criterio di valutazione delle partecipazioni nelle imprese controllate (ai fini del citato art. 2426, comma 1, n. 4, c.c.).
La deliberazione in oggetto, nella parte relativa alla destinazione dell’utile netto a riserva non distribuibile, è stata ritenuta nulla in primo grado ma valida in appello. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che (i) la valutazione delle partecipazioni nelle imprese controllate va effettuata secondo il metodo del costo storico (e non del patrimonio netto) e (ii) la riserva costituita dalle plusvalenze derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese non avrebbe potuto essere utilizzata per la copertura delle perdite. Il caso è così giunto alla Corte di cassazione, che nelle motivazioni della propria sentenza tratta appunto sull’utilizzabilità a copertura delle perdite di esercizio della riserva non distribuibile.
L’impugnazione della sentenza di appello ha richiesto un chiarimento da parte della Suprema Corte circa il fatto se, ed a quali condizioni, sia legittimo l’utilizzo a copertura delle perdite di esercizio della riserva non distribuibile costituita, ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4 c.c., mediante la valutazione delle partecipazioni in società controllate secondo il criterio del patrimonio netto (in luogo del criterio del costo di acquisto prescritto dal n. 1 della medesima disposizione).
In primo luogo, la Cassazione stabilisce che per valutare le partecipazioni in società controllate ai fini dell’art. 2426 c.c. bisogna tenere a mente le principali (contrastanti) necessità del legislatore nella determinazione delle regole sulla redazione dei bilanci, ossia: (a) evitare che sia sovrastimato lo stato economico-finanziario della società a tutela dell’affidamento dei terzi e (b) non sottostimare tale stato economico-finanziario per mettere in evidenza il reale valore della società – concetto alla base del c.d. fair value. Non solo, occorre altresì tenere conto delle recenti evoluzioni legislative (si pensi alla significativa riduzione del capitale minimo della s.p.a.) che specie per certe realtà imprenditoriali (es. s.r.l. semplificate e start-up innovative) hanno grandemente ridotto consistenza e obblighi sul capitale sociale – ma, si noti, non ne hanno eliminato la caratteristica quale presidio contro la traslazione del rischio di impresa su terzi.
Alla luce di tali nuove tendenze, la Cassazione rileva come siano indubbiamente emersi (nonché siano ampiamente accettati) criteri che legittimino in bilancio l’indicazione di valori reali anziché prudenziali – con riferimento al caso di specie si pensi principio contabile n. 21 emanato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e confermato dall’OIC.
Tuttavia, a parere della Cassazione, in caso di contrasti tra norme assumono sempre precedenza quelle civilistiche di redazione di solito legate ad esigenze di prudenza.
In particolare, secondo l’art. 2426 n. 1 c.c., le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione, mentre il n. 4 della disposizione permette che le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate siano valutate “per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli artt. 2423 e 2423-bis”. La disposizione aggiunge che negli esercizi successivi “le plusvalenze, derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell’esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile”.
Secondo la Cassazione, la regola prudenziale del costo storico evita che si realizzi l’indebita restituzione ai soci dei conferimenti e si cagioni una perdita di patrimonio, impedendo in sostanza l’emergere di un valore positivo; mentre, la valutazione secondo il metodo del patrimonio netto, invece, lascia emergere la c.d. sostanza economica del bene. Tuttavia, l’art. 2426 n. 4 c.c. anche su quest’ultimo punto mantiene un atteggiamento di cautela perché, laddove si optasse per il criterio del patrimonio netto, impone la costituzione di una riserva non distribuibile ai soci. La regola è dunque dettata per evitare il rischio di indebite fuoriuscite di ricchezza dal patrimonio della società e, in particolare, la distribuzione di ricchezza tra i soci con impoverimento dell’ente (e quindi diminuendo le garanzie per i creditori).
Ciò chiarito, la Cassazione risponde quindi alla domanda se una riserva non distribuibile ex art. 2426 n. 4 c.c. possa essere utilizzata al fine della riduzione delle perdite di esercizio. Partendo dal presupposto che le perdite di bilancio rendono possibile o impongono alla società di provvedere alla riduzione del capitale sociale (artt. 2446 e 2447 c.c.), tale diminuzione dovrebbe essere fatta solo dopo l’assorbimento delle riserve alla luce delle citate funzioni “di garanzia” per il ceto creditorio. Tale tesi è confermata dalla giurisprudenza della Cassazione che, con riferimento all’ordine dei “fondi” da utilizzare a copertura di perdite, ha affermato: “debbono essere utilizzati, nell’ordine, prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, indi quelle legali e, da ultimo, il capitale sociale” (cfr. Cass., 6 novembre 1999, n. 12347).
Alla luce dell’interpretazione della Corte di legittimità, pertanto, vale il principio, secondo il quale le riserve appostate al passivo dello stato patrimoniale di una società di capitali possono essere imputate a riduzione delle perdite (salvo diversa specifica previsione normativa) solo in un ordine di progressiva minore disponibilità, da ultimo residuando l’operazione di riduzione del capitale sociale. In particolare, la riserva non distribuibile ex art. 2426 n. 4 c.c. è una riserva che deve essere intaccata solo dopo che altre riserve prive del vincolo di non distribuibilità siano state già erose dalle perdite.
Applicando tutto ciò al caso di specie, la Cassazione conclude per la non utilizzabilità della riserva non distribuibile ex art. 2426 n. 4 c.c. a copertura delle perdite di Alfa costruttori S.p.A. poiché dal bilancio X risultavano iscritte nel netto numerose altre riserve.
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