La risarcibilità iure hereditatis del danno catastrofale
di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. VI, ord. 17 settembre 2019, n. 23153– Pres. Frasca – Rel. Positano
[1] Responsabilità – Risarcimento del danno – Danni non patrimoniali – Danno catastrofale – Iure hereditatis – Condizioni di risarcibilità – Lasso di tempo – Lucidità – Vittima
(Cod. civ. artt. 2056; 2059)
[1] “Nella fattispecie in cui le risultanze processuali dimostrino che la persona sia rimasta lucida nello spatium temporis tra la lesione e la morte, dalla lesione al diritto alla dignità della persona umana (art. 2 Cost.) deriva la risarcibilità del danno non patrimoniale che sussiste sia sotto il profilo stricto sensu biologico sia sotto il profilo psicologico morale.”
CASO
[1] Con atto di citazione Tizio e Sempronia convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Fermo, Mevio e la società X s.r.l., unitamente alla compagnia assicurativa, per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dalla perdita del loro prossimo congiunto, Caio, deceduto a causa delle lesioni subite dallo schiacciamento provocato dal veicolo motopala di proprietà della società X condotto da Mevio.
Il Tribunale accoglieva la domanda attorea, condannando i convenuti in solido al pagamento della somma di euro 190.000 in favore di Tizio e di euro 180.000 in favore di Sempronia a titolo di danno non patrimoniale conseguente alla perdita del rapporto parentale, riconoscendo, altresì, il danno patrimoniale da compensare con la rendita Inail.
Avverso la decisione della Corte d’appello di Ancona – che aveva rigettato il gravame proposto dai parenti della vittima – proponevano ricorso per cassazione Tizio e Sempronia affidandosi ad un unico motivo.
SOLUZIONI
[1] Con unico motivo di ricorso i ricorrenti, deducendo la violazione degli artt. 2056 e 2059 c.c., censurano la sentenza d’appello che, con motivazione «apparente, errata o, comunque, incompleta», aveva negato il diritto dei parenti del defunto al risarcimento, iure hereditatis, del danno morale catastrofale subito dalla vittima a causa della morte avvenuta dopo diverse ore dal sinistro stradale.
Il giudice di appello, in particolare, aveva escluso la risarcibilità di tale voce di danno ritenendo che il lasso temporale intercorso tra l’evento lesivo e la morte – pari a circa due ore e mezza – era troppo breve per la configurabilità dello stesso, tuttavia, il punto centrale per la liquidazione di tale pregiudizio avrebbe dovuto essere, al contrario, la valutazione della lucidità della vittima durante lo spazio di tempo tra l’incidente e il decesso. Nel caso di specie, secondo i ricorrenti, è provato, e non contestato dalle altre parti, che il giovane era deceduto dopo oltre due ore di lucida agonia, a causa di una emorragia mentre cercava di aiutare un’altra persona rimasta bloccata con il proprio mezzo. Durante questo intervallo, la vittima era perfettamente lucida, tanto da avere chiesto al conducente del veicolo di spostarsi in avanti con la pala e, pertanto, avrebbe certamente percepito, in tutta la sua drammaticità, la condizione che stava vivendo, con conseguente configurabilità di un danno catastrofale o da lucida agonia.
La Corte di Cassazione, dopo un excursus logico-giuridico sui danni non patrimoniali risarcibili alla vittima e trasmissibili iure hereditatis, ha accolto il ricorso pronunciando la massima in epigrafe.
QUESTIONI
[1] Negli ultimi approdi giurisprudenziali anche a Sezioni Unite (Cass. SS.UU. civ. n. 15350 del 2015 con nota di L. D’ACUNTO, Le sezioni unite riaffermano l’irrisarcibilità iure hereditatis del danno da perdita della vita, in Nuova Giur. Civ., 2015, 11, 11008; R. FOFFA, Il danno da morte tra Epicuro e Guglielmo D’Occam, in Nuova Giur. Civ., 2015, 11, 11008; P. VALORE, Le sezioni unite confermano l’irrisarcibilità agli eredi del c.d. danno “tanatologico”, in Giur. It., 2015, 10, 2063) si è affermato che alla vittima può essere risarcita la perdita di un bene avente natura non patrimoniale nella misura in cui la stessa sia ancora in vita. Nella vicenda acquisitiva del diritto alla reintegrazione della perdita subita la capacità giuridica, infatti, è riconoscibile soltanto in favore di un soggetto esistente e, conseguentemente, come sottolinea la Suprema Corte, i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima, trasmissibili iure hereditatis, sono i seguenti:
- Il danno biologico (c.d. danno terminale, dunque la lesione del bene della salute) quale danno-conseguenza consistente nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata concreta del periodo di vita del danneggiato dal momento della lesione fino al decesso. L’accertamento di tale danno è questione di fatto, e presuppone che le conseguenze pregiudizievoli si siano effettivamente prodotte, essendo necessario a tal fine, che tra l’evento lesivo e il momento del decesso sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo (la giurisprudenza è vasta: Cass. civ. n. 1877 del 2006; Cass. civ. n. 15491 del 2014, Cass. civ. n. 22228 del 2014, Cass. civ. n. 23183 del 2014).
- Il danno morale soggettivo (c.d. catastrofale o da lucida agonia), consistente nella sofferenza sopportata dalla vittima nel comprendere l’inevitabilità della fine imminente. Anche in questo caso, trattandosi di danno-conseguenza, l’accertamento dell’an presuppone «la prova della cosciente e lucida percezione dell’ineluttabilità della fine» (i precedenti sono numerosi: Cass. civ. n. 6754 del 2011 con nota di L. V. BERRUTI, Nota in tema di danno non patrimoniale da morte, in Giur. It., 2012, 4, 796; Cass. civ. n. 7126 del 2013, Cass. civ. n. 13537 del 2014).
La Corte di Cassazione con sentenza in epigrafe richiama, poi, recenti precedenti (Cass. n. 5684 del 2016 e Cass. civ. n. 21060 del 2016) – conformi alla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 15350 – nei quali viene distinto il danno biologico terminale dal danno psicologico-morale e affermato che, ai fini del riconoscimento del danno biologico terminale, elemento rilevante è il trascorrere del tempo tra la lesione e il decesso mentre non ha importanza la presenza della lucidità della vittima, presupposto, al contrario, essenziale per il riconoscimento del danno morale terminale (o da lucida agonia o catastrofale). Per tali decisioni, in altre parole, ciò che rileva ai fini del riconoscimento del danno morale catastrofale è l’intensità della sofferenza morale, a prescindere dall’apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso ed, invece, nel danno biologico terminale unicamente il lasso di tempo intercorso.
Se, quindi, le Sezioni Unite nel 2015 (e poi la successiva giurisprudenza) affermarono la necessità, ai fini del riconoscimento del danno iure hereditatis, che il decesso non si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo, in quanto viene meno il soggetto cui sia riferibile il danno e al cui patrimonio sia acquisibile il credito risarcitorio, ove, come nel caso di specie, invece, un certo lasso di tempo tra l’evento e il decesso esiste, la situazione cambia radicalmente. Infatti, «la persona è inserita nel sistema giuridico come soggetto “capace” di essere titolare di diritti (mantenendo la capacità giuridica, ex art. 2) con la sussistenza di un danno rapportato alla durata del tempo che separa la lesione – inferita a soggetto titolare di capacità giuridica – dalla morte, evento che, giuridicamente, sopprime la capacità giuridica».
Di conseguenza nell’intervallo di tempo tra la lesione ed il decesso sussiste sempre un danno biologico strictu sensu inteso al quale può aggiungersi un danno morale dato dalla consapevolezza dell’imminente decesso.
La Corte conclude, dunque, sostenendo di voler dare continuità all’orientamento giurisprudenziale consolidato (espresso anche dalla recente sentenza Cass. civ. n. 26727 del 2018) dando rilievo, ai fini della risarcibilità del danno catastrofale – il cui fondamento risiede nella lesione del diritto alla dignità della persona umana ex art. 2 Cost – all’elemento della lucidità nello spatium temporis tra lesione e morte.
In conclusione la Suprema Corte, alla luce di tutte le argomentazioni riportate, ha accolto il ricorso e rinviato la causa al giudice del merito al quale è demandato di verificare se la vittima era lucida tanto da fortemente temere la morte imminente e l’abbandono dei congiunti.
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