12 Aprile 2023

La rinuncia ad avvalersi della clausola compromissoria

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. sez. VI, 4 gennaio 2023, n. 126 Pres. Bisogni e Rel. Catallozzi

Arbitrato rituale – Clausola compromissoria  – Rinuncia – Interpretazione –

(artt. 808, 808 quinquies, 817 e 819  c.p.c.)

Massima: “La dichiarazione resa dal legale di una parte a quello dell’altra, secondo cui l’eventuale controversia tra le parti non potrà che essere affrontata di fronte alla giurisdizione ordinaria ha il significato di rinunzia al procedimento arbitrale”.

CASO

Il caso in commento riguarda una controversia sorta tra due società, avete per oggetto il risarcimento dei danni chiesti dalla prima e conseguenti all’inadempimento contrattuale della seconda, con la precisazione che le parti, in forza del contratto tra loro stipulato, avevano previsto che la questione avrebbe dovuto essere deferita alla cognizione di un arbitro.

Dalla lettura della sentenza della Suprema Corte si comprende, inoltre, che la società danneggiata, prima di introdurre il giudizio avanti il Giudice ordinario, aveva, tramite il proprio legale, invitato la controparte a prestare il proprio assenso sulla persona dell’arbitro proposta.

Quest’ultima, con una dichiarazione stragiudiziale del proprio difensore, aveva precisato che l’eventuale controversia tra le parti, non poteva che essere affrontata di fronte alla giurisdizione ordinaria.

Ricevuta questa indicazione ed intesa come una manifestazione di volontà di non voler aderire alla procedura di arbitrato, ma di voler risolvere la controversia dinanzi al giudice ordinario, la società danneggiata introduceva, con esito vittorioso, il giudizio avanti il Tribunale di Bologna.

Il Giudice ordinario, a fronte dell’eccezione di improcedibilità della domanda attorea, sollevata dalla convenuta sul fondamento della esistenza della clausola arbitrale, la riteneva infondata, sulla scorta della dichiarazione stragiudiziale, qualificata come rinuncia alla possibilità di definire la controversia in un giudizio arbitrale.

Avverso tale sentenza la soccombente proponeva ricorso per regolamento di competenza, affidato ad un unico motivo. Deduceva, in particolare, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 808 ter, 817 e 819 c.p.c. per aver la sentenza impugnata, in presenza di una clausola arbitrale di natura rituale, ritenuto che la società ricorrente avesse espresso la volontà di rinunciare ad avvalersi degli effetti di tale clausola.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ritiene il motivo non fondato e rigetta il ricorso.

In via preliminarmente, il collegio osserva che, diversamente da quanto stabilito dal Tribunale, l’arbitrato in esame è rituale. La clausola compromissoria non presentava, infatti, alcun elemento da cui si potesse desumere che l’arbitrato debba essere qualificato come strumento di composizione amichevole riconducibile alla stessa volontà delle parti, né vi erano deroghe alla norma per cui il lodo ha efficacia di una sentenza (cfr. Cass. 7 agosto 2019, n. 21059; Cass. 7 aprile 2015, n. 6909).

La precisazione è indispensabile perché, a differenza di quanto previsto per l’arbitrato irrituale, il regolamento di competenza è, in questa ipotesi, ammissibile (cfr. Cass. 31 luglio 2017, n. 19060; Cass. 17 gennaio 2013, n. 1158).

Secondo la Suprema Corte, il giudice di merito avrebbe correttamente interpretato la dichiarazione del difensore della ricorrente – in risposta alla richiesta di controparte di esprimere l’assenso sulla persona dell’arbitro proposta – secondo cui “l’eventuale controversia tra le parti, pertanto, non potrà che essere affrontata di fronte alla giurisdizione ordinaria“, attribuendole il significato di manifestazione di volontà di non voler aderire alla procedura di arbitrato e di voler risolvere la controversia dinanzi al giudice ordinario.

Tale qualificazione sarebbe, infatti, coerente con i canoni ermeneutici previsti dalla legge in tema di interpretazione dei contratti, applicabili, in quanto compatibili, anche alle dichiarazioni unilaterali di volontà (cfr., su tale ultimo aspetto, Cass. 6 maggio 2015, n. 9127; Cass. 20 gennaio 2009, n. 1387), con particolare riguardo al tenore letterale della dichiarazione, valutato unitamente al contenuto della richiesta proveniente dalla controparte e della quale costituiva risposta (Sugli effetti della rinuncia all’arbitrato cfr. Punzi, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2012, I, 666; Odorisio, Prime osservazioni sulla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. dir. proc., 2006, 253 ss.; Bove, Aspetti problematici nella nuova disciplina della convenzione d’arbitrato rituale, in Giusto processo civ., 2006, 57).

QUESTIONI

Anzitutto, pare utile ricordare che, con la clausola compromissoria, le parti stabiliscono il deferimento agli arbitri, in via preventiva ed eventuale, delle controversie non ancora sorte, concernenti un determinato contratto o rapporto. In altri termini, mediante tale clausola – in virtù del principio di autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. e ai sensi dell’art. 808 c.p.c. – i contraenti decidono di rinunziare alla giurisdizione statale (Bove, Il patto compromissorio rituale, in Riv. dir civ.,  2002, 403; Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2021; più di recente Bianchi, La controversia sulla convezione di arbitrato, Napoli, 2023).

Sia il compromesso, che la clausola compromissoria possono essere oggetto di rinuncia (purché, ovviamente, concorde), che può essere anche implicita, ovvero per facta concludentia, nella proposizione della domanda al giudice ordinario, senza eccezione dell’altra parte.

Sul tema la giurisprudenza precisa che, qualora la parte promuova nei confronti dei medesimi contraddittori un giudizio davanti al giudice ordinario avente identità, totale o parziale, di oggetto, tale comportamento costituisce implicita rinuncia ad avvalersi della clausola compromissoria, restando, così, ad essa preclusa la possibilità di far successivo ricorso al procedimento arbitrale (Cass. Sez. Unite 6 luglio 2016, n. 13722; Cass. 15 luglio 2004, n. 13121; Cass. 5 dicembre 2003, n. 18643).

La proposizione della domanda, contenuta nella citazione introduttiva ovvero nella comparsa di risposta (in via riconvenzionale), per la soluzione della medesima controversia compromessa in arbitri, configura una rinuncia all’eccezione di compromesso, stante l’evidente incompatibilità tra un’eventuale rinuncia all’azione giudiziaria e la successiva proposizione di quest’ultima Cass. 5 dicembre 2003, n. 18643; Cass. 25 gennaio 1995, n. 874,; Cass. 29 gennaio 1993, n. 1142; contra, Trib. di Civitavecchia 12 aprile 2022).

Secondo Suprema Corte, inoltre, la condotta di una parte, che sceglie di non avvalersi in un giudizio della clausola in esame, non esclude la possibilità che la stessa possa giovarsene in altro giudizio con petitum e causa petendi diversi, pur derivando dalla medesima controversia (Cass. 20 febbraio 2015, n. 3464).

Allo stesso modo, non si configura come rinuncia ad avvalersi della clausola compromissoria, relativa a controversia avente ad oggetto il rilascio di locali ceduti in affitto, la proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dei relativi canoni scaduti, trattandosi di azioni diverse per “petitum” e causa petendi (Cass. 11 novembre 2011, n. 23651).

Il caso in esame è, però, differente, perché, a fronte delle proposizione della domanda avanti il G.O., la controparte ha formulato l’exceptio compromissi.

Lascia, quindi, molte perplessità la soluzione assunta dalla Suprema Corte, atteso che la rinuncia all’arbitrato è stata effettuata al di fuori del giudizio (con una dichiarazione stragiudiziale) da parte di un soggetto terzo (il legale, che si presume sprovvisto di una procura sostanziale per rappresentare la società).

Infatti, per aversi rinuncia definitiva agli effetti della clausola compromissoria è necessaria la legittimazione a disporre (di cui è privo lo stesso sostituto processuale); occorre, inoltre, un comportamento attivo della parte, che riveli chiaramente un intento incompatibile con la volontà di azionare il diritto dinanzi agli arbitri (cfr. Zucconi Galli Fonseca, Riforma del diritto arbitrale, in Nuove leggi civ. Comm., 2007, 1205).

Ove la parte, sia un ente giuridico, si richiede, poi «una esplicita e valida manifestazione di volontà da parte del proprio organo deliberativo» (Henke, I conflitti di potestas iudicandi tra arbitrato e giudice statale nel diritto italiano e comparato, Torino, 2022, 891.

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