La rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 3 marzo 2021, n. 5795, Pres. Cristiano – Est. Mercolino
[1] CTU – Acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio – Censura in sede di legittimità – Modalità e oneri (art. 196 c.p.c.)
La parte che in sede di legittimità lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma è tenuta, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ad indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche mosse agli stessi, in modo tale da consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione.
CASO
[1] Il curatore di un fallimento proponeva azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. nei confronti dell’amministratore della società fallita per violazione del divieto d’intraprendere nuove operazioni dopo la perdita dell’intero capitale sociale e per omissione di vigilanza.
La domanda, anche sulla base delle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio, veniva accolta dal Tribunale di Messina, con conseguente pronuncia di sentenza di condanna di tale soggetto al risarcimento dei danni.
La pronuncia veniva successivamente confermata in secondo grado, dove l’appellante richiedeva, senza successo, la rinnovazione delle operazioni del c.t.u.. Tra i motivi di rigetto dell’appello proposto, per quanto qui interessa, la Corte riteneva corretta la ricostruzione della contabilità sociale compiuta dal c.t.u., rilevando la genericità delle critiche mosse dall’appellante.
La pronuncia veniva fatta oggetto di ricorso per cassazione con il quale, nella presente sede, verrà esaminato il motivo dedicato all’apprezzamento svolto dal giudice di seconde cure circa le operazioni svolte dal c.t.u. Per l’esattezza, il ricorrente lamentava l’errata interpretazione delle voci di bilancio da parte del giudice d’appello – dalle quale sarebbero emerse le violazioni imputate all’amministratore -, affermando la necessità della rinnovazione della c.t.u. ai fini della ricostruzione della reale situazione contabile della società.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte rigetta il ricorso nella sua interezza, dichiarando, tra l’altro, l’inammissibilità del singolo motivo qui in esame.
Nello specifico, la Cassazione ha ricordato il proprio consolidato orientamento, secondo cui la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire il c.t.u. a chiarimenti ovvero di rinnovare, in parte o in toto, le indagini, sostituendo il consulente, è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato (in tal senso, Cass., 24 gennaio 2019, n. 2103; Cass., 30 marzo 2010, n. 7622; Cass., 14 novembre 2008, n. 27247).
Nel caso di specie, tale adeguata motivazione risultava emergere dal complesso delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata a sostegno dell’adesione alle conclusioni rassegnate dal c.t.u., la cui irrituale contestazione – in quanto affetta da genericità -, comportandone la definitività, escludeva la possibilità di censurare la decisione di non procedere alla rinnovazione della consulenza.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dalla Cassazione, e che verrà presa in esame nello sviluppo del presente commento, attiene all’identificazione delle corrette modalità per procedere alla censura dell’attività svolta dal c.t.u. nominato, sì da poter ottenere, se del caso, la rinnovazione delle operazioni.
La consulenza tecnica è lo strumento, disciplinato agli artt. 61 ss. e 191 ss. c.p.c., di cui il giudice può avvalersi d’ufficio laddove, per la decisione di determinate questioni, sia necessaria l’acquisizione di uno specifico sapere tecnico.
La consulenza viene espletata da un soggetto esperto il quale, al termine delle proprie operazioni, è chiamato a redigere una relazione, sulla quale le parti sono legittimate a presentare osservazioni, che saranno oggetto di una successiva sintetica valutazione da parte del consulente stesso (art. 195, 3°co., c.p.c.).
Alla rinnovazione delle indagini e alla sostituzione del consulente è dedicato l’art. 196 c.p.c., che, in particolare, accorda «sempre» al giudice la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini peritali, qualificando dunque siffatto potere come discrezionale.
È opportuno precisare che detta attività di rinnovazione non dipende dalla nullità della consulenza espletata, bensì dalla circostanza per cui il risultato finale della stessa sia risultato inattendibile al fine della decisione della causa (o perché il consulente non ha assolto al proprio compito, o perché non ha adeguatamente espresso le proprie valutazioni, o perché non sono state osservate le norme in materia). In tali ipotesi, successivamente al deposito della relazione il giudice può scegliere, a sua discrezione, se disporre una nuova consulenza, affidandola a un altro esperto, invitare il c.t.u. già nominato a fornire chiarimenti sulle operazioni svolte ovvero richiedergli un’integrazione della relazione depositata (per i concetti sin qui esposti si rinvia a S. Barone, sub art. 196, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, II, Milano, 2018, 363 ss.; nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 15 luglio 2011, n. 15666).
Laddove sia la parte a presentare istanza di rinnovazione della c.t.u., è discusso se il giudice, nel caso in cui opti per il rigetto di tale richiesta, sia tenuto a motivare la propria decisione. Sulla questione, infatti, si registra: a) la pronuncia di Cass., 27 aprile 2011, n. 9379, che ha affermato l’obbligo del giudice di motivare il proprio rigetto laddove la richiesta di rinnovazione della parte sia adeguatamente argomentata; nonché b) la più recente Cass., 29 settembre 2017, n. 22799, secondo cui, all’opposto, il giudice non solo non sarebbe tenuto a motivare il suo diniego, ma non sarebbe neppure tenuto a un’espressa pronuncia sul punto, dato che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri discrezionali.
Interessante ai fini dell’analisi del provvedimento in commento è poi la pronuncia di Cass., 18 marzo 2015, n. 5339, secondo cui in appello è ammissibile la richiesta di rinnovazione della c.t.u. ove si contestino le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado (attività che, ovviamente, non costituisce richiesta di ammissione di un nuovo mezzo di prova, in quanto tale vietata ex art. 345 c.p.c.); il giudice, peraltro, se non ha l’obbligo di motivare il diniego di rinnovazione – che può essere anche implicito -, è tenuto a rispondere alle censure tecnico-valutative mosse dall’appellante avverso le valutazioni contenute nella sentenza impugnata, con la conseguenza per cui l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione non integra vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., bensì un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte per rigettare le censure alla sentenza impugnata.
In altri termini, se la parte presenta un’argomentata censura all’attività del c.t.u., accompagnata da un’istanza di rinnovazione della stessa, il giudice – pur potendo rigettare tale istanza in via implicita – è tenuto a rispondere a tali censure, pena l’integrazione del vizio di motivazione della relativa decisione di rigetto.
Nel caso di specie, tuttavia, le censure mosse dall’appellante sono state qualificate del tutto generiche: ciò che, evidentemente, ha fatto venir meno in capo al giudice d’appello anche l’obbligo di motivare il rigetto della richiesta di rinnovazione, con conseguente preclusione di qualsiasi possibilità di censura di tale questione nel successivo giudizio di cassazione.
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