7 Settembre 2015

La rinascita delle inibitorie collettive a tutela dei consumatori e il presunto divieto del c.d. “anatocismo bancario”

di Angelo Danilo De Santis Scarica in PDF

La controversa applicabilità dell’art. 120, 2° comma, T.U.B., che sembra imporre un divieto di capitalizzazione degli interessi (attivi e passivi), è all’origine della riscoperta dello strumento della azione inibitoria collettiva; alcuni uffici giudiziari, accogliendo le azioni esercitate in sede cautelare da alcune grandi associazioni di consumatori, hanno inibito alle banche di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di anatocismo degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in essere o che verranno in futuro stipulati con consumatori, nonché di predisporre, utilizzare e applicare clausole anatocistiche.

 

Dopo un lungo periodo di torpore, alcune grandi associazioni di consumatori hanno riscoperto lo strumento della azione inibitoria collettiva.

Per circa dieci anni, dalla metà degli anni novanta del secolo scorso, la tutela giurisdizionale collettiva ha seguito le strade delle inibitorie di clausole abusive nei contratti dei consumatori (art. 1469 sexies c.c., abrogato e trasformato, con alcune modificazioni, nell’art. 37 cod. consumo) e di atti e comportamenti lesivi (art. 3 l. 281/98, abrogato e trasformato, con alcune modificazioni, nell’art. 140 cod. consumo).

Con la restrizione delle maglie della legittimazione ad agire, riservata, a seguito dell’avvento del codice del consumo (d. leg. 206/2005), solo ad alcune grandi associazioni di consumatori in grado di iscriversi in un apposito elenco ministeriale (art. 137 e 139), il numero e l’importanza delle inibitorie collettive hanno subito un obiettivo decremento, coinciso con la riscoperta dell’importanza degli strumenti di tutela collettiva risarcitoria, sfociata, a propria volta, nell’introduzione, nel nostro ordinamento, della azione di classe a tutela di consumatori e utenti (art. 140 bis cod. consumo, nella versione di cui alla l. 99/2009).

Sennonché, dopo sei anni, la fallimentare esperienza pratica – che ha condotto all’accoglimento delle azioni risarcitorie collettive in soli tre casi, a fronte di una cinquantina di procedimenti instaurati – ha dimostrato l’inadeguatezza della azione risarcitoria di classe, dovuta ad una certa approssimazione da parte del legislatore nel dettare gli accorgimenti tecnico-processuali di un nuovo modello di processo (cfr., esemplificativamente, A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva. Contributo allo studio della legittimazione ad agire e delle tecniche inibitorie e risarcitorie, Napoli, 2013; v., anche, Id., Recenti sviluppi della giurisprudenza sull’azione di classe a tutela dei consumatori, Treccani.it).

L’ormai diffusa consapevolezza delle inefficienze della azione di classe, è all’origine di iniziative parlamentari assunte all’inizio del 2015 (A.C. 1335/XVII, recante «Modifiche al codice di procedura civile e abrogazione dell’articolo 140 bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, in materia di azione di classe», presentato alla Commissione giustizia della Camera dei Deputati il 19 novembre 2014, abbinato all’A.C. 3017/XVII, presentato dinanzi alla medesima Commissione il 6 maggio 2015) finalizzate a ridisegnare gli strumenti di tutela giurisdizionale collettiva dei consumatori (sul punto, si rinvia al resoconto stenografico dell’audizione svoltasi dinanzi alla Commissione giustizia presso la Camera dei Deputati in data 21 aprile 2015).

 

In questo contesto, nuova linfa al contenzioso consumeristico è fornita dai recenti successi riscossi da azioni inibitorie collettive, esercitate in sede cautelare da associazioni iscritte nell’elenco ministeriale (v., ad es., l’estratto dell’ordinanza del Tribunale di Milano, pubblicato sul sito di Unicredit).

In particolare, nei confronti di alcuni istituti di credito (tra cui Deutsche Bank, Banca Popolare di Milano, Banca Intesa San Paolo, Unicredit, Banca Sella, Fineco Bank), sono state proposte azioni finalizzate ad inibire qualunque forma di capitalizzazione degli interessi passivi relativa a contratti di conto corrente bancario già stipulati o da stipularsi con i consumatori.

Gli uffici giudiziari aditi in sede cautelare, tra cui il Tribunale di Milano (7 e 23 aprile 2015, 9 luglio 2015) e il Tribunale di Biella (7 luglio 2015), hanno riconosciuto che la natura collettiva dell’interesse di un’associazione di consumatori alla proposizione di una domanda di inibitoria dell’adozione di clausole asseritamente nulle prescinde dalla ampiezza del numero dei contratti in cui sono inserite.

Inoltre, il presupposto dei giusti motivi d’urgenza, necessario alla concessione in sede cautelare dell’inibitoria collettiva di ogni forma di capitalizzazione di interessi passivi mediante l’inserimento di clausole asseritamente nulle è stato rintracciato nella loro attitudine a produrre o a reiterare, in danno dei consumatori, effetti pregiudizievoli.

Diversamente, il Tribunale di Parma (30 luglio 2015) ha rigettato il reclamo cautelare proposto da un’associazione, nell’ambito di una inibitoria collettiva esercitata in danno di Cariparma, perché non ha ravvisato la ricorrenza del periculum in mora, alla luce della capienza del patrimonio dell’istituto di credito e delle linee guida della Banca d’Italia, trasfuse nella proposta del 24 agosto 2015 per l’adozione della delibera C.i.c.r., imposta dalla lettera dell’art. 120 T.U.B.
Anche il Tribunale di Torino, investito di un ricorso cautelare nei confronti della Banca del Piemonte, ha rigettato la richiesta di inibitoria ritenendo inapplicabile l’art. 120 T.U.B.

E’ questo il cuore del problema.

Secondo l’orientamento che, al momento, pare essere maggioritario nella giurisprudenza di merito, l’art. 120 T.U.B. sarebbe, per così dire, self executing, giacché, al contrario di quanto sostenuto dagli istituti di credito convenuti e dalla stessa Banca d’Italia, sarebbe già vigente ed efficace, nel nostro ordinamento, il disposto delle lett. a) e b) del 2° comma, secondo le quali:

«a) nelle operazioni in conto corrente [debba essere] assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

La disposizione, per la verità, prevede che sia il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio a dover stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, ma, al contempo, ne traccia, con le lett. a) e b) del 2° comma, i confini.

Il ritardo, di circa 18 mesi, nell’adozione della delibera da parte del C.i.c.r. è dunque all’origine dell’incertezza interpretativa in materia, cui lo stesso Comitato aveva in passato tentato di porre rimedio (sulla praticabilità e sui limiti dell’anatocismo bancario nel periodo che va dal giorno in cui è divenuta efficace la delibera del C.i.c.r. del 9 febbraio 2000 – 22 aprile 2000 -, sino al 1° gennaio 2014, data di entrata in vigore dell’art. 1, 629° comma, l. 27 dicembre 2013, n. 147, che ha sostituito il 2° comma dell’art. 120 T.U.B., v. Trib. Padova 26 luglio 2012, Foro it., 2013, I, 1028; peraltro, il d.l. n. 91/2014, nel testo non convertito sul punto, stabiliva: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre»).

Una certa equivocità della norma si rintraccia nella lett. b), la cui espressione «gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori» parrebbe consentire una prima capitalizzazione degli interessi, il che sarebbe però in contrasto con la successiva previsione secondo cui «nelle successive operazioni di capitalizzazione [gli interessi] sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

Inoltre, l’interpretazione volta a precludere qualunque forma di capitalizzazione degli interessi si porrebbe in dissonanza con le legislazioni vigenti nei paesi dell’U.E.

Lo scorso giugno il direttore generale per la stabilità finanziaria della Commissione Europea, Jonathan Faull, ha inviato una comunicazione al rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, Stefano Sannino, in cui vengono chiesti chiarimenti sul funzionamento del divieto, per valutare se le norme siano in contrasto con il principio di libera circolazione dei capitali previsto dal Trattato di Schengen.

Le norme sul divieto di anatocismo potrebbero rappresentare un ostacolo per le banche straniere che volessero (continuare ad) offrire i loro servizi in Italia. 

In attesa dell’intervento chiarificatore del C.i.c.r. e degli sviluppi della giurisprudenza, l’accoglimento delle azioni inibitorie collettive apre nuove e inaspettate strade di tutela ai consumatori che pretendano la restituzione delle somme illegittimamente addebitate sui propri conti correnti.