4 Luglio 2023

La rimozione della canna fumaria in proprietà esclusiva di un condomino non appartiene alla competenza assembleare

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte Suprema di Cassazione, Sez. II, Civile, Sentenza n. 15278 del 31 maggio 2023, Pres. Dott. Felice Manna, Rel. Dott. Antonio Scarpa.

Massima: “L’espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di altrui proprietà esclusiva posto a copertura dell’edificio condominiale non rientra tra le attribuzioni dell’assemblea di condominio, configurandosi come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, numeri 4 e 5, c.c. Ne consegue che, ove il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione di detta servitù, è necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’art. 1392 c.c., non potendo perciò il proprietario del fondo gravato dalla servitù invocare il principio dell’apparenza del diritto, agli effetti dell’art. 1398 c.c., ove abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che abbia speso il nome del titolare della servitù, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta.”.

CASO

Tizio e Caio, proprietari esclusivi di un lastrico solare sul quale erano collocati i comignoli degli altri condomini, ricorrevano al Giudice di Pace di Pescara per veder accertata la responsabilità di Sempronio, in qualità di falsus procurator, per aver indotto gli attori dichiarando nel corso dell’assemblea che Mevio lo aveva incaricato di esprimere la propria volontà favorevole alla rimozione di tre canne fumarie in uso a quest’ultimo nonché ai genitori del delegato.

L’azione era mirata a condannare Sempronio al risarcimento del danno pari all’importo delle spese di ripristino delle canne fumarie, nella somma di euro 1.823,25, e delle spese di altro giudizio con esito infausto per gli attori, pari a Euro 2.021,76, intrapreso contro Mevio per il rimborso delle spese sostenute a seguito della rimozione di dette canne fumarie.

Il Giudice accoglieva la domanda limitatamente alla ripetizione delle spese di ripristino in quanto Sempronio, in qualità di delegato di Mevio, non aveva manifestato il dissenso di quest’ultimo all’autorizzazione concessa nell’assemblea totalitaria.

Con l’appello proposto dal convenuto soccombente, mirato ad ottenere l’accertamento dell’invalidità della delibera assembleare, il Tribunale dopo aver riportato il testo dell’art.67 disp. att. c.c. come modificato dalla legge n. 220 del 2012, non applicabile tuttavia nel caso in esame ratione temporis, ed aver escluso che in base al testo previgente la delega assembleare necessitasse della forma scritta, in riforma della sentenza di primo grado, ha osservato come la questione non era all’ordine del giorno e che era stato accertato nel giudizio di Tizio e Caio contro Mevio, che la canna eliminata era di proprietà di quest’ultimo e dunque non c’era competenza deliberativa assembleare. Veniva infatti non ritenuta diligente ex 1227, II comma c.c. la condotta di Tizio e Caio i quali avevano provveduto immediatamente all’eliminazione della canna di proprietà esclusiva di Mevio, posto che la delibera era stata adottata in materia estranea all’attribuzione ed in assenza di delega scritta di Sempronio, pur trattandosi di “dimissioni di diritti reali”.

Avverso alla sentenza di gravame, Tizio e Caio proponevano ricorso per cassazione, riferito a quattro motivi, incontrando le resistenze dell’intimato Sempronio.

SOLUZIONE

La Suprema Corte rigettò il ricorso e i ricorrenti vennero condannati in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo (“che liquida in complessivi € 1.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.”).

QUESTIONI

Attraverso la presentazione di plurimi motivi di ricorso, Tizio e Caio denunciano lesioni ricondotte a quelle degli artt. 112 c.p.c., 1135 e 1137 c.c.. 67 disp. att. c.c. nonché dell’artt. 1227, comma 2, 2056 e 1175 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma I, n.3.

I ricorrenti sottolinearono come il convenuto Sempronio si fosse limitato ad eccepire l’invalidità della delibera assembleare nonché al semplice richiamo di quanto statuito nella sentenza emessa dal Giudice di pace, senza censurare l’accertamento della sussistenza della sua responsabilità e l’incolpevole affidamento di Tizio e Caio, evidenziandosi come la deliberazione assembleare fosse stata assunta all’unanimità, sicché il consenso espresso dai proprietari delle canne fumarie rivestiva un valore negoziale, sottolineando, peraltro, che non occorreva delega scritta in favore di Sempronio ed, in ogni caso, la delibera era “opponibile” anche a Tizio e Caio, obbligati ad eseguirla, essendo la stessa una delibera approvata all’unanimità e sottoscritta da tutti i presenti.

Lette le argomentazioni presentate nel ricorso, la Suprema Corte ritenne manifestamente infondato il primo motivo di cassazione della sentenza di gravame mentre il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente, giacché connessi, si rivelano del tutto non fondati, pur dovendosi correggere la motivazione parzialmente erronea in diritto della sentenza impugnata, a norma dell’art. 384, comma 4, c.p.c..

Innanzitutto, il collegio sottolineò la mancata erroneità e contraddittorietà della sentenza di primo grado in relazione all’accoglimento della richiesta di pagamento avanzata da Tizio e Caio, e concerneva l’oggetto della delibera assembleare che aveva autorizzato i lavori e i limiti delle competenze dell’assemblea in relazione ai diritti individuali di proprietà.

Infatti, la sentenza di primo grado ed il conseguente appello che deduceva l’invalidità della delibera assembleare, ove il consenso di Mevio, falsamente rappresentato da Sempronio alla rimozione della canna fumaria, sarebbe stato espresso, “apriva il riesame del giudice del gravame sull’intera questione della sussistenza e della validità del potere rappresentativo e dell’affidamento incolpevole di Tizio e Caio, non configurando tali questioni una “parte della sentenza”, agli effetti dell’art. 329, comma 2, c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno”.

Tale tema era già stato affrontato dalla stessa Suprema Corte, dal giudicato del 28 settembre 2012 n. 16583, nel quale era stato esposto con grande chiarezza come la nozione di “parte della sentenza”, alla quale fa rifermento l’art.329, cpv. c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita, e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le statuizioni minime suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, le quali sono “sono costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, intesa come unitaria scansione logica che comprende e supera le singole sue componenti, ancorché ciascuna di esse possa essere, isolatamente considerata, oggetto d’impugnazione”.

Ciò posto, la Suprema Corte ha evidenziato come esulassero dal tema di lite le questioni concernenti l’obbligatorietà delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini, all’ordine del giorno ed all’intervento dei condomini all’assemblea a mezzo di rappresentante di delega, laddove la vicenda aveva ad oggetto la rimozione di una canna fumaria di proprietà di Mevio dal lastrico solare di proprietà esclusiva di Tizio e Caio.

Nella specie, è pacifico in giurisprudenza, con riguardo ad edifici in condominio, che una canna fumaria, può ben appartenere ad un solo condomino, ove sia destinata a servire esclusivamente l’unità immobiliare di proprietà esclusiva cui afferisce, mentre, al contrario, non è necessariamente di proprietà comune[1].

Pertanto, non spetta “all’assemblea accollare ad uno o ad alcuni dei condomini la spesa necessaria per la rimozione di una canna fumaria dalle parti condominiali, sia pure in ottemperanza ad un ordine della pubblica autorità, in quanto il collegio dei partecipanti non può ascrivere spese ai singoli, ove non ne sia accertata in sede giudiziale la responsabilità, che comporti l’onere individuale del relativo ripristino”[2].

Similmente, è consolidata l’interpretazione secondo cui l’assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni e non dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi.

Pertanto, qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi[3]. Uno dei casi in cui la deliberazione dell’assemblea dei condomini deve ritenersi affetta da nullità è quella della “impossibilità dell’oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione”, ovvero in relazione alle “attribuzioni” proprie, dalle quali esulano gli interventi di manutenzione di beni di proprietà individuale.

La Corte, in una recente sentenza a Sezioni Unite del 14 aprile 2021 n.9839, aveva già osservato come debba riconoscersi – secondo i principi generali – che il giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo ha il potere di sindacare la nullità della deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione  in quanto, l’opposizione medesima, apre un ordinario giudizio di cognizione sulla domanda proposta dal creditore con il ricorso, il cui oggetto si estende all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto in contestazione[4]. Ancor di più se il giudizio instaurato tende alla legittimità del diritto fatto valere. Inoltre, sussistevano ragioni di economia processuale che non permettevano soluzioni alternative laddove si consideri che consentire al giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo la possibilità di sindacare la validità della deliberazione assembleare consente di definire nel medesimo giudizio tutte le questioni relative alla delibera su cui si fonda l’ingiunzione e di evitare la proliferazione delle controversie. Si tratta di una interpretazione che, oltre ad essere in linea col principio costituzionale della ragionevole durata del processo, consente anche di evitare il rischio di contrasti di giudicati.

Pertanto, il potere deliberativo dell’assemblea sussiste in quanto l’assemblea si mantenga all’interno delle proprie attribuzioni, ad essa conferite dalla legge, prescindendo dalle quali la deliberazione avrà un oggetto giuridicamente impossibile e risulterà viziata da “difetto assoluto di attribuzioni”, vizio che attiene all’an del potere stesso, dipendendo dalla carenza assoluta in astratto del potere esercitato. In tali casi, la deliberazione è affetta da nullità radicale per “impossibilità giuridica” dell’oggetto, al contrario di quanto accadrebbe se, invece, l’assemblea adottasse una deliberazione nell’ambito delle proprie attribuzioni, ma esercitasse malamente il potere ad essa conferito.

Quando si verte in tema di deliberazione di competenza dell’assemblea condominiale, adottata in forza del voto di un presunto “falso delegato”, voto che abbia inciso sulla legittima costituzione dell’assemblea o sul raggiungimento della maggioranza deliberativa, per i rapporti tra il primo ed il condomino rappresentato trovano disciplina le regole sul mandato. Pertanto, solo il condomino delegante si ritiene legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega, e non invece gli altri condomini estranei a tale rapporto.

Infatti, come statuito nella sentenza del 22 luglio 2022 n.22958, in mancanza di impugnazione da parte del delegante, la delibera è perfettamente valida anche se la stessa sia stata adottata in forza del voto di un falso o infedele delegato, nonostante tale voto abbia inciso sulla regolare costituzione della riunione o sul raggiungimento della maggioranza deliberativa. Di fatto, i giudici di Cassazione si espressero anche in relazione al regime probatorio ritenendo incombente sul condomino che dal verbale dell’assemblea risulti rappresentato su delega l’onere di provare in sede di impugnazione che nessuna delega era stata rilasciata, ovvero che la stessa doveva ritenersi invalida.

Poiché il caso in esame atteneva, tuttavia, alla espressione del consenso del proprietario di una canna fumaria alla rimozione dell’impianto collocato sul lastrico solare di proprietà esclusiva altrui, posto a copertura dell’edificio condominiale, la fattispecie deve essere qualificata come rinuncia del titolare della servitù di attraversamento e fuoriuscita di canna fumaria, esistente a carico del lastrico medesimo ed in favore dell’immobile sottostante, la quale deve risultare da atto scritto, ai sensi dell’art. 1350, numeri 4 e 5, c.c..

Tanto precisato, il principio sopradetto dovrà necessariamente essere modulato in ragione delle specifiche circostanze della fattispecie e, dunque, sarà imperativo valutare se il proprietario della canna fumaria si faccia rappresentare al fine di esprimere il proprio consenso alla estinzione della servitù gravante sull’immobile di altri. Sarà necessario che il conferimento della procura risulti da atto scritto secondo la previsione di cui all’art. 1392 c.c.; il proprietario del fondo servente non potrà perciò invocare il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole, al fine di affermare la responsabilità del falsus procurator ex art. 1398 c.c. laddove, come nella specie, abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del delegato che sia incorso nella spendita del nome, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta.

In ragione di tali motivazioni, la Corte di Cassazione dispose il rigetto del ricorso ed i ricorrenti vennero condannati in solido a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

[1] Cass. Sez. 6-2, n. 4499 del 2020, in sentenze.laleggepertutti.it; n. 18350 del 2013, in Giust. civ. Mass., 2013.

[2] Cass. Sez. 2, n. 10053 del 2013, in Giust. civ. Mass., 2013; n. 7890 del 1999 in Giust. civ. Mass., 1999, 1695.

[3] Cass. Sez. 6 – 2, n. 16953 del 2022, in i2.res.24o.it.

[4] Tra le più recenti, Cass., Sez. L, n. 21432 del 17/10/2011 in www.avvocatozanetti.it.

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