La rilevanza delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali
di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDFUna delle più significative novità introdotte dalla “Legge Gelli-Bianco” rispetto alle previsioni contenute nell’art. 3 della “Legge Balduzzi” riguarda la rilevanza delle linee guida e delle buone-pratiche clinico assistenziali nei giudizi di responsabilità civile del medico.
Nel prevedere il dovere del professionista sanitario di attenersi, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità pubblica, l’art. 5 della nuova legge si discosta dalla precedente sotto due punti di vista: da un lato, precisa quali sono le linee guida rilevanti nel giudizio di responsabilità medica tramite la creazione di un sistema di accreditamento formale affidato alle istituzioni, così soddisfacendo un’innegabile esigenza di certezza ma, al contempo, inevitabilmente introducendo anche il rischio di imporre a medici e pazienti una sorta di «medicina di Stato» in aperto dispregio dei fondamentali principi di libertà terapeutica del medico e di autodeterminazione del malato; dall’altro, opportunamente impone al professionista sanitario di discostarsi dalle linee guida in considerazione delle specificità del caso concreto, in tal modo riconoscendo che, come invero già insegna un consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale, la verifica dell’osservanza delle linee guida (così come delle buone pratiche delle quali si parlerà a breve) è soltanto un aspetto, assolutamente non esclusivo né esaustivo, del giudizio sulla colpa – diligenza del medico, che pertanto non potrebbe essere automaticamente condannato per il solo fatto di non averle rispettate né, di converso, potrebbe essere mandato esente da responsabilità per il solo fatto di avervi prestato osservanza.
Un secondo elemento di novità della “Legge Gelli-Bianco” riguarda, poi, il ruolo delle «buone pratiche clinico-assistenziali», che l’art. 3 della “Legge Balduzzi” metteva sullo stesso piano delle linee guida e l’opinione maggioritaria considerava, seppure con una certa varietà di accenti, in realtà non distinguibili dalle linee guida stesse.
L’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 5 della nuova legge pone, infatti, le buone pratiche in posizione subordinata rispetto alle linee guida, disponendo che vadano osservate solamente in mancanza di queste ultime. Va da sé che, di fronte a una siffatta disciplina, non sembra più sostenibile la tesi che identifica(va) le due espressioni: per le linee guida, quindi, si potrà continuare a fare riferimento alla tradizionale e consolidata definizione di «raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche»; per identificare le buone pratiche, invece, sarà necessario districarsi tra le molteplici – e invero non sempre perspicue – formule proposte dalla dottrina già sotto il vigore dell’art. 3 della “Legge Balduzzi”. Le buone pratiche sono infatti state definite, senza pretese di completezza, da taluno come i protocolli, schemi rigidi e predefiniti di comportamento diagnostico-terapeutico che descrivono le procedure alle quali l’operatore sanitario deve strettamente attenersi in una determinata situazione; da altri come indicazioni trattamentali di comprovata efficacia anche se non regolamentate, quali, a titolo esemplificativo, taluni usi off label dei farmaci; da altri ancora come la concreta attuazione delle linee guida o le procedure non previste dalle linee guida ma comunemente applicate e di cui sia riconosciuta (per esempio nei testi scientifici di cui non sia contestata l’autorevolezza) l’efficacia terapeutica; infine, secondo un’ulteriore impostazione, come modelli comportamentali condivisi (e sostanzialmente coincidenti con) gli usi cautelari diffusi in un determinato contesto spazio-temporale.
Per quanto infine riguarda il ruolo che le linee guida e le buone pratiche sono destinate a svolgere nei giudizi di responsabilità civile del medico ai sensi della disciplina contenuta nella “Legge Gelli-Bianco”, va ricordato che l’art. 3 della “Legge Balduzzi”, attribuendo al giudice il compito di tenere debitamente conto della condotta del medico conforme a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica «anche nella determinazione del risarcimento del danno», veniva da più parti interpretato nel senso che linee guida e buone pratiche fossero state elevate a rango di elemento di valutazione non soltanto dell’an della responsabilità civile del professionista sanitario, ma pure del quantum della responsabilità stessa, nel senso di imporre al giudice di diminuire l’entità del risarcimento in considerazione della lievità della colpa del medico che, pur avendo commesso un qualche errore fonte di responsabilità civile, comunque si fosse attenuto alle summenzionate linee guida e buone pratiche. Nonostante la non perfetta coincidenza della formulazione letterale delle due disposizioni, sembra che anche la legge “Gelli-Bianco” sia oggi in grado di esprimere una siffatta disciplina, considerato che l’art. 7, comma 3, ultimo periodo della stessa obbliga il giudice a tenere conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5 (nonché del nuovo art. 590-sexies c.p.) «nella determinazione del risarcimento del danno».