La ricorribilità in Cassazione del decreto di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio
di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDFIl mantenimento e l’affidamento del figlio nato nel matrimonio sono decisi nell’ambito del processo di separazione o di divorzio che si svolge nelle forme di un giudizio a cognizione piena, disciplinato dettagliatamente dalle norme del codice di procedura civile (artt. 706 e seg. c.p.c.) e dalle norme processuali sul divorzio.
Il giudizio sull’affidamento e il mantenimento dei figli nati da convivenze di fatto, segue un rito diverso, quello del giudizio in camera di consiglio di cui agli artt. 737 e seg. c.p.c.
La legge di riforma della filiazione (l. n. 219/2012) ha unificato le competenze giurisdizionali, investendo il tribunale ordinario di una competenza generale in materia di affidamento e mantenimento dei figli, a prescindere dal fatto che i minori siano nati o no nel matrimonio.
Il rito camerale, quale modello da applicare alle controversie relative ai figli nati da conviventi, invece, differisce dal modello dei giudizi separativi.
Si tratta di un procedimento tradizionalmente caratterizzato dalla collegialità dell’organo giudicante, dall’essenzialità del contraddittorio e dalla mancanza di tutela anticipatoria.
Il provvedimento finale ha la forma del decreto motivato, che per sua natura manca del carattere della decisività e della definitività ai fini della formazione del giudicato tra le parti ed è, infatti, modificabile e revocabile in ogni momento dallo stesso giudice.
Ai sensi dell’art. 739 c.p.c., contro il decreto motivato può essere proposto reclamo presso la Corte di Appello, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se dato nei confronti di più parti. I decreti acquistano efficacia decorso tale termine senza che sia stato proposto reclamo, ma per ragioni di urgenza il giudice può disporre che il decreto abbia efficacia immediata.
La Corte Suprema ha però specificato che il regime delle impugnazioni cambia in base al contenuto dei provvedimenti emessi.
Il decreto di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, in forza delle innovazioni introdotte dalla legge n. 54 del 2006, ha natura sostanziale di sentenza, perché risolve una controversia tra opposte posizioni di diritto soggettivo ed ha il requisito della decisorietà e della definitività, con efficacia assimilabile, seppur rebus sic stantibus, a quella del giudicato.
Anche se dato con la forma dei provvedimenti camerali, il decreto che conclude il giudizio sull’affidamento del figlio nato in una convivenza di fatto, è impugnabile, nei termini ordinari di cui agli articoli 325 e 327 c.p.c., con appello mediante ricorso e non con il mezzo del reclamo ex articolo 739 c.p.c.
Per quanto attiene alla ricorribilità di tali provvedimenti in Cassazione, in un primo momento la giurisprudenza operava una distinzione.
Secondo un orientamento meno recente della Cassazione, i provvedimenti che riguardano la limitazione della responsabilità genitoriale ex artt. 330 ss. c.c. attengono alla volontaria giurisdizione, poiché sono resi a seguito di un procedimento di tipo camerale non contenzioso privo di un vero e proprio contraddittorio, e non sono ricorribili. Questo perché non si devono risolvere conflitti tra diritti di pari rango, essendo in gioco la tutela di interessi superiori quali quelli dei minori.
I decreti che concludono il procedimento ex art. 737 c.c. non sono equiparabili a una sentenza in quanto possono essere in ogni tempo revocabili e modificabili e quindi non idonei ad acquisire efficacia di giudicato (Cass. Civ. n. 12536/2012).
Diversamente accade per i provvedimenti assunti in materia di affidamento dei figli minori, siano essi legittimi o naturali, per i quali è ammesso il ricorso per Cassazione, perché in quel caso si mira a risolvere un conflitto tra genitori attinente all’esercizio della potestà. Al contrario, i provvedimenti così detti de potestate sono diretti alla compressione della potestà che è rimessa al controllo esterno del giudice e, a prescindere dalle richieste dei genitori, sono assunti nell’interesse del solo minore (Cass. Civ. n. 1534/2012).
Qualche anno dopo (Cass. Civ. n. 6132/2015 e Cass. Civ. n. 18194/2015), la Corte ha dichiarato che “il decreto della corte di Appello, contenente provvedimenti di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poiché dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 28 dicembre 2013 n. 154 – che ha abolito ogni distinzione tra figli naturali e quelli nati nel matrimonio – presenta i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile rebus sic stantibus a quella del giudicato”.
Recentemente, la Corte di Cassazione – sentenza del 16.11.2016 depositata il 7.2.2017 n. 3192 – ha confermato la ricorribilità in Cassazione dei provvedimenti di affidamento dei minori nati da convivenza di fatto, emessi dal tribunale ordinario ai sensi degli artt. 337 bis c.c. e seguenti, e quelli assunti dallo stesso giudice, che contengono limitazioni della responsabilità genitoriale, come il decreto di affidamento del minore al servizio sociale.
Secondo i giudici della Suprema Corte, l’affidamento di minori ai servizi sociali all’interno del conflitto genitoriale non modifica la qualificazione giuridica del provvedimento.
Anche il decreto emesso ai sensi degli artt. 330 e ss. c.c., possiede il requisito della decisorietà, perché risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e della definitività, perché ha un’efficacia assimilabile “rebus sic stantibus” a quella del giudicato.
Il nuovo art. 38 disp. att. c.c. riformato, rende ingiustificata la distinzione fra provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 337 bis c.c. e ss. e quelli emessi dallo stesso giudice, con la stessa sentenza, ai sensi degli artt. 330, 333 c.c., attribuendo solo ai primi, e non anche ai secondi, attitudine al giudicato.
Deve darsi conto che la stessa Corte aveva emesso una sentenza rimasta poi isolata, secondo cui il decreto della Corte d’appello che ha disposto, ai sensi dell’articolo 333 c.c., l’affido di un figlio minore ai servizi sociali, non è impugnabile col ricorso per Cassazione, non essendo stato adottato per decidere un contrasto tra contrapposti diritti soggettivi, ma allo scopo esclusivo di tutelare l’interesse del minore (Cass. Civ. 16227/2015).
A suffragare la posizione della sentenza n. 3192/2016, il recente e importante mutamento di orientamento della stessa Corte sulla ricorribilità in Cassazione anche dei provvedimenti di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale.
Il giudizio di cui all’art. 336 c.c. non è qualificabile come “volontaria giurisdizione” poiché la norma stabilisce quali sono i soggetti legittimati a promuovere il ricorso, prevede che genitori e minori siano assistiti da un difensore, dispone l’obbligo di audizione del genitore contro il quale il procedimento è promosso.
Il provvedimento adottato dal giudice è immediatamente reclamabile e revocabile a istanza del genitore interessato.
Tutto ciò attribuisce sempre più a questi procedimenti le caratteristiche assimilabili a un giudizio contenzioso.