La riassunzione del processo esecutivo sospeso a seguito del rigetto in primo grado dell’opposizione
di Gabriele Quaranta Scarica in PDFCass. civ., sezione III, sent. 04 Aprile 2017, n. 8683 – Pres. Chiarini – Rel. Tatangelo
Esecuzione forzata – Opposizione di terzo – Sospensione dell’esecuzione – Riassunzione del processo esecutivo – Decorrenza – Rigetto dell’opposizione – Immediata efficacia della sentenza di primo grado – (Cod. proc. civ. artt. 282, 619, 627, 669 novies, co. 3)
[1] La riassunzione del processo esecutivo sospeso ex art. 624 c.p.c. è sempre possibile già a seguito della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione. Tale interpretazione dell’art. 627 c.p.c. trova fondamento non solo nel riconoscimento dell’immediata efficacia della sentenza di primo grado riconosciuta dall’art. 282 c.p.c., ma anche nei principi dei provvedimenti cautelari, ed in particolare nella regola dettata dall’art. 669-novies, co. 3, c.p.c., secondo cui il provvedimento a cognizione piena, anche non definitivo, assorbe il provvedimento cautelare e, se negativo, ne determina la caducazione.
CASO
[1] Un procedimento espropriativo viene sospeso ex art. 624 c.p.c. in seguito ad opposizione di terzo.
Subito dopo il rigetto in primo grado dell’opposizione, il creditore riassume il processo esecutivo a norma a norma dell’art. 627 c.p.c. e il giudice dell’esecuzione dispone con ordinanza la prosecuzione della procedura.
Avverso tale provvedimento il debitore propone opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. .
All’esito del giudizio di opposizione ex art. 617 c.p.c., il Tribunale dichiara cessata la materia del contendere sul merito dell’opposizione, avendo il debitore-opponente integralmente soddisfatto il creditore procedente in sede esecutiva, e condanna il debitore al pagamento delle spese di lite, in base al principio della soccombenza virtuale.
Il debitore ricorre allora in Cassazione denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 627 c.p.c. e dell’art. 282 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione rigetta il ricorso ritenendo corretto l’operato del giudice dell’esecuzione. Afferma infatti, in linea con alcuni suoi precedenti, (Cass., sez. III, sent. 21 novembre 2011 n. 24447, Riv. es. forz., 2012, 3-4, 603 con nota di Longo, Potere di riassunzione del processo esecutivo e provvisoria esecutività della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione esecutiva, nonché Cass. Sez. III, sent. 09 maggio 2012 n. 7053) che il termine previsto dall’art. 627 c.p.c. ai fini della riassunzione del processo esecutivo deve essere inteso come mero dies a quo, non identificando il momento di insorgenza del potere riassuntivo, il quale, invece, nascerebbe con la stessa pubblicazione della sentenza di primo grado che rigetta l’opposizione.
Due gli argomenti utilizzati dalla Suprema Corte per sostenere tale conclusione.
Innanzitutto, richiamando in particolare quanto affermato da Cass. 21 novembre 2011, n. 24447, afferma che tale conclusione è diretta conseguenza dell’immediata efficacia della sentenza di primo grado riconosciuta dall’art. 282 c.p.c., come novellato dalla legge n. 353 del 26 novembre 1990.
In secondo luogo, l’esegesi prospettata si giustificherebbe anche alla luce della disciplina dei provvedimenti cautelari, ai quali sarebbe ascrivibile la stessa ordinanza sospensiva emessa ex art. 624 c.p.c., ed in particolare in considerazione della regola dettata dall’art. 669-novies, co. 3 c.p.c., da cui si ricaverebbe il principio per cui il provvedimento a cognizione piena, anche non definitivo, assorbe il provvedimento cautelare ad esso strumentale e, se negativo, ne determina la caducazione.
Precisa in proposito la Cassazione come, anche da un punto di vista logico prima ancora che giuridico, non sarebbe ragionevole attribuire prevalenza ad un provvedimento adottato sulla base di una cognizione sommaria dal giudice dell’esecuzione rispetto ad un successivo provvedimento adottato dal giudice competente all’esito di un ordinario giudizio a cognizione piena, sebbene non ancora passato in giudicato, considerata l’assoluta coincidenza dell’oggetto delle relative valutazioni.
Da ultimo, la Suprema Corte si sofferma anche sulla stessa lettera dell’art. 627 c.p.c., sancendone la compatibilità con la soluzione prospettata. Tale disposizione infatti, lungi dall’escludere la possibilità di riassumere il processo esecutivo prima del passaggio in giudicato della sentenza sull’opposizione, si limiterebbe invece a prevedere l’onere per la parte interessata di provvedere a tale riassunzione non più tardi del semestre dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione, ovvero dalla comunicazione di quella di secondo grado.
Dunque, si tratterebbe di una norma che non disciplinerebbe il termine iniziale (il dies a quo) della possibile riassunzione del processo esecutivo dopo la pronunzia a cognizione piena sull’opposizione, ma esclusivamente quello finale (il dies ad quem).
QUESTIONI
[1] Diverse sono le questioni che affiorano dall’itinerario argomentativo. Invertendo l’ordine osservato dalla Cassazione nella stesura della motivazione, appare preliminarmente opportuno soffermarsi brevemente sulla formulazione dell’art. 627 c.p.c. e sulla sua compatibilità con l’immediata ripresa dell’esecuzione a seguito del rigetto in primo grado dell’opposizione.
Come già è stato osservato, afferma in proposito la Suprema Corte che la disposizione in esame non escluderebbe affatto la possibilità di riassumere il processo esecutivo prima del passaggio in giudicato della sentenza, limitandosi a prevedere l’onere per la parte interessata di provvedere a tale riassunzione non più tardi del semestre dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che rigetta l’opposizione, ovvero dalla comunicazione di quella di secondo grado.
Si tratta di un passaggio certamente condivisibile. Ad una prima lettura del dato normativo infatti, se da un lato appare inequivocabilmente precisato il termine ultimo entro cui riassumere il processo esecutivo, non altrettanto può dirsi circa l’individuazione del momento di iniziale insorgenza del relativo potere, il quale risulta quantomeno non ben precisato, se non totalmente omesso.
Ragionevole quindi affermare che la formulazione dell’art. 627 c.p.c. non sia d’ostacolo all’eventuale anticipazione del momento di iniziale insorgenza del potere riassuntivo rispetto al termine ultimo previsto dalla norma.
Peraltro, a conforto di tale ricostruzione, potrebbe venir in soccorso anche l’interpretazione che le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., sent. 19 giugno 2012, n. 10027, Riv. dir. proc., 2013, 6, 1526 ss) hanno fornito di una disposizione avente un tenore letterale analogo, se non quasi sovrapponibile, all’art. 627 c.p.c., ovvero l’art. 297 c.p.c. (sottolineano tale parallelo Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 396 nonché Impagnatiello, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria nel processo civile, Milano, 2010, 261).
Ed infatti, nel ridefinire l’ambito operativo della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., la Cassazione ha avuto modo di precisare che proprio l’art. 297 c.p.c. ben sopporterebbe «un’interpretazione per cui il passaggio in giudicato della sentenza resa sulla causa pregiudicante segna non già il termine di durata della sospensione, ma solo quello di inizio della decorrenza del termine ultimo oltre il quale il giudizio sulla causa pregiudicata si estingue (art. 307 c.p.c., comma 3), se nessuna delle parti abbia assunto l’iniziativa richiesta per farlo proseguire».
Rilevato come il tenore letterale dell’art. 627 c.p.c. non sia d’ostacolo alla tesi che propugna un’anticipazione del potere riassuntivo, appare possibile passare al vaglio gli argomenti adoperati dalla Cassazione circa il relativo fondamento.
Certamente il primo nodo da sciogliere riguarda l’intreccio tra il riconoscimento dell’immediata efficacia della sentenza che rigetta l’opposizione e l’art. 282 c.p.c. Sul punto la sentenza in esame ribadisce, con espresso richiamo, quanto affermato dal precedente costituito da Cass. n. 24447/2011: il momento di insorgenza del potere di riassumere sorge già con la pubblicazione della sentenza di primo grado che rigetti l’opposizione in conseguenza dell’immediata efficacia riconosciuta ai sensi dell’art. 282 c.p.c.
Si tratta tuttavia di un’affermazione che non convince appieno. Ed infatti, alla luce dell’attuale panorama giurisprudenziale e dottrinario, l’art. 282 c.p.c. non sembra certo agevolmente invocabile in relazione a sentenze che non abbiano carattere condannatorio (da ultimo vedi per la giurisprudenza Cass. sez. III, sent. 12 giugno 2015, n. 12236. Per la dottrina: Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, vol. II, Bari, 2016, 212 ss; D’Adamo, sub art. 282, in Comoglio-Consolo-Sassani-Vaccarella (diretto. da), Commentario del codice di procedura civile, vol. III, tomo II, Torino, 2012, 242; Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2015, 116. In senso contrario cfr. Impagnatiello, op. cit. Per un esame degli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimità sul tema vedi Capponi, Orientamenti recenti sull’art. 282 c.p.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1, 265), e certamente la sentenza che rigetta l’opposizione all’esecuzione non sembra possa ricondotta nell’alveo di tale categoria.
Di tale problema la Cassazione peraltro sembra anche esser consapevole. Ed infatti afferma, nelle ultime righe del provvedimento, che in realtà «l’interpretazione delle norme che regolano la riassunzione del processo esecutivo sospeso dopo la pronunzia di merito sull’opposizione» non dipenderebbe dal riconoscimento dell’efficacia esecutiva delle sentenze di primo grado, anche di rigetto, ma dalla semplice “efficacia” delle pronunzie di primo grado.
Effettivamente, che altro sia la categoria dell’efficacia in senso lato della sentenza e altro invece il più ristretto concetto di efficacia esecutiva è assunto che non può che esser condiviso (Così D’Adamo, op. cit., 247. Più in generale, osserva in proposito Impagnatiello, op. cit., 242, come al codice sia sconosciuta la categoria generale di efficacia della sentenza, essendo anzi possibile osservare come il legislatore abbia preferito occuparsi separatamente delle singole manifestazioni di tale efficacia).
Ma è proprio alla stregua di tale giusta osservazione che non si comprende allora come sia poi possibile fondare l’immediata efficacia tout court della sentenza di primo grado su di una disposizione, quale l’art. 282 c.p.c., che ha invece una portata settoriale, essendo diretta esclusivamente ad attribuire alla sentenza di condanna di primo grado l’efficacia esecutiva, ovvero la qualità di titolo esecutivo. (ex multiis, vedi Carpi, voce Esecutorietà, Enc. giur., XIII, 1995, 1, nonché Monteleone, Condanna civile e titolo esecutivo, in Riv. dir. proc., 1990, 1075)
Il venir meno dell’effetto sospensivo in seguito alla sentenza di primo grado che rigetta l’opposizione è tuttavia sostenuto dalla Cassazione non solo dal richiamo all’art. 282 c.p.c., ma «anche e soprattutto» (sono parole della stessa sentenza, da cui traspare forse ancora una volta la “debolezza” dell’argomento fondato sull’art. 282 c.p.c.) dal principio sancito dall’art. 669-novies, co. 3, c.p.c, per cui il provvedimento a cognizione piena (la sentenza di primo grado) assorbirebbe il provvedimento cautelare ad esso strumentale (la sospensione) e, se negativo, ne determinerebbe la caducazione. (Per un’affermazione analoga in dottrina vedi Oriani, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. es. forz., 2006, 2, 222, nonché Metafora, voce Sospensione dell’esecuzione, in Digesto/civ., III, 2, Torino, agg. 2007, 1227)
Anche tale passaggio merita tuttavia qualche precisazione. Se infatti pochi dubbi sembrano sussistere circa la riconducibilità del provvedimento sospensivo ex art. 624 c.p.c. al novero dei provvedimenti cautelari (ex multiis, v.: Oriani, La sospensione dell’esecuzione, op. cit., 220; Vittoria, L’inibitoria del titolo esecutivo e la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., Riv. es. forz., 2010, 3, 393), qualche perplessità invece emerge in relazione alla possibilità di invocare proprio l’art. 669-novies, co. 3, c.p.c., la cui applicabilità secondo parte della dottrina sarebbe ostacolata proprio dalla presenza di una norma ad hoc (l’art. 627 c.p.c.) destinata a disciplinare la materia in assenza di una sua esplicita abrogazione. (ex multiis, v.: Barreca, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv. es. forz, 2006, 4, 669; Bove, Le opposizioni e le vicende anomale del processo esecutivo (Cap. IX), in Bove-Balena, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 310-311; Soldi, op. cit., 1486)
Del tutto condivisibile appare invece l’affermazione per cui, «da un punto di vista logico prima ancora che giuridico», non sarebbe comunque giustificabile attribuire prevalenza ad un provvedimento adottato sulla base di una cognizione sommaria dal g.e. rispetto ad un successivo provvedimento adottato dal giudice competente all’esito di un ordinario giudizio a cognizione piena.
Per giungere a tale risultato tuttavia, una volta esclusa la possibilità di invocare l’art. 282 c.p.c. e viste le resistenze di parte della dottrina ad operare un richiamo all’art. 669-novies, co. 3, c.p.c., appare allora al momento forse meno controversa la possibilità di invocare il principio enunciato da Cass. 09 maggio 2012, n. 7053 (e presente anche in dottrina: Luiso, voce Sospensione del processo civile. b) Processo di esecuzione forzata, Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 68; Longo, op. cit., 621; Soldi, op. cit., 2232) secondo cui sussisterebbe in capo all’interessato la facoltà di richiedere al giudice dell’esecuzione la modifica e/o revoca dei propri provvedimenti, sollecitando, anche alla luce dell’evoluzione del processo di cognizione, ed in particolare dopo la sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione, una rivalutazione dei “gravi motivi” che determinarono la sospensione dell’esecuzione.