23 Gennaio 2024

La responsabilità sanitaria tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato

di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDF

Abstract

Per quanto sia stata spesso oggetto di critiche, la tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi e di obbligazioni di risultato conserva ancora tutta la sua validità, specialmente nell’ambito delle prestazioni sanitarie, dove è in grado di condurre ad una diversa ricostruzione del criterio di imputazione della responsabilità per malpractice del medico e della struttura ospedaliera.

A dispetto delle critiche alle quali essa viene da sempre sottoposta (v., per tutti, Piraino, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi» ovvero dell’inadempimento incontrovertibile e dell’inadempimento controvertibile, in Eur. e dir. priv., 2008, 83 ss.; Id., Corsi e ricorsi delle obbligazioni “di risultato” e delle obbligazioni “di mezzi”, in Contr., 2014, 899 ss.), la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato si caratterizza per un ineliminabile “fondo di verità” che sicuramente ne preclude l’eliminazione dall’apparato concettuale di studio del diritto privato (cfr., ex multis, Azzalini, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Categorie giuridiche travisate, Padova, 2012; D’Amico, Responsabilità per inadempimento e distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, in Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma? Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista di diritto civile, Padova, 2006, 163 ss.; De Lorenzi, Diligenza, obbligazioni di mezzi e di risultato, in Contr. e impr., 2016, 457 ss.).

Ne costituisce riprova la giurisprudenza, che dopo un lungo periodo di piena adesione alla concezione in parola ne ha, ad un certo punto, declamato l’abbandono, anche con riguardo alle prestazioni mediche (Cass., 13.4.2007, n. 8826; Cass., sez. un., 11.1.2008, n. 577), senza però mai dismetterne effettivamente l’utilizzo (De Lorenzi, op. cit., 518; Azzalini, op. cit., 6 ss.; Sicchiero, Dalle obbligazioni “di mezzi e di risultato” alle “obbligazioni governabili o non governabili”, in Contr. e impr., 2016, 1408 s.; Scoditti, La responsabilità contrattuale del medico dopo la l. n. 24 del 2017: profili di teoria dell’obbligazione, in Foro it., 2018, V, 265 ss.); da ultimo, anzi, la distinzione è stata convintamente ripresa e rimodellata dai nostri giudici al fine di strutturare il giudizio sul nesso causale nella responsabilità per inadempimento delle obbligazioni di facere professionale, innanzitutto sanitarie (Rizzo, La causalità civile, Torino, 2022, 72 ss.).

La distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato si basa, infatti, su di un innegabile dato pregiuridico che il diritto non potrebbe in alcun modo ignorare né manipolare (Franzoni, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in Franzoni (a cura di), Le obbligazioni, I. L’obbligazione in generale (1173-13420 c.c.), Torino, 2004, 1343 s.): alla luce dello stato attuale della scienza e della tecnica, ogni obbligazione si caratterizza, tra le altre cose, per il diverso grado di controllo che il debitore esercita sulla prestazione dovuta e, conseguentemente, per la differente possibilità dell’obbligato di garantire alla controparte il raggiungimento di un determinato esito utile quale conseguenza normale e ordinaria del corretto svolgimento della propria attività (D’Amico, La responsabilità ex recepto e la distinzione tra obbligazioni “di mezzi” e “di risultato”. Contributo alla teoria della responsabilità contrattuale, Napoli, 1999, spec. 157 ss.; Montanari Vergallo, La nuova responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco, Roma, 2017, 82 ss.).

Tali elementi appaiono talvolta preponderanti, perché il buon esito dell’operato del debitore non dipende – oppure dipende solo per una trascurabile parte – dall’intervento di fattori che fuoriescono dalla sua sfera di controllo, tanto che egli si assume il rischio che questi ultimi determinino l’insuccesso della prestazione impegnandosi a realizzare il risultato avuto di mira dal creditore. In questi casi si parla, per l’appunto, di obbligazioni di risultato ovvero, volendo seguire altre proposte terminologiche, di obbligazioni «governabili» (Sicchiero, op. cit., 1417 ss.) o «completamente specificate nel contenuto» (De Lorenzi, op. cit., 485 ss.). In altre ipotesi, invece, l’operato del debitore interagisce con una serie di circostanze esterne, sulle quali egli non può esercitare alcuna influenza, che rivestono un ruolo significativo nel processo che porta alla concretizzazione dell’esito finale ambito dal creditore, al quale l’obbligato promette, quindi, soltanto la corretta esecuzione della propria attività e non anche il buon esito della stessa: in altri termini, la prestazione è caratterizzata da una (più o meno marcata) nota di aleatorietà e si discorre, allora, di obbligazioni di mezzi (o «di comportamento»), ovvero di obbligazioni «non governabili» (Sicchiero, op. cit., 1417 ss.) o «non completamente specificate nel contenuto» (De Lorenzi, op. cit., 485 ss.).

La prestazione sanitaria viene tradizionalmente e a ragione considerata, insieme a quella dell’avvocato, l’esempio paradigmatico di questo secondo tipo di obbligazioni. Per quanto i progressi tecnici e scientifici possano rendere le cure molto più perfezionate e affidabili di un tempo così innalzando il livello delle (legittime) aspettative dei pazienti, le ineliminabili imperfezioni della scienza medica e l’imprevedibilità delle reazioni dell’organismo umano sottraggono all’integrale controllo del medico la guarigione del paziente e, prima ancora, anche quel risultato intermedio tra quest’ultima e la condotta del sanitario nel quale essere può essere identificata la stessa attività diagnostica e terapeutica (De Lorenzi, op. cit., 484, 513 s.; Azzalini, op. cit., 80 ss.; D’Amico, Responsabilità, cit., 154; Scoditti, op. cit., 268). Conferma questa ricostruzione, del resto, l’art. 5 della c.d. Legge Gelli-Bianco, che nel sancire l’obbligo del medico di attenersi alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie mette in luce «come anche l’attuale assetto della “colpa medica”, così come risultante dalla legge Gelli […], tenga fermo il concetto dell’obbligazione del medico come obbligazione di mezzi e non di risultato, perché ancorata ad un percorso di comportamenti, descritti da raccomandazioni e linee guida, percorso che consente sempre un’analisi in concreto della condotta esigibile dal sanitario, nelle condizioni date, e tale da realizzare un bilanciamento tra l’interesse (soggettivo) del paziente e quello (oggettivo) alla sicurezza delle cure» (di Majo, Il giudizio di responsabilità civile del medico dopo la legge Gelli e cioè la perizia “guidata”, in Giur. it., 2018, 844).

Sono da considerare prestazioni di mezzi, in particolare, quelle che implicano «problemi tecnici di speciale difficoltà» e conseguentemente danno luogo all’applicazione della limitazione di responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave prevista dall’art. 2236 c.c. In ambito sanitario, peraltro, tale norma è da sempre fatta oggetto di un’interpretazione particolarmente restrittiva da parte della giurisprudenza: da un lato, la sua portata applicativa è limitata all’aspetto della perizia del medico, lasciando fuori dal suo ambito di riferimento i profili della diligenza e della prudenza; dall’altro lato, il caso affidato al medico è considerato dai nostri giudici di particolare difficoltà solo quando richiede un impegno intellettuale e una preparazione professionale superiori a quelli del professionista medio in quanto si presenta come eccezionale e straordinario, per non essere ancora stato adeguatamente studiato nella scienza e sperimentato nella pratica, ovvero per essere oggetto di dibattiti scientifici con sperimentazione di sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica diversi o incompatibili (in generale sull’argomento, v. Gazzara, “In difesa” dell’art. 2236 cod. civ., in Nuovo dir. civ., 2020, 53 ss.; Tescaro, L’art. 2236 cod. civ. e l’auspicabile contenimento della responsabilità civile del prestatore d’opera, in Studium iuris, 2021, 32 ss.).

Non mancano, tuttavia, ipotesi nelle quali la giurisprudenza ritiene che vi siano gli estremi per ricostruire un’obbligazione di risultato in capo al medico o comunque impiega regole operazionali che nella sostanza finiscono per avere esiti applicativi del tutto simili. Oltre agli interventi di natura estetica e alle cure odontoiatriche (Azzalini, op. cit., 63 ss.), si annoverano in questo ambito i c.d. interventi di facile esecuzione (o di routine), categoria elaborata sulla base di una sorta di una lettura a contrario dell’art. 2236 c.c., dall’esito negativo dei quali i nostri giudici traggono in via presuntiva l’accertamento della negligenza del medico e/o della sussistenza del nesso causale tra la sua condotta e il danno lamentato dal paziente (Faccioli, “Presunzioni giurisprudenziali” e responsabilità sanitaria, in Contr. e impr., 2014, spec. 92 ss., 99 ss.). Di una trasformazione dell’obbligazione del medico in obbligazione di risultato si può parlare, inoltre, pure nelle ipotesi in cui la magistratura afferma che «il risultato positivo è una conseguenza “statisticamente fisiologica” della prestazione professionale diligente» e che si può pertanto ravvisare un inadempimento dell’operatore sanitario «non solo allorquando alla prestazione medica consegua l’aggravamento dello stato morboso o l’insorgenza di nuova patologia, ma anche quando l’esito risulti […] caratterizzato da inalterazione rispetto alla situazione che l’intervento medico-chirurgico ha appunto reso necessario. Lo stato di inalterazione si sostanzia nel mancato miglioramento […] costituente oggetto della prestazione cui il medico-specialista è tenuto, e che il paziente può legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della prestazione convenuta» (così Cass.,13.4.2007, n. 8826, la quale è poi stata ripresa da Cass., 8.10.2008, n. 24791).

Al di là di taluni rilievi critici, questi orientamenti giurisprudenziali si lasciano apprezzare nella misura in cui consentono al giudice di valorizzare adeguatamente le specificità delle diverse prestazioni sanitarie e in particolare di tenere debitamente conto del fatto che l’esecuzione di determinati trattamenti medici è presieduta da regole tecniche molto specifiche e altamente vincolanti, al punto da potersi istituire, anche con il conforto del dato statistico, uno stretto collegamento fra il rispetto di quelle regole e il raggiungimento di un certo esito clinico: è in questi casi, allora, che appare appropriato allontanarsi dalla logica dell’obbligazione di mezzi in favore dell’applicazione degli schemi concettuali ed operativi propri dell’obbligazione di risultato (D’Amico, La responsabilità, cit., 183 ss.; Id., Responsabilità, cit., 156 ss.).

Orbene, va a questo punto messo in evidenza che la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato svolga un ruolo fondamentale nel giudizio relativo all’imputabilità dell’inadempimento del vincolo obbligatorio, tanto in generale quanto con specifico riguardo all’ambito sanitario.

Partendo dal rilievo secondo cui «il debitore è il soggetto che deve realizzare l’interesse contrattuale sotteso alla prestazione dovuta», si può infatti ritenere che, «ove dovuta sia una misura di diligenza, perché questa soltanto sia dedotta in obbligo, l’art. 1176 ed il parametro del buon padre di famiglia determineranno, in via ordinaria, il contenuto del debito e, in uno con questo, senza soluzione di continuità, il confine esterno dell’inadempimento; superato il quale, il debitore dovrà giustificarsi per la causa non imputabile ex art. 1218, senza che il giudizio d’imputabilità possa restare insensibile all’oggetto del debito. Ove dovuta sia una prestazione di risultato, perché questa sia stata costituita ad oggetto del programma obbligatorio, la non-esecuzione imporrà al debitore quella medesima giustificazione, che, avendo le parti o la legge estromesso dal programma obbligatorio ogni verifica di contegno, sarà refrattaria al modello di giudizio rinvenibile nell’art. 1176» c.c.: per concludere, quindi, nel senso che «nelle obbligazioni di mezzi il parametro della diligenza s’impone […] anche sullo standard di forza maggiore, colorandolo in senso soggettivo. Nei rapporti di risultato, invece, il giudizio di imputabilità resterà ancorato a parametri rigorosamente oggettivi» (Carbone, Diligenza e risultato nella teoria dell’obbligazione, Torino, 2007, 96, 111).

Nella scia di questi ragionamenti, è pure da sottolineare come la distinzione in esame possa essere utilmente adoperata anche per compiere un’appropriata ripartizione dell’onere della prova dell’impossibilità sopravvenuta e, conseguentemente, del rischio della causa ignota: da questo punto di vista, nelle obbligazioni di mezzi, una volta che il debitore abbia dato prova della propria diligenza, spetterà al creditore dimostrare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione – all’ulteriore scopo di dimostrare che il debitore avrebbe potuto prevederla e/o evitarla e che egli deve, quindi, comunque rispondere dell’inadempimento –, così che finirà per essere il creditore a dovere sopportare il rischio della causa ignota; nelle obbligazioni di risultato, invece, l’onere della prova dell’impossibilità sopravvenuta dell’adempimento della prestazione graverà più correttamente sul debitore, che solo fornendo detta prova – intesa come prova del sopravvenire di una causa estranea e non imputabile all’obbligato – potrà andare esente da responsabilità di fronte al mancato conseguimento del risultato dovuto al creditore. Da quanto appena detto risulta confermato, quindi, che nelle prestazioni sanitarie di mezzi la responsabilità riveste un fondamento colposo, perché il debitore prima facie adempiente sarà chiamato a rispondere solo se il creditore riesca a provare l’impossibilità della prestazione per causa a lui imputabile; in quelle di risultato, invece, la responsabilità ha natura oggettiva, il debitore che non riesca a fornire la prova della causa di esonero risultando responsabile nonostante nessuna specifica colpa possa essergli addebitata (D’Amico, La responsabilità, cit., 130 ss.; Id., Responsabilità, cit., 154 s.).

Ad analoghi e del tutto  condivisibili risultati è giunto, del resto, pure chi ha proposto di sostituire la tradizionale distinzione tra obbligazioni di risultato e di mezzi con la differenziazione tra obbligazioni «governabili» e obbligazioni «non governabili», affermando che le prime sono interamente riconducibili alla disciplina dell’art. 1218 c.c. e alla regola secondo cui a liberare il debitore dispiega la sua forza soltanto il caso fortuito, irrilevante essendo la sola diligenza prestata, mentre le seconde, in cui l’esito voluto dal creditore non può essere ragionevolmente garantito con certezza, sono invece assoggettate al principio che vuole essere l’adeguata diligenza utilizzata a dimostrare l’adempimento, cosicché, in assenza di errori, l’attività svolta dal debitore non sarà censurabile (Sicchiero, op. cit., 1417 ss.). A completare il quadro, è poi utile richiamare l’indirizzo secondo cui non è onere del paziente dimostrare il carattere routinario dell’intervento per beneficiare del regime delle obbligazioni di risultato, in quanto è il debitore, medico/struttura sanitaria, ad avere l’interesse a provare la difficoltà della prestazione per vedere la fattispecie sottoposta alla disciplina delle obbligazioni di mezzi. A tale riguardo, il debitore potrà anche dimostrare che l’intervento di cui si discute, seppure routinario, è caratterizzato da una significativa dose di incertezza del risultato sperato in termini di percentuale di insuccesso comprovata dalla scienza medica: in questi casi, infatti, l’esito infausto può non essere dipeso da un errore medico o dall’intervento di una causa esterna, ma può essere derivato dall’inefficacia ex ante dei mezzi messi in opera dal debitore, che potrà conseguentemente andare esente da responsabilità (anche) dimostrando di avere esattamente adempiuto la prestazione rispettando le leges artis rilevanti nel caso concreto (Scoditti, op. cit., 277 s.).

Da ultimo, va precisato che all’inquadramento nell’ambito delle obbligazioni di risultato si deve senz’altro giungere con riguardo agli obblighi di natura organizzativa che la struttura sanitaria assume nell’ambito del c.d. contratto di spedalità intercorrente con il paziente e che hanno fondamentalmente per oggetto la sicurezza dell’ambiente ospedaliero, degli strumenti e dei prodotti utilizzati per le cure, la protezione dei malati privi della capacità di autotutela, l’acquisizione della disponibilità di risorse umane e materiali adeguate sia dal punto di vista quantitativo che sul piano qualitativo, l’adozione delle misure atte a consentire l’esercizio del diritto all’autodeterminazione da parte del paziente, l’utilizzazione efficiente e razionale delle risorse a propria disposizione. Tali obbligazioni, infatti, non appaiono possedere quella spiccata nota di aleatorietà che invece caratterizza la prestazione diagnostica e terapeutica in senso stretto, in quanto richiedono il compimento di una serie di attività e l’adozione di un complesso di misure che possono considerarsi ricadere sotto il pieno governo del debitore o comunque dipendere dall’intervento di fattori che fuoriescono dalla sua sfera di controllo per una misura solo del tutto marginale. La responsabilità che consegue alla loro inosservanza è pertanto governata, in luogo del criterio della colpa utilizzata per valutare la responsabilità individuale del medico, da un più rigido parametro di natura oggettiva (così anche Cass., 11.11.2019, n. 28987 e Cass., 6.7.2020, n. 13869), incompatibile pure con l’art. 2236 c.c., che addossa all’ente nosocomiale il rischio dell’inadempimento derivante da tutte le anomalie che si possano verificare nell’ambito del proprio apparato organizzativo fino al limite dell’impossibilità sopravvenuta non imputabile (v., per tutti, Faccioli, La responsabilità civile per difetto di organizzazione delle strutture sanitarie, Pisa, 2018, passim, ma spec. 89 ss.).

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Responsabilità civile in ambito sanitario