La responsabilità intra vires dei soci per i debiti della società estinta
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. II, 21/04/2023, n. 10752
Parole chiave: Società – Estinzione e scioglimento – Socio, in genere – Pignoramento
Massima: “In materia di cancellazione della società, perché il socio della società di capitali possa essere obbligato a rispondere verso il creditore sociale non soddisfatto, occorre, e ad un tempo basta, che lo stesso creditore dia prova della distribuzione dell’attivo e della riscossione di una quota di esso da parte del socio in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi del fatto costitutivo della responsabilità di quest’ultimo.”
Disposizioni applicate: art. 2495 c.c.
Nel caso di specie, il creditore sociale di una S.r.l., successivamente posta in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese, aveva – nell’ambito di un procedimento instaurato nei suoi confronti dalla predetta società – proposto una domanda riconvenzionale volta a chiedere la condanna della società al pagamento del compenso per l’attività di direttore di magazzino da esso svolta in favore della S.r.l..
Il Tribunale di prime cure aveva erroneamente ritenuto che la domanda riconvenzionale fosse stata proposta tardivamente, mentre la Corte d’Appello aveva ritenuto che il creditore sociale della S.r.l., nel frattempo posta in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese, non potesse far valere il proprio credito nei confronti della socia della S.r.l. ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c. (nella sua formulazione ratione temporis vigente, antecedente all’inserimento del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, nuovo comma 2 ad opera dell’art. 40, comma 12-ter lett. b, n. 2, convertito con modificazioni nella L. 11 settembre 2020, n. 120)[1].
Al contempo, la Corte d’Appello aveva riconosciuto che i due soci della S.r.l. avevano sì riscosso una somma di denaro all’esito del bilancio finale di liquidazione, ma che la socia soprammenzionata aveva, a seguito del raggiungimento di un accordo transattivo con alcuni lavoratori della società, consegnato un assegno bancario pari alla somma riscossa in sede di liquidazione al fine di estinguere i debiti sociali verso tali lavoratori, gravando il creditore sociale di cui sopra dell’onere di dare prova della mancata riscossione dell’assegno.
La Corte di Cassazione, ripercorrendo la propria elaborazione giurisprudenziale in materia[2], ha sottolineato che qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio.
Mediante questo fenomeno successorio, da una parte, l’obbligazione della società non si estingue, bensì si trasferisce ai soci, nei limiti di quanto essi abbiano riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente (secondo la loro qualità di soci limitatamente o illimitatamente responsabili quando la società era in vita), quanto precede per evitare che il diritto dei creditori sociali venga ingiustamente leso, e, dall’altra parte, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, con riguardo ai quali l’inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo.
Orbene, come ricorda la Suprema Corte, all’occasione della riforma del diritto societario, l’art. 2495, comma 2 c.c. si è preoccupato di disciplinare la sorte dei debiti sociali dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, disponendo che i creditori sociali non soddisfatti possono agire nei confronti dei soci della dissolta società di capitali, tuttavia soltanto nei limiti dell’attivo distribuito ai soci all’esito della liquidazione.
Ciò premesso, gli ermellini hanno rammentato che l’unica prova che il creditore sociale che agiva nei confronti della società dissolta doveva apportare riguardava, da una parte, la distribuzione dell’attivo e, dall’altra, la riscossione di una quota di esso da parte della socia in base al bilancio finale di liquidazione[3], prova compiutamente raggiunta nel caso in esame, mentre spettava alla socia provare, a norma dell’art. 2697, comma 2, c.c., l’effetto estintivo attribuito alla transazione menzionata in precedenza, circostanza non verificatasi nel caso di specie.
Stando così le cose, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza della Corte d’Appello impugnata.
[1] Ora art. 2495, comma 3 c.c..
[2] Sentenze nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010 della Corte di Cassazione e sentenza n. 6070 del 2013 delle Sezioni Unite.
[3] Cass. n. 15474/2017; Cass. n. 23916/2016; Cass. n. 19732/2005
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