La responsabilità diretta degli amministratori titolari di deleghe e la responsabilità concorsuale degli amministratori privi di deleghe per fatto illecito altrui
di Davide Giuseppe Giugno, Avvocato Scarica in PDFE’ d’uopo premettere che la Società può essere governata da un Amministratore Unico o6 da un organo collegiale. Nel primo caso, sebbene questi possa delegare alcune funzioni a terzi soggetti (comitato esecutivo o amministratore delegato), rimarrà direttamente responsabile verso la Società, dovendosi escludere l’applicabilità dell’esenzione di responsabilità prevista dall’art. 2392 comma 3 c.c. nel caso di gestione collegiale.
Per converso, se l’Organo collegiale ha delegato alcuni poteri ad un Amministratore o ad un Comitato esecutivo, saranno questi ultimi a rispondere, in via esclusiva, del loro operato ai sensi dell’art. 2392 co. 1 c.c. Occorre, tuttavia, prestare attenzione alla responsabilità solidale prevista dall’art. 2381 co. 6 c.c. Infatti, in capo ai deleganti rimane, comunque, l’onere di agire informati e di impedire gli eventi dannosi o, quanto meno, di eliminarne o attenuarne le conseguenze. Quanto detto assume straordinaria rilevanza allorquando, nel corso della gestione della Società, si verificano fatti penalmente rilevanti che possono travolgere anche gli amministratori non esecutivi. Abbiamo già rilevato che con la riforma del 2003 gli Amministratori privi di deleghe non sono più obbligati ad adempiere alla funzione vigilando sull’operato degli Amministratori esecutivi o delegati. Il dovere di vigilanza ne comportava il coinvolgimento concorsuale nei fatti illeciti commessi dai delegati a nulla rilevando il trasferimento in capo a terzi della funzione gestoria. Occorre, pertanto, meglio definire il perimetro entro il quale può manifestarsi, oggi, la loro residuale responsabilità penale essendo gravati dal solo obbligo dell’agire informati.
Le norme che vengono in evidenza sono gli artt. 2392 e 2381 cc. Sicchè, se da un lato gli Amministratori esecutivi dovranno uniformare il proprio operato alla “diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”, gli amministratori saranno “solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose” (art. 2392 c.c.).
E’ chiaro che gli Amministratori muniti di deleghe debbano applicare “diligenza” e “specifiche competenze” nell’esercizio delle funzioni delegate, ma per quelli non esecutivi da quali competenze scaturirebbero le loro responsabilità? La risposta ci viene offerta dal comma 3 dell’art. 2381 c.c., secondo il quale “il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione”.
Pertanto, gli Amministratori non esecutivi saranno destinatari delle relazioni degli Amministratori delegati, ma dovranno anche attivarsi per reperire tutte le necessarie informazioni utili a monitorare l’andamento della gestione della società e, pertanto, rilevare, tempestivamente, eventuali segnali rivelatori di fatti illeciti riferibili alla condotta degli Amministratori esecutivi. Incidentalmente, si osserva come, ancora una volta, vengano in evidenza le responsabilità derivanti, tra l’altro, dalla mancata adozione di adeguati assetti societari.
E’ d’uopo inferire che gli Amministratori privi di deleghe risponderanno a titolo di dolo se i segnali dell’illecito gli sono noti, nonché a titolo di colpa omissiva se solo conoscibili. In quest’ultima ipotesi, occorrerà accertare con quale diligenza il soggetto agente abbia adempiuto ai propri doveri di informazione e come abbia agito se venuto a conoscenza di fatti illeciti consumati, o in fieri, nell’ambito societario. Ed ecco che, ancora una volta, viene in rilievo il contenuto dell’art. 40 c.p., comma 2, secondo cui “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Ma non tutte le condotte omissive possono essere causa di responsabilità penale. Occorrerà accertare se l’omissione dell’Amministratore non esecutivo abbia concorso causalmente alla determinazione dell’evento che, in caso di condotta diligente e conforme ai doveri, non si sarebbe verificato. E’ il caso della responsabilità per fatto altrui di cui si è già parlato ed in relazione alla quale è il caso di ricordare un importante arresto giurisprudenziale del 2012 in forza del quale si ritiene “solidalmente responsabili al pari di chi abbia cagionato un evento, coloro che non hanno fatto quanto potevano per impedirlo”, sempreché “quei poteri siano ben determinati ed il loro esercizio sia normativamente disciplinato in guisa tale da poterne ricavare la certezza che, laddove esercitati davvero, l’evento sarebbe stato scongiurato: il che non sembra essere nella legislazione vigente” (Cass. pen., 5 settembre 2012, n. 23000).
Quindi, l’indagine giudiziale dovrà concentrarsi sull’individuazione dei poteri impeditivi non esercitati e sull’effettiva sussistenza del nesso etiologico omissione-evento.
Lo strumento di accertamento è sempre quello del ragionamento controfattuale.
Un ulteriore passo avanti, orientato a meglio delineare il perimetro della responsabilità concorsuale degli amministratori privi di deleghe, in un’ottica maggiormente garantista, lo si registra con la recentissima sentenza n. 33582 del 13 settembre 2022 della Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione. Con la richiamata pronuncia, gli Ermellini pongono un argine all’attribuzione della responsabilità penale “da posizione”. Sicchè, “… L’amministratore senza deleghe non può considerarsi responsabile della bancarotta fraudolenta commessa dagli altri componenti del consiglio di amministrazione per il solo mancato esercizio dei generici doveri di intervento che attengono alla sua posizione. È invece necessaria la prova della effettiva conoscenza delle condotte mendaci o distrattive degli amministratori dotati di deleghe e della volontà di avallarle con la propria inerzia. In mancanza di questi elementi il comportamento omissivo dell’amministratore senza deleghe potrà al più essere ricondotto ad un addebito per colpa, anche grave, e ad una mera responsabilità di posizione, che, come tale, non rientra nell’ipotesi di concorso nel reato di bancarotta di cui agli articoli 216 e 223 della legge fallimentare. Sono questi i principi fissati dalla Cassazione con la sentenza del 13 settembre scorso, n.33582 che ha annullato la decisione di una Corte di appello che aveva condannato un consigliere di amministrazione di un consorzio, rimproverandogli di avere omesso di adempiere alla funzione di controllo assegnatagli mentre si manifestavano gravi segnali di pericolo per la garanzia patrimoniale dei creditori.
Tale ipotesi non è assimilabile a quella dell’amministratore di diritto che lasci operare un altro amministratore di fatto, perché in tal caso con la sua delega di fatto dei poteri di amministrazione egli contribuisce alla realizzazione della condotta illecita (Cassazione, 19182/2022)…”[1].
Il recente approdo ermeneutico era stato già auspicato da autorevole dottrina che denunciava ”… una frequente alterazione…” della giurisprudenza “… dello schema “ortodosso” di accertamento della responsabilità penale per omesso impedimento…”, rilevando come “.. la tendenza ricorrente, anche nella più recente giurisprudenza… “ consistesse “… i) nel trascurare l’individuazione dei poteri impeditivi del garante nel caso di specie; ii) nell’ignorare, o nel negare espressamente, la necessità dell’accertamento causale; iii) nell’appiattire il rimprovero soggettivo sui criteri d’imputazione della responsabilità civile degli amministratori e dei sindaci, equiparando la “conoscenza” alla “conoscibilità”, esaurendo la prova del dolo eventuale nella mera violazione delle regole di diligenza o nella presenza di “segnali d’allarme” della generica illegalità della gestione. Ricorrendo alla formula sempreverde del “non poteva non sapere…” [2].
[1] Fonte 24 Norme&Tributi – Diritto societario – Giovanbattista Tona del 28.10.2022
[2] Francesco Centonze – Il problema della responsabilità penale degli organi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari (una lettura critica della recente giurisprudenza) – pagg. 317 – 345 – Giuffrè 2019
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