12 Aprile 2022

La responsabilità dell’ente proprietario della strada in caso di sinistro stradale: quando ricorre il caso fortuito?

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. VI-3, 30 marzo 2022, n. 10188 – Pres. Graziosi – Rel. Pellecchia

Responsabilità civile – Danni da cose in custodia – Ente proprietario della strada – Prova liberatoria – Caso fortuito  

(Cod. civ. art. 1227; 2051)

Massima: “In tema di responsabilità, quale custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., dell’ente proprietario di una strada, ai fini della prova liberatoria che quest’ultimo deve fornire per sottrarsi alla propria responsabilità occorre distinguere tra la situazione di pericolo connessa alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze e quella dovuta ad una repentina e imprevedibile alterazione dello stato della cosa, poiché solo in quest’ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare quando l’evento dannoso si sia verificato prima che il medesimo ente proprietario abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con diligenza per tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile condizione di pericolo determinatasi da obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché il suo aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato.”

CASO

Il caso oggetto della sentenza in epigrafe origina dalla sentenza con cui il Tribunale di Bergamo ha rigettato l’appello proposto dal Comune Alfa avverso la decisione del Giudice di Pace che aveva accolto domanda di risarcimento dei danni avanzata da un cittadino a seguito di un incidente stradale.

Avverso la sentenza d’appello il Comune soccombente ricorreva in Cassazione con atto affidato a due motivi di ricorso. 

SOLUZIONE

Per quanto di interesse, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. sostenendo che il Tribunale di Bergamo avrebbe errato perché, dopo aver affermato che il sinistro era avvenuto su una strada provinciale, ha ritenuto successivamente tale circostanza irrilevante sull’erroneo presupposto della responsabilità del Comune nascente dall’art. 2051 c.c. Sostiene il ricorrente che allorquando si verifichi un sinistro stradale legittimato passivo ex art. 2051 c.c., è esclusivamente l’ente proprietario della strada ove il sinistro è avvenuto, ovvero il concessionario, ovvero colui il quale abbia la disponibilità giuridica della cosa in forza di contratti/accordi/concessioni e non certo il Comune per il sol fatto che il tratto di strada, ove l’evento si è verificato, ricada nel suo territorio.

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso, ha ricordato i consolidati principi in materia di responsabilità da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c. e si è soffermata sul concetto di caso fortuito affermando il principio di diritto riportato in epigrafe.

QUESTIONI

[1] La sentenza in commento consente di fare delle brevi considerazioni sulla responsabilità da cose in custodia e sul concetto di caso fortuito.

L’art. 2051 c.c. rubricato «Danno cagionato da cosa in custodia» stabilisce che «Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito». L’art. 2051 c.c., in altre parole, pone a carico del custode l’obbligo di risarcire i danni cagionati a terzi dalla res custodita salvo il caso fortuito.

Elementi essenziali di questa ipotesi di responsabilità sono la cosa, il custode e il danno da prodotto dalla cosa (o perché questa sia per intrinseca natura suscettibile di produrlo ovvero perché siano insorti agenti dannosi).

In passato la giurisprudenza tendeva ad escludere l’applicabilità della norma nei casi di beni, facenti parte del demanio pubblico (tra cui rientra il demanio stradale), rispetto ai quali, a causa dell’estensione e dell’uso generalizzato e diretto da parte dei terzi, non fosse possibile svolgere i doveri di vigilanza posti a carico del custode (Cass. civ. SS.UU. 5 settembre 1997 n. 8588). Tale orientamento si basava sulla considerazione che la predetta categoria di beni non potesse essere sottoposta ad una idonea custodia della P.A.  Di conseguenza si poteva applicare l’art. 2051 soltanto se l’estensione dei beni demaniali era tale da consentire l’esercizio di un continuo ed efficace controllo volto ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi (Cass. civ. 23 gennaio 2009 n. 1691).

Si riteneva, quindi, applicabile l’art. 2051 nei confronti della P.A. per i beni demaniali – quali le strade pubbliche – solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne era possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza tale da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cass. civ. 26 settembre 2006 n. 20827).

La giurisprudenza oggi, invece, è orientata ad affermare un più pregnante dovere di custodia delle strade in capo alla P.A. (Cass. civ. 20 febbraio 2019 n. 4963).

Gli enti proprietari delle strade, ai sensi dell’art. 14, D.Lgs. 30.4.1992, n. 285, infatti, devono provvedere: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e delle relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta.

Trattasi di obbligo derivante dal mero fatto di essere proprietari il quale può concorrere con ulteriori obblighi (e, quindi, con ulteriori cause di responsabilità) del medesimo ente o di altri, derivanti da altre normative e, in particolare, dalla disciplina dettata dall’art. 2051 c.c. (Cass. civ. 22 aprile 2010 n. 9527).

Sussiste, quindi, la responsabilità della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, per violazione delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, ma anche ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. ad un facere giacché la domanda investe un’attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (Cass. civ. 4 aprile 2019 n. 9318).

Ciò posto in merito all’interpretazione del caso fortuito ai fini della prova liberatoria si sono formati due orientamenti strettamente connessi con la diversa qualificazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.

  • Secondo una concezione soggettivistica il caso fortuito, quale fatto esterno alla condotta del soggetto, può assumere rilevanza esimente solo previa valutazione della diligenza del custode. Quest’ultimo, pertanto, andrebbe esente da responsabilità solo laddove riuscisse a dimostrare di aver posto in essere quegli accorgimenti necessari per evitare l’esposizione a pericolo della res.

Questa impostazione comporta la qualificazione della responsabilità del custode come responsabilità semi-oggettiva o aggravata. La Corte di Cassazione, infatti, ha osservato che la prova dell’intervento di un fattore esterno imprevedibile e inevitabile, cui sia eziologicamente riconducibile il danno, vale ad attestare l’assenza di colpa in capo al custode. In una pronuncia (Cass. civ. sez. III 20 febbraio 2006, n. 3651, più di recente anche Cass. civ. sez. VI 28 luglio 2017, n. 18856) si legge, infatti, che “la prova liberatoria del fortuito attiene alla prova che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l’adeguata diligenza, e cioè con lo sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze concrete del caso. Essa si sostanzia pertanto nella prova di aver adottato, in relazione alle condizioni della cosa e alla sua funzione, tutte le misure idonee ad evitare il danno. Nella prova che, pur essendosi mantenuto il comportamento diligente nel caso dovuto, il danno si è ciononostante verificato per un evento non prevedibile né superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura della cosa, alla sua funzione e alle circostanze del caso concreto”.

  • L’orientamento prevalente (Cass. civ. sez. III 1° febbraio 2018, n. 2477; Cass. civ. sez. III 6 febbraio 2018, n. 2840; Cass. civ. sez. VI 16 maggio 2017, n. 12027; Cass. civ. sez. III 9 agosto 2004, n. 15383 e 15384), invece, ritiene che la responsabilità per danno da cose in custodia sia una responsabilità oggettiva in senso stretto. Il caso fortuito, infatti, viene considerato un fattore esterno naturale, derivante del fatto del terzo o del danneggiato stesso idoneo a recidere il nesso di causalità tra custodia della res e pregiudizio.

La responsabilità ex art. 2051 c.c., pertanto, si basa sul positivo riscontro del solo nesso di causalità tra la cosa causativa del danno e l’evento dannoso a prescindere dal comportamento colpevole del custode. Il danneggiato è chiamato, quindi, a provare solo la sussistenza del nesso eziologico non dovendo fornire la prova dell’intrinseca pericolosità della cosa o della condotta commissiva od omissiva del custode, mentre quest’ultimo, per andare esente da responsabilità, dovrà fornire la prova del caso fortuito.

In due sentenze gemelle del 2004 (Cass. civ. sez. III 9 agosto 2004, n. 15383 e 15384) la Corte di Cassazione ha precisato che “la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.) ha carattere oggettivo e, perché possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità (rilevante non già ad escludere la colpa bensì quale profilo oggettivo, al fine di accertare l’eccezionalità del fattore esterno, sicché anche un’utilizzazione estranea alla naturale destinazione della cosa diviene prevedibile dal custode laddove largamente diffusa in un determinato ambiente sociale) e dell’inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti causato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell’inizio del rapporto di custodia”.

Orbene la Suprema Corte, nel caso in esame, nell’aderire all’orientamento che afferma la natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità da cose in custodia, ha affermato che, in tema di responsabilità, quale custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., dell’ente proprietario di una strada, ai fini della prova liberatoria che quest’ultimo deve fornire per sottrarsi alla propria responsabilità occorre distinguere tra la situazione di pericolo connessa alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze e quella dovuta ad una repentina e imprevedibile alterazione dello stato della cosa, poiché solo in quest’ultima ipotesi può configurarsi il caso fortuito, in particolare quando l’evento dannoso si sia verificato prima che il medesimo ente proprietario abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo espletata con diligenza per tempestivamente ovviarvi, la straordinaria ed imprevedibile condizione di pericolo determinatasi da obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché il suo aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato.

Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., pertanto, ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva.

In conclusione, nel caso di specie, la Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ha affermato che il giudice d’appello ha mal applicato tali principi perché non ha verificato se effettivamente il Comune, che non era il proprietario della strada, aveva realmente il potere di esercitare un qualsivoglia controllo o di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa.

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