9 Giugno 2020

La responsabilità del direttore dei lavori per i vizi dell’opera appaltata

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2020, n. 3855 – Pres. Lombardo – Rel. Scarpa 

Parole chiave: Appalto – Direttore dei lavori – Alta sorveglianza delle opere – Omessa vigilanza – Vizi e difetti dell’opera – Responsabilità – Sussistenza

[1] Massima: Il direttore dei lavori per conto del committente, essendo chiamato a svolgere la sua attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si propone di conseguire, sicché l’inadempimento degli obblighi connessi al suo incarico che abbia concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente genera a suo carico l’identica obbligazione risarcitoria dell’appaltatore, avente per oggetto l’esecuzione delle opere necessarie per eliminare i vizi ed eseguire l’opera a regola d’arte.

 Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1667, 1669, 2055, 2230 e 2236.

CASO

Un condominio agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla negligente e difettosa esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria.

La sentenza di primo grado accoglieva la domanda proposta nei confronti dell’impresa cui erano state appaltate le opere e del direttore dei lavori, il quale proponeva appello.

Contro la sentenza della Corte d’Appello di Catania, che respingeva l’impugnazione del direttore dei lavori, insorgevano sia quest’ultimo, con ricorso principale, sia il condominio, che, con ricorso incidentale, si doleva, tra l’altro, del fatto che il direttore dei lavori fosse stato dichiarato responsabile con riferimento solo ad alcuni dei vizi rilevati e non anche ad altre difformità (relative agli elementi architettonici in corrispondenza del secondo piano dell’edificio, ai pilastri esterni e alla parte non rifatta del muretto esterno di una terrazza), le quali, per i giudici di merito, andavano imputate esclusivamente all’appaltatore, che aveva scelto liberamente le modalità operative ed esecutive.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha respinto integralmente il ricorso principale, mentre, in parziale accoglimento dell’impugnazione incidentale del condominio, ha censurato la statuizione con cui era stata parzialmente esclusa la responsabilità solidale del direttore dei lavori con riguardo ai vizi e alle difformità riscontrati, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

QUESTIONI

[1] La sentenza che si annota affronta il tema della responsabilità del direttore dei lavori incaricato dal committente di sovrintendere, per suo conto, alla regolare esecuzione dell’opera appaltata.

A differenza di quanto accade negli appalti pubblici, il direttore dei lavori non è una figura necessaria nell’appalto privato, dal momento che la sua nomina, da parte del committente, è facoltativa: di norma, l’incarico si giustifica con la necessità di avvalersi di un professionista che, in virtù delle peculiari conoscenze e competenze possedute, segua l’esecuzione dell’opera, accertando che la sua realizzazione avvenga secondo quanto previsto dal progetto e che le modalità esecutive siano conformi al capitolato e alle regole della tecnica.

Tra i compiti del direttore dei lavori rientrano la segnalazione delle situazioni anomale riscontrate e l’adozione degli accorgimenti volti a garantire che l’opera risulti immune da difetti costruttivi; inoltre, egli è tenuto a impartire le disposizioni e le istruzioni che si rivelino necessarie affinché l’opera venga realizzata conformemente alle aspettative del committente, nonché a verificarne l’ottemperanza da parte dei soggetti ai quali sono indirizzate.

Sebbene sia funzionalmente collegata all’obbligazione dell’appaltatore, che è tipicamente di risultato, quella del direttore dei lavori è qualificata da una più che consolidata giurisprudenza come obbligazione di mezzi, in quanto ha per oggetto la prestazione di un’opera intellettuale che non si estrinseca, nemmeno in parte, in un risultato di cui si possa cogliere tangibilmente la consistenza, non sfociando in un’opera materiale (Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2008, n. 10728, Cass. civ., sez. II, 20 luglio 2005, n. 15255 e Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3264).

Fermo restando ciò, il comportamento del direttore dei lavori deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”, cioè tenendo conto delle norme di perizia e delle capacità tecniche esigibili nel caso concreto (Cass. civ., sez. II, 3 maggio 2016, n. 8700), giacché egli è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di specifiche e peculiari cognizioni, acquisite grazie a studi ed esperienze professionali e a utilizzare le proprie risorse intellettive e operative in guisa da assicurare i risultati che, in vista della realizzazione dell’opera appaltata, il committente si è ripromesso di conseguire dall’esatto e corretto adempimento dell’incarico affidato al professionista.

L’attività del direttore dei lavori, quindi, consiste nell’alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere, né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta comunque il controllo della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e, pertanto, l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. civ., sez. II, 14 marzo 2019, n. 7336).

Alla stregua di tali principi e tenuto conto del vincolo di responsabilità solidale (che trova fondamento nell’art. 2055 c.c.) che lega le figure dell’appaltatore, del progettista e del direttore dei lavori, laddove i rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno subito dal committente, i giudici di legittimità hanno evidenziato che, in capo al direttore dei lavori, sorge la medesima obbligazione risarcitoria gravante sull’appaltatore e avente per oggetto le opere necessarie per eliminare i vizi e rendere l’opera conforme alla regola dell’arte (Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2017, n. 29218; Cass. civ., sez. II, 27 agosto 2012, n. 14650), sicché la corte d’appello aveva errato nel sostenere che la responsabilità fosse ascrivibile esclusivamente all’appaltatore per il fatto di avere scelto liberamente le modalità esecutive.

Va peraltro precisato che tale affermazione si giustifica in virtù della natura della responsabilità considerata dall’art. 1669 c.c.

Sebbene la norma – per la sua collocazione topografica – possa indurre a qualificarla come responsabilità di carattere contrattuale (al pari di quella contemplata dall’art. 1667 c.c.), per la giurisprudenza si tratta, in realtà, di una responsabilità extracontrattuale, dal momento che il legislatore, con questa disposizione di carattere speciale, ha inteso proteggere non solo e non tanto l’interesse particolare del committente al corretto adempimento degli obblighi gravanti sull’appaltatore, ma un interesse generale, proprio dell’intera collettività: quello che gli edifici siano durevoli e costruiti a regola d’arte e che, in particolare, non vengano realizzate opere pericolose.

La natura extracontrattuale della responsabilità considerata dall’art. 1669 c.c., che mira dunque a garantire la sicurezza dell’attività costruttiva, consente di avvincere nel vincolo della solidarietà, secondo quanto previsto dall’art. 2055 c.c., tutti quei soggetti – ulteriori rispetto all’appaltatore – che, svolgendo a vario titolo la loro attività nell’esecuzione dell’opera e sia pure in forza di rapporti contrattuali diversi, abbiano comunque contribuito, per colpa professionale, alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi (si vedano, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2017, n. 29218 e Cass. civ., sez. II, 27 agosto 2012, n. 14650).

Inoltre, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, che rinviene una sua specifica disciplina nel succitato art. 1669 c.c., non assumono rilievo le previsioni contemplate dall’art. 2236 c.c. (che limitano la responsabilità per danni del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave, quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà), mentre, in tema di prova, il committente potrà avvalersi della presunzione iuris tantum di responsabilità che, secondo la giurisprudenza, è predicabile laddove si sia in presenza di fattispecie sottoposta alla disciplina dell’art. 1669 c.c., perlomeno quando si tratti di crollo o rovina dell’edificio (così, per esempio, Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2013, n. 1026 e Cass. civ., sez. I, 6 dicembre 2000, n. 15488).

A tale riguardo, la sentenza annotata, richiamando anche la regola generale dettata da Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533 in tema di responsabilità contrattuale, ha affermato che, nel caso in cui il committente faccia valere la responsabilità del direttore dei lavori per vizi o difformità dell’opera appaltata, egli deve soltanto provare l’esistenza del contratto, ovvero l’assunzione dell’incarico da parte del professionista, nonché allegare l’inadempimento di quest’ultimo, il quale dovrà, invece, dimostrare di aver eseguito diligentemente la prestazione, onde andare esente da responsabilità.

Va tuttavia segnalato che le medesime Sezioni Unite, seppure con riguardo alla disciplina della compravendita, hanno recentemente affermato che l’onere di dimostrare l’esistenza di vizi e difetti della cosa grava sul compratore, anche in considerazione del fatto che, trovandosi egli in relazione diretta con il bene, è nelle condizioni di svolgere gli esami funzionali all’accertamento del vizio lamentato (il riferimento è a Cass. civ., sez. un., 3 maggio 2019, n. 11748). Se tale principio fosse considerato estensibile anche al contratto d’appalto (che presenta diversi punti di contatto con la compravendita, tanto che sono frequenti le ipotesi nelle quali insorgono dubbi sulla riconducibilità del rapporto a una piuttosto che all’altra figura negoziale), ne deriverebbe una possibile rimodulazione degli oneri probatori a carico del committente (quantomeno nei confronti dell’appaltatore, che condivide, nei confronti della controparte contrattuale, la medesima posizione che assume il venditore nella compravendita).