La responsabilità del creditore per eccesso nell’iscrizione di ipoteca
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 13 dicembre 2021, n. 39441 – Pres. Travaglino – Rel. Scarano
Parole chiave: Responsabilità patrimoniale – Cause di prelazione – Ipoteca – Iscrizione su beni di valore eccedente l’importo del credito vantato – Responsabilità extracontrattuale del creditore – Configurabilità
Massima: “In caso di iscrizione di ipoteca giudiziale su beni di valore eccedente rispetto all’importo del credito vantato, il creditore può essere chiamato a rispondere, ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il danno subito dal debitore, consistente nella difficoltà o impossibilità della negoziazione dei beni medesimi, ovvero nella difficoltà di accesso al credito; invero, la previsione della speciale responsabilità processuale ex art. 96 c.p.c. – quale responsabilità del soccombente che abbia abusato del diritto di agire o resistere in giudizio – non esclude l’applicabilità della disciplina generale dell’illecito civile, atteso che il creditore è tenuto a una condotta prudente e diligente, nonché informata al rispetto dei principi di buona fede e correttezza, non solo in caso di ricorso a rimedi processuali, bensì, ancora prima, nell’attuazione dei propri diritti contrattuali o negoziali e, dunque, anche del diritto di garanzia, che dev’essere esercitato in termini consentanei con la sua funzione di mezzo volto a creare una situazione di preferenza rispetto agli altri creditori e non per determinare situazioni di discredito sociale e professionale e, conseguentemente, di blocco del patrimonio e dell’attività del debitore”.
Disposizioni applicate: cod. civ., art. 2043, 2875, 2876; cod. proc. civ., art. 96
CASO
Una banca agiva in via monitoria nei confronti di una propria cliente e del fideiussore per il pagamento della somma (pari a circa € 110.000) dovuta per scoperto di conto corrente; in forza del decreto ingiuntivo così emesso, veniva iscritta ipoteca giudiziale sull’intero compendio immobiliare (di valore stimato in circa € 30.000.000) di proprietà del fideiussore.
Quest’ultimo, proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo, chiedeva che – attesa la notevole sproporzione ravvisabile tra il valore dei beni ipotecati e il credito garantito – la banca fosse condannata al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali che gli erano derivati in conseguenza dell’iscrizione ipotecaria e consistenti, in particolare, nella paralisi della propria attività imprenditoriale, causata dalla mancata concessione di un finanziamento che un altro istituto di credito era in procinto di erogare e che, tuttavia, non aveva accordato, per effetto della perdita d’immagine che l’iscrizione aveva provocato nei confronti dell’intero sistema bancario.
Tali domande venivano respinte, sia in primo che in secondo grado, sul presupposto che, contemplando l’ordinamento altri rimedi attivabili per reagire a un’iscrizione ipotecaria abnorme, non potesse essere predicata in capo al creditore una responsabilità extracontrattuale e un conseguente obbligo risarcitorio.
Il fideiussore, pertanto, proponeva ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l’iscrizione ipotecaria che trascenda i limiti di una ragionevole tutela del credito ben può configurare un esercizio abusivo del diritto di garanzia e legittimare, dunque, la pretesa risarcitoria del debitore che si sia visto pregiudicato dalla condotta imprudente, negligente o abusiva del creditore.
QUESTIONI
[1] Con l’ordinanza che si annota, la Corte di Cassazione ha affermato che il debitore che vede i propri beni gravati da ipoteca per un valore eccedente rispetto al credito garantito ha diritto di ottenere il risarcimento dei danni scaturiti da tale situazione.
Superando l’orientamento che escludeva, in simile ipotesi, la ravvisabilità di un fatto illecito imputabile al creditore, a carico del quale sarebbe stata configurabile unicamente la responsabilità processuale ex art. 96, comma 1, c.p.c., qualora fosse stato convenuto in giudizio per la riduzione dell’ipoteca e avesse resistito con mala fede o colpa grave, i giudici di legittimità hanno, infatti, evidenziato che chi, senza adoprare la normale diligenza, iscriva ipoteca su beni aventi un valore sproporzionato per eccesso rispetto al credito garantito, secondo i parametri dettati dagli artt. 2875 e 2876 c.c., commette un abuso e incorre, dunque, in responsabilità, qualora sia accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta l’ipoteca.
La statuizione assunta esclude, dunque, che i rimedi di carattere sostanziale e processuale messi a disposizione dall’ordinamento (rappresentati, rispettivamente, dalla possibilità che l’ipoteca venga ridotta e dalla responsabilità aggravata prevista dall’art. 96 c.p.c.), per il solo fatto di essere azionabili dal proprietario dei beni ipotecati, possano impedire a quest’ultimo di pretendere il risarcimento dei danni provocatigli dalla condotta abusiva del creditore, responsabile di un vero e proprio illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Agli argomenti sui quali si fondava l’orientamento precedente (rappresentati fondamentalmente dall’inesistenza di una norma che, in tema di riduzione delle ipoteche, sancisca la responsabilità per atto illecito di chi abbia ecceduto nell’iscrizione, dal diritto del creditore di estendere l’ipoteca anche al di là del fine della garanzia, dall’assoggettamento dell’intero patrimonio del debitore alla responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. e dalla correlativa facoltà del creditore di cautelarsi iscrivendo ipoteca su qualunque bene immobile appartenente al debitore), è stato opposto che l’eccezione alla responsabilità per atto illecito, che deve risultare inequivocabilmente dal sistema della legge, non emerge da alcuna delle disposizioni alle quali veniva fatto richiamo per supportare una simile ricostruzione.
In particolare, l’art. 2828 c.c., riconoscendo la facoltà di iscrivere ipoteca su qualunque bene del debitore, non stabilisce alcunché in merito all’ambito dell’iscrizione, mentre l’art. 2877 c.c., che si limita a disciplinare la procedura di riduzione delle ipoteche, non esclude la responsabilità in capo a chi abbia ecceduto, sebbene la legge preveda che le spese necessarie per eseguire la formalità restano a carico del debitore (sempre che, peraltro, la riduzione non abbia luogo per eccesso nella determinazione del credito fatta dal creditore, nel quale caso è stabilito che è questi a doversene fare carico).
In effetti, secondo quanto osservato dai giudici di legittimità, dalla natura accessoria e strumentale della garanzia reale dispetto a crediti determinati, discende che la libertà di scelta del creditore in ordine agli immobili da assoggettare a ipoteca non può prescindere dalla necessaria correlazione tra credito, importo iscritto e valore dei beni.
Lo dimostrano le norme dettate dagli artt. 2874 e 2875 c.c., in base alle quali le ipoteche giudiziali debbono ridursi qualora i beni compresi nell’iscrizione abbiano un valore superiore a un terzo dei crediti iscritti, maggiorato degli accessori, ovvero se la somma determinata dal creditore nell’iscrizione ecceda di un quinto quello che l’autorità giudiziaria dichiara dovuta.
Sotto il profilo del coordinamento tra la generale responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. e quella prevista dall’art. 96 c.p.c., quest’ultima ha natura speciale, perché attiene ad atti e comportamenti che si inseriscono nell’ambito di un processo e si traducono in un abuso del diritto di agire o di resistere in giudizio da parte di chi, senza la normale prudenza, chieda l’esecuzione di un provvedimento cautelare o abbia trascritto una domanda giudiziale o iscritto ipoteca giudiziale o agito in via esecutiva per la tutela o per la realizzazione di un diritto di cui sia accertata l’inesistenza, ovvero di chi, nonostante l’esistenza del diritto, abbia agito o resistito con mala fede o colpa grave nel giudizio di riduzione proposto dal debitore, a tutela dell’interesse a non subire turbative processuali ingiustificate o che comportino la violazione del generale dovere di correttezza e buona fede.
A fronte di tale specialità, ravvisabile – come detto – nel fatto di porsi nell’ambito di una vicenda processuale, va escluso che la responsabilità sancita dall’art. 96 c.p.c. escluda quella generale da illecito civile ex art. 2043 c.c., nel caso in cui il creditore, ancora prima e al di fuori di un processo e al di là del fatto che siano stati attivati i rimedi contemplati dall’ordinamento, eserciti i propri diritti, poteri e facoltà in modo imprudente o non diligente, ovvero abusandone.
Così, con specifico riferimento al diritto di garanzia, il titolare deve fruirne in modo tale da perseguire l’obiettivo per il quale gli è riconosciuto (ossia per procurarsi una situazione di preferenza rispetto agli altri creditori) e non per determinare situazioni di discredito sociale e professionale che possano pregiudicare la posizione del debitore: il principio di universalità della responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c. va pur sempre riguardato alla stregua di quello di proporzionalità e di adeguatezza, che funge da limite e da presidio rispetto all’interesse funzionalmente perseguito.
Di converso, il diritto del debitore di fare ricorso, in presenza dei presupposti di legge, al rimedio della riduzione dell’ipoteca non legittima una condotta imprudente, negligente o abusiva del creditore e non vale, dunque, a escludere la sua responsabilità extracontrattuale.
Di qui, l’affermazione, contenuta nell’ordinanza che si annota, per cui, a prescindere dal rimedio speciale della riduzione delle ipoteche e ferma restando la sua eventuale responsabilità processuale di cui all’art. 96 c.p.c., il creditore che abbia iscritto ipoteca giudiziale su beni che abbiano un valore eccedente o sproporzionato rispetto all’importo del credito vantato, può essere chiamato a rispondere, ai sensi dell’art. 2043 c.c., del danno subito dal debitore in conseguenza della difficoltà o dell’impossibilità di commercializzare il bene illegittimamente assoggettato alla garanzia reale, ovvero della derivantene difficoltà di accesso al credito, dovendosi senza dubbio escludere che il creditore possa iscrivere ipoteca sui beni del debitore senza alcun limite di continenza o di proporzionalità.
Sebbene con riferimento a un’ipotesi in cui il danno lamentato scaturiva dall’inadempimento dell’obbligo contrattualmente assunto di procedere alla cancellazione dell’ipoteca, è interessante sottolineare come un’altra recente pronuncia della Corte di cassazione (la n. 38317 del 3 dicembre 2021) abbia precisato che tale danno è da considerarsi in re ipsa – trovando la sua causa diretta e immediata nella situazione illegittima ascrivibile alla controparte – e consiste, oltre che nella somma necessaria per cancellare i vincoli e per dare corso alle relative formalità, anche nella perdita del guadagno che una vendita tempestiva del bene gravato (ostacolata dalla permanenza dell’ipoteca) avrebbe consentito, che dev’essere provato dal richiedente; mancato guadagno che, tuttavia, non può identificarsi nell’intero valore del bene, visto che il danneggiato ne conserva comunque la disponibilità (potendo addirittura lucrare condizioni di vendita migliorative, per effetto di aumenti dei valori immobiliari che dovessero verificarsi medio tempore), ma, casomai, nell’impossibilità di sfruttare il denaro che si sarebbe conseguito con il pagamento del prezzo (sotto forma, quindi, di interessi o altre forme di impiego), ovvero nell’impossibilità di realizzare, in futuro, lo stesso prezzo che era stato offerto, sempre in conseguenza di mutati scenari del mercato.
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