11 Febbraio 2025

La responsabilità del Comune per le strade in custodia

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 18/12/2024, n. 33136, Rel. Dott. P. Gianniti

Responsabilità da cose in custodia (art. 2051 c.c.)

Massima: “In materia di responsabilità per la custodia di strade, occorre distinguere fra i casi in cui il danno sia conseguenza di un vizio intrinseco alla struttura della cosa, oppure sia da ascrivere all’intervento di agenti esterni, normalmente imputabili alla natura, al traffico, al pubblico degli utenti o ad un singolo soggetto terzo (un masso, un animale, una macchia d’olio, ecc.); in tale seconda evenienza, la responsabilità non è imputabile oggettivamente all’ente pubblico, per il solo fatto della presenza dell’ostacolo, ma occorre che risulti che l’intrusione è stata agevolata dalla peculiare conformazione del bene; oppure dal difetto di manutenzione o di vigilanza sullo stesso (presenza di animali o di altri ostacoli, ecc.) ed, in questi ultimi casi, che vi è stato colpevole ritardo nell’accertare la sopraggiunta situazione di pericolo e/o nell’intervenire per rimuoverla”.

CASO

Tizio conveniva in giudizio il Comune Alfa e la sua compagnia assicurativa, chiedendo che i convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni da lui subiti all’esito del sinistro occorsogli mentre, alla guida del motociclo di sua proprietà, percorreva una strada comunale e si era visto sbalzare dal motociclo a causa di un ostacolo che invadeva l’intera carreggiata, cadendo violentemente a terra e perdendo i sensi.

Nello specifico, Tizio deduceva che il sinistro era stato cagionato dalla presenza di un grosso tronco d’albero che occupava l’intera carreggiata da lui percorsa, non visibile, non prevedibile né evitabile e che riteneva il Comune Alfa responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c., quale proprietario e custode della strada luogo del sinistro o, in subordine, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Il Comune Alfa si costituiva in giudizio, contestando gli assunti attorei. In particolare, rilevava la carenza di prova in ordine alle modalità del sinistro e alla sua riconducibilità all’asserito pericolo, nonché l’insussistenza dei presupposti per la configurabilità della responsabilità dell’ente sia in relazione all’art. 2051 che all’art. 2043 c.c. Deduceva la responsabilità esclusiva o concorrente dello stesso Tizio e che in ogni caso all’epoca del sinistro responsabile della manutenzione e sorveglianza dell’area stradale in questione era l’appaltatrice Beta, che pertanto doveva ritenersi responsabile esclusivamente per i danni cagionati a terzi.

A seguito di chiamata in causa, si costituiva in giudizio Beta, che contestava sia la domanda attorea che quella di manleva svolta dal Comune Alfa. Restava invece contumace la compagnia assicurativa.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea.

Tizio proponeva impugnazione avverso la sentenza del giudice di primo grado, deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui il Tribunale aveva escluso il nesso di causalità tra la sua caduta (e quindi le lesioni da lui riportate) e la presenza in loco di un ostacolo derivante dalla potatura di alberi collocati nel mezzo delle due carreggiate tra due guardrail e ai lati della strada come da documentazione fotografica, che allegava.

Il Comune Alfa si costituiva chiedendo il rigetto dell’impugnazione avversaria, al pari d Beta.

La Corte d’Appello confermava il rigetto della domanda attorea.

Tizio ricorre dunque in Cassazione avverso la sentenza della corte territoriale.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, rigetta il ricorso.

QUESTIONI

Superata da tempo l’opposta concezione, oggi si ammette che anche la P.A., al pari di qualunque altro soggetto privato, possa soggiacere alla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., nel caso in cui un bene sottoposto al suo controllo finisca con l’arrecare danno a terzi. Anche la P.A., infatti, nell’esercizio del suo potere discrezionale in ordine alla esecuzione e manutenzione di opere pubbliche, nonché nella vigilanza e controllo in genere dei suoi beni, incontra i limiti derivanti, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c.; è possibile quindi affermare che la P.A. risponde, ai sensi dell’art. 2051 c.c., per il danno cagionato al privato da un suo bene, che, per essere nella custodia dell’amministrazione, è sottoposto al suo potere di vigilanza e controllo.

A norma dell’art. 2051 c.c., ciascuno è dunque responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

In proposito, è ormai un dato assodato quello per cui l’art. 2051 c.c. prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva.

La questione concernente la natura della responsabilità sancita dalla norma in commento ha tenuto banco invero per molto tempo. A un primo orientamento che ravvisava nella fattispecie un’ipotesi di responsabilità soggettiva, per colpa, se ne è contrapposto un altro, ormai accolto come dicevamo pacificamente in giurisprudenza, secondo cui si tratterebbe di responsabilità oggettiva.

La differente impostazione ha avuto in passato conseguenze di notevole impatto pratico, tra cui, in particolare la diversa concezione del caso fortuito, cui la norma fa riferimento quale unico limite alla responsabilità che grava sul custode. È intuitivo che nel caso in cui si segua la concezione soggettiva della responsabilità, si dovrebbe concludere che la prova liberatoria potrebbe consistere anche nella dimostrazione di avere diligentemente adempiuto al dovere di custodia. Diversamente, nel caso in cui si segua la tesi della responsabilità oggettiva, nel concetto di caso fortuito potrebbero essere ricompresi solamente fattori esterni e autonomi rispetto alla sfera di controllo del custode, idonei a interrompere il nesso causale tra l’attività di custodia e l’evento lesivo.

Sul punto la Corte si allinea a quello che è l’indirizzo ormai costante rinvenibile in giurisprudenza e che ha sposato la teoria della responsabilità oggettiva.

Nella sentenza in esame c’è però un passaggio ulteriore.

La Corte rileva come sia jus receptum (tra le più recenti, Cass. n. 6826/2021 e n. 6651/2020) il principio per cui, in materia di responsabilità per la custodia di strade, occorra distinguere fra i casi in cui il danno sia conseguenza di un vizio intrinseco alla struttura della cosa, oppure sia da ascrivere all’intervento di agenti esterni, normalmente imputabili alla natura, al traffico, al pubblico degli utenti o ad un singolo soggetto terzo (un masso, un animale, una macchia d’olio, ecc.). In tale seconda evenienza – che secondo la prospettazione dello stesso ricorrente ricorrerebbe anche nel caso di specie – la responsabilità non è più imputabile oggettivamente all’ente pubblico, per il solo fatto della presenza dell’ostacolo, ma occorre che risulti che l’intrusione è stata agevolata dalla peculiare conformazione del bene; oppure dal difetto di manutenzione o di vigilanza sullo stesso (presenza di animali o di altri ostacoli, ecc.) ed, in questi ultimi casi, che vi è stato colpevole ritardo nell’accertare la sopraggiunta situazione di pericolo e/o nell’intervenire per rimuoverla.

In conformità al suddetto principio di diritto, tornando al caso di specie, la S.C. osserva quindi che quand’anche fosse risultato provato che il sinistro era stato causato dalla presenza di un ramo d’albero sulla carreggiata, Tizio, per ottenere l’accoglimento della sua domanda, avrebbe dovuto provare che detto ramo si trovava sulla strada da un certo lasso di tempo e che l’ente convenuto, nonostante avesse avuto notizia di tale circostanza, non si fosse tempestivamente attivato per il relativo intervento tecnico. Circostanza quest’ultima che nel giudizio di merito non risultava essere stata accertata. Da qui il rigetto del ricorso.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Riforma del Codice della Strada recata dalla L. 25/11/2024 n. 177