La responsabilità degli amministratori per la mancata adozione di misure adeguate a rilevare uno stato di crisi e a porvi rimedio
di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Roma, sentenza del 15 settembre 2020
Parole chiave: denuncia – ispezione – crisi d’impresa – responsabilità – amministratore.
Massima: “L’attuale formulazione dell’art. 2409 c.c. consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto quelle irregolarità aventi necessariamente carattere di attualità e riguardanti doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata, senza tener conto di condotte ormai esauritesi sul piano temporale né dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Tali condotte devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale.”
Disposizioni applicate: 2086, 2381, 2409 c.c.
Il provvedimento che si analizza contiene un’interessante, quanto didattica, analisi dei requisiti per l’azione dei soci ex art. 2409 c.c. alla luce della recente riforma sulla crisi d’impresa. In particolare, i membri del Collegio sindacale di una s.p.a. (qui denominata come “Alfa”) hanno agito per ottenere l’immediata revoca dei componenti del Consiglio di amministrazione (“CdA”) e la conseguente nomina di un amministratore giudiziario, ovvero in subordine l’ispezione della medesima società.
I sindaci hanno infatti denunciato al Tribunale di Roma numerose irregolarità commesse dal CdA di Alfa che, a detta dei ricorrenti, hanno pericolosamente minato l’equilibrio economico e finanziario della stessa Alfa e la continuità della sua attività, tra le quali l’omesso accertamento della perdita di continuità aziendale e il compimento di atti pregiudizievoli per il patrimonio sociale con rischio di ulteriore depauperamento.
Più nel dettaglio, i sindaci hanno segnalato che: (i) gli amministratori avevano omesso di considerare evidenti segnali relativi all’impossibilità di garantire la continuità aziendale della società, in quanto le entrate generate dall’attività produttiva non erano nemmeno sufficienti a coprire i costi della produzione né tantomeno a far fronte all’ingente indebitamento della società; (ii) la società era stata fatta oggetto di plurime iniziative esecutive da parte dei creditori, che ne avevano pignorato tutti i conti correnti, e gli amministratori avevano deciso di conferire in una società terza l’unico ramo di azienda profittevole, che generava la quasi totalità dei ricavi, peraltro senza percepire alcun compenso; (iii) gli amministratori non avevano adottato alcuno strumento legale per la gestione della crisi, ma solo una disordinata e pregiudizievole attività di dismissione dei beni, al di fuori di una adeguata cornice procedimentale a tutela del patrimonio della società e dei suoi creditori.
Alla luce di tali elementi, il Tribunale di Roma ha motivato la propria decisione ricostruendo in maniera chiara il dettato normativo e lo spettro di applicazione dell’art. 2409 c.c., partendo dall’elencazione dei presupposti per l’accoglimento della denuncia, ossia: a) l’esistenza di fondati sospetti di gravi irregolarità nella gestione derivanti dalla violazione da parte degli amministratori dei doveri su di loro gravanti; b) il possibile danno alla società o ad una o più società controllate derivante dalle irregolarità nella gestione, con conseguente irrilevanza dell’eventuale danno arrecato a soci o terzi.
Secondo il Tribunale romano, l’attuale formulazione dell’art. 2409 c.c. consente di affermare come non assuma rilievo qualsiasi violazione di doveri gravanti sull’organo amministrativo, ma soltanto quelle irregolarità aventi necessariamente carattere di attualità e riguardanti doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata, senza tener conto di condotte ormai esauritesi sul piano temporale né dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Tali condotte devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale (cfr. le sentenze di merito citate nel provvedimento in commento: App. Salerno, 19 luglio 2005; App. Venezia, 23 luglio 2014; App. Milano, 29 giugno 2012).
Alla luce di ciò, il Tribunale si è interrogato sugli effetti, causati dalla recente modifica all’art. 2086 c.c., alla responsabilità gestoria degli amministratori, con riferimento al nuovo dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi “adeguati” per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita di continuità aziendale, nonché di un dovere di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi.
La soluzione al quesito è stata data attraverso l’analisi del principio della business judgment rule. Infatti, secondo i Giudici romani, il giudizio sulla diligenza degli amministratori di una società investe unicamente[1] l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste quando si mette in atto una determinata decisione economica (di successo o meno che sia; cfr., Cassazione civile, sez. I, 28 aprile 1997, n. 3652). In altre parole, la valutazione sull’eventuale responsabilità giuridica degli amministratori non attiene al merito delle scelte imprenditoriali da loro compiute, ma attiene alle modalità con le quali tali scelte vengono compiute – se, da un lato, sussiste giuridicamente un obbligo di adottare la dovuta diligenza, dall’altro l’ordinamento giuridico non impone un obbligo di amministrare la società con successo economico.
Il Collegio giudicante ha perciò cercato di capire se alle scelte meramente “organizzative” potesse applicarsi la business judgment rule ai fini del sindacato della responsabilità degli amministratori. A tale quesito, il Tribunale ha risposto affermativamente citando una propria precedente decisione (cfr. Trib. Roma, 8 aprile 2020, RG n. 8159-1/2017), che ha tratto spunto dalla formulazione dell’art. 2381 c.c., che ha posto a carico degli amministratori il dovere di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società.
Ciò premesso, dunque, il Tribunale ha ritenuto perfettamente sindacabili (e quindi fonti di responsabilità) le scelte legate alla gestione degli indizi di pre-crisi e ai relativi assetti organizzativi, sia per quanto riguarda la rilevazione della crisi sia per ciò che attiene agli interventi conseguenti, sempre nei limiti del principio della business judgment rule. Di conseguenza, mentre da un lato è apparso certo come la mancata adozione di qualsivoglia misura organizzativa comportasse di per sé una responsabilità dell’organo gestorio, dall’altra, è stato ritenuto possibile assoggettare a sindacato giudiziale la struttura organizzativa predisposta dall’amministratore nei limiti e secondo i criteri della proporzionalità e della ragionevolezza (e, precisamente, in questo ambito secondo i criteri della adeguatezza), ciò al fine di verificare se fosse idonea a far emergere gli indici della perdita della continuità aziendale e se la tipologia degli interventi scelta dall’organo gestorio fosse ragionevole e non manifestamente irrazionale. Secondo il Tribunale, tale verifica andrebbe effettuata sulla base di una valutazione ex ante, tenendo conto delle informazioni conosciute o conoscibili dall’amministratore, ed a prescindere dai risultati concreti che poi sono stati raggiunti. Ciò in quanto la responsabilità dell’amministratore presuppone pur sempre una condotta colposa o dolosa.
Da tale ragionamento, deriva che è da considerarsi responsabile l’amministratore che abbia omesso del tutto di approntare una qualsivoglia struttura organizzativa, rimanendo inerte di fronte ai segnali indicatori di una situazione di crisi o di pre-crisi.
Per tali motivi, nel caso specificamente oggetto di analisi, il Tribunale ha rilevato che, sulla base degli elementi acquisiti e sussistendo il sospetto di gravi irregolarità, fosse necessario disporre l’ispezione di Alfa.
[1] Ciononostante, si sottolinea come il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non sia assoluto. La giurisprudenza ha, infatti, elaborato due particolari limiti: (1) il primo è che la scelta di gestione è insindacabile solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta); e (2) il secondo è che la scelta è insindacabile solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre).
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