La responsabilità degli amministratori e del cd. socio gestore in caso di fallimento della società
di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDFParole chiave: Società di capitali – Società a responsabilità limitata – azione di responsabilità – responsabilità degli amministratori – responsabilità del socio – socio gestore
Massima: L’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2476 co. 7 c.c. può avere ad oggetto anche gli atti compiuti dal socio cd. “gestore”, ma ciò nei soli casi in cui lo stesso, esercitando una qualche forma di influenza sulle scelte degli amministratori, abbia tenuto un comportamento positivo, dal quale possa dedursi tale influenza e l’intenzionalità di arrecare danno alla società, ai soci o ai creditori sociali mediante l’induzione degli amministratori all’inadempimento ai propri doveri.
Disposizioni applicate: artt. 2476 c.c., 2482 bis e ter c.c. e 2476 c. 7° c.c.
Con il giudizio in esame la curatela del Fallimento di una S.r.l. ha promosso un’azione sociale di responsabilità ex art. 146 L. fall. convenendo in giudizio gli amministratori della società fallita, rilevando la loro responsabilità ai sensi degli artt. 2476 e 2482 bis e ter c.c, nonché la responsabilità solidale del socio (non amministratore) per gli atti di mala gestio posti in essere durante il periodo di amministrazione del figlio ai sensi dell’art. 2476 c. 7° c.c.
In particolare, la Curatela denunciava le seguenti condotte di mala gestio: (i) l’omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili, (ii) la violazione dell’obbligo di convocazione dell’assemblea dei soci e riduzione del capitale sociale ai sensi degli artt. 2482 bis e ter, (iii) l’indebita prosecuzione dell’attività sociale in presenza di una causa di scioglimento della società ex art. 2484 n. 4 c.c. (iv) la sussistenza di indebiti prelievi dal conto corrente societario di somme date a mutuo alla società fallita (v) l’occultamento e la distrazione di beni e licenze commerciali (vi) la cessione gratuita di un ramo d’azienda e di beni strumentali della fallita in favore di altre società riconducibili allo stesso nucleo familiare.
Il Tribunale delle Imprese di Catania ha in primo luogo rigettato tutte eccezioni preliminari di difetto di legittimazione attiva e/o passiva, ricordando che l’azione sociale di responsabilità ex art. 2476 cod. civ. assurge alla funzione di dedurre gli inadempimenti degli amministratori agli obblighi derivanti dalla legge o dallo statuto per reintegrare il patrimonio sociale, anche in termini di mancato guadagno. L’azione può essere esercitata solo in seguito ad una deliberazione da parte dell’assemblea ma ciò, naturalmente, fino all’eventuale fallimento della società quando la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale passa in capo al curatore ai sensi degli artt. 42 e 43 L. fall.
Ciò chiarito, a seguito dell’istruttoria condotta in giudizio, anche a mezzo di una CTU, il Tribunale ha rilevato la sussistenza della quasi totalità delle condotte di mala gestio sopra denunciate, distinguendo la responsabilità degli amministratori convenuti in giudizio da quella del socio cd. gestore.
Con riguardo a quest’ultimo, il Tribunale ha infatti osservato che una responsabilità può essergli addebitata solo in presenza di un comportamento positivo dal quale possa dedursi una qualche forma di influenza concreta nei confronti dell’organo gestorio.
E’ quindi pacificamente rinvenibile una forma di responsabilità del socio nei soli casi di decisioni e autorizzazioni rese anche in forma non istituzionale o ufficiosa, mentre non è possibile rinvenirla nei casi in cui si sia manifestata una mera “influenza” del socio nei confronti degli amministratori, essendo sempre necessario il rinvenimento di un comportamento attivo (cfr., nello stesso senso, Trib. Salerno, 9 marzo 2010, nonché Trib. Roma 20844/2015, secondo il quale “il coinvolgimento del socio non può essere fondato contestando atteggiamenti di mera “inerzia” e di mancata attivazione dei poteri di controllo di cui all’art. 2476 comma 2 c.c.”).
Inoltre, altro requisito fondamentale per addebitare una responsabilità al socio gestore è quello della “intenzionalità” del compimento degli atti dannosi.
Affinché tale responsabilità possa essere rinvenuta occorre, quindi, dimostrare che il socio abbia voluto, intenzionalmente, arrecare danno alla società, ai soci o ai creditori sociali, proprio tramite l’induzione all’inadempimento degli amministratori (cfr. altresì Trib. Perugia, III sez., sentenza 10 gennaio 2019, n. 80; Trib. Roma n. 11177/2016; Trib. Roma 20844/2015).
Nella fattispecie in esame il Tribunale ha pertanto concluso che, mentre le condotte di mala gestio accertate erano tutte riconducibili all’operato degli amministratori, unico comportamento attivo tenuto dal socio e volto a ledere specificamente il patrimonio e i creditori sociali poteva essere rinvenuto nell’operazione di cessione gratuita del ramo d’azienda della società fallita e dei relativi beni strumentali a favore di società di nuova costituzione riconducibile allo stesso nucleo familiare (non potendosi dire altrimenti con riguardo agli altri comportamenti denunciati dalla curatela, trattandosi di comportamenti meramente omissivi).