La responsabilità contrattuale scaturente dalle delibere assembleari è sempre imputabile al condominio, non ai singoli condomini in quanto utenti/fruitori servizio riscaldamento
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFMassima: “In tema di condominio, la delibera assembleare relativa all’assegnazione del servizio di fornitura del gasolio per il riscaldamento è imputabile, per la connessa responsabilità contrattuale, esclusivamente al condominio e non già ai singoli fruitori del servizio, atteso che le decisioni afferenti alla gestione ed all’utilizzazione dei beni comuni, tra i quali rientrano la caldaia e l’impianto di riscaldamento centralizzato, sono demandate in via esclusiva alla assemblea dei condomini, stante il carattere vincolante delle disposizioni in materia, che, delineando un sistema di organizzazione rigida e non derogabile se non nei limiti di legge, rendono inammissibili forme organizzative alternative”.
CASO
Con la sentenza n. 2045 del 5 dicembre 2016, la Corte d’Appello di Torino accoglieva l’istanza di riesame presentata dal Condominio (OMISSIS), sito nella città di Chivasso, riformando così la decisione di primo grado che aveva a suo tempo revocato il decreto ingiuntivo richiesto dalla (OMISSIS) s.r.l., per il pagamento di forniture di gasolio per l’impianto di riscaldamento centralizzato, e che aveva condannato il condominio al pagamento della minor somma di euro 23.974,80, dichiarando il residuo credito prescritto.
Attraverso la propria pronuncia, infatti, la Corte piemontese accertava la fondatezza della tesi presentata dal Condominio che aveva sostenuto nel proprio libello difensivo di non essere obbligato al pagamento in quanto la società controparte aveva intrattenuto ed instaurato il rapporto contrattuale direttamente ed in modo autonomo con i singoli fruitori del servizio e non con il condominio medesimo. In particolare, il giudice del gravame sottolineò come il contratto di fornitura fosse stato sottoscritto dai condomini ed inquilini dello stabile, in veste di utenti finali del servizio, che avrebbero deciso di usufruire della fornitura messa a loro a disposizione dalla (OMISSIS) s.r.l. in una apposita assemblea a cui avrebbero partecipato non già in qualità di condomini ma, appunto, di meri fruitori del servizio, ed avevano conferito un mandato collettivo per la stipulazione del contratto, senza coinvolgere in alcun modo l’ente condominiale.
A fronte di tale soluzione prospettata nella trattazione dl merito della causa, la (OMISSIS) s.r.l. proponeva il 27 gennaio 2017 ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino, fondato su cinque motivi. Resisteva con controricorso il Condominio (OMISSIS).
La trattazione del ricorso si svolgeva, ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis, d.l. 28. 10. 2010, n. 137, convertito con la legge 18 dicembre 2010, n.176, in camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.
SOLUZIONE
La Suprema Corte di Cassazione accoglieva il primo motivo di ricorso e, contestualmente, dichiarava assorbiti i restanti, cassando la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviando la causa, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione.
QUESTIONI
Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente denunciò la violazione o falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1123, 1130, 1130 bis, 1131, 1135, 1136 cod. civ., dell’art. 10 legge n. 392 del 1978 e dell’art. 6 legge n. 841 del 1973.
La (OMISSIS) s.r.l. assumeva infatti che la conclusione accolta dal giudice del riesame, il quale aveva ritenuto segnatamente che il contratto di fornitura non fosse stato stipulato dal condominio ma dagli utenti del servizio in via autonoma come tali e non come condomini, contrasterebbe con l’impianto normativo disciplinante l’attività dell’ente condominiale. Tale sistema, di fatto, affiderebbe specificatamente all’assemblea le decisioni afferenti la gestione e l’utilizzazione dei beni comuni, tra i quali è sicuramente da annoverarsi la caldaia dell’impianto di riscaldamento centralizzato, ed all’amministratore l’attuazione delle delibere condominiali e l’amministrazione delle res communes, imponendogli puntuali obblighi di rendiconto delle spese e, di conseguenza, non ammette la possibilità che le relative decisioni siano adottate da organi diversi, non previsti dalla legge.
Tenendo conto del corpus della soluzione accolta dal Giudice del riesame, appare chiaro come questa sia del tutto ingiustificata e contraria alle disposizioni di legge in materia dato che negava la stessa natura condominiale dell’assemblea che si era espressa in merito alla conclusione del contratto di fornitura in ragione della circostanza che i partecipanti si erano qualificati come utenti del servizio e non semplicemente come condomini. A sostegno di quanto detto, la parte ricorrente indicò come l’art. 10 legge n. 392 del 1978 attribuisca espressamente al conduttore dell’unità abitativa di partecipare alle assemblee condominiali relative alle spese ed alle modalità dì gestione del servizio di riscaldamento, sicché la partecipazione di soggetti non condomini, ma titolari del diritto di godimento del servizio fornito, in tale tipo di assemblee costituirebbe una evenienza normale e non idonea a caratterizzare in modo diverso la relativa riunione, escludendo nello specifico che possa trattarsi di assemblea condominiale.
Tale primo motivo di ricorso venne ritenuto fondato da parte degli Ermellini, i quali motivarono che l’argomentazione della Corte di appello, laddove aveva ritenuto che le delibere assembleari relative alla assegnazione del servizio di fornitura del gasolio alla società non avevano impegnato il condominio in quanto i partecipanti avrebbero preso parte quali utenti della prestazione e non in veste di condomini, sconterebbe l’evidente errore di non aver considerato che l’intervento dei conduttori delle unità immobiliari alle assemblee del condominio relative alle spese ed alla gestione del servizio di riscaldamento costituisca una fattispecie tipica prevista dalla legge[1] e non possa pertanto considerarsi un dato eccentrico, tale da escludere la natura condominiale della riunione, che anzi è sottolineata dalla stessa disposizione normativa.
A giudizio della Suprema Corte, dunque, appare come privo di alcun rilievo il fatto che in sede di adunanza gli intervenuti si siano qualificati come utenti e non come conduttori di immobili dello stabile, rivestendo il ruolo di dato puramente nominale e formalistico che non può validamente alterare la natura sostanzialmente e formalmente condominiale dell’assemblea.
Oltre ciò, la Cassazione rimarcò come, anche tenendo conto delle dichiarazioni prestate in assemblea, le disposizioni in materia di condominio sono chiare nel disporre l’attribuzione, di carattere vincolante, all’organo collegiale condominiale delle decisioni sui beni comuni ed all’amministratore il compito di attuarle e l’attività di gestione degli stessi e di tenuta della contabilità delle spese. L’assetto normativo, così come delineato, prescrive per il condominio un sistema organizzativo rigido e derogabile unicamente nei limiti imposti dall’art.1138 c.c., motivo per cui ritenere che gli inquilini dello stabile possano disporre attraverso una deliberazione di un organismo alternativo autonomamente istituito, in una materia legislativamente attribuita alla potestà assembleare, in veste di consumatori finali del servizio non risulta essere ammissibile né tantomeno consentito. Tantomeno, precisò ulteriormente la Corte, può assumere alcun rilievo che, nelle suddette deliberazioni, fosse stato conferito mandato espresso alla persona dello stesso amministratore, senza che ne venisse fatta alcuna menzione di tale sua qualità, di stipulare il contratto di fornitura, trattandosi di previsione meramente ripetitiva di un adempimento che rientrerebbe comunque tra le attribuzioni che la legge attribuisce all’amministratore di condominio[2].
Tali considerazioni avrebbero dovuto portare il giudicante ad escludere la possibilità di ravvisare centri organizzativi e decisionali diversi, rispetto all’assemblea di condominio, competenti ad assumere decisioni in ordine alla gestione di un servizio comune ai condomini, motivo per cui la conclusione accolta dalla sentenza impugnata, secondo cui le delibere in questione non vincolavano il condominio come ente di gestione, non poggiava su alcuna base giuridica o fattuale e, pertanto, venne accolto il primo motivo di ricorso.
Con riferimento ai restanti quattro motivi[3] presentanti dalla società ricorrente, questi vennero dichiarati assorbiti a seguito dell’accoglimento del primo motivo.
In virtù di quanto sopra motivato, la sentenza venne pertanto cassata e la causa rinviata alla Corte distrettuale di Torino per la decisione in merito alla liquidazione delle spese.
[1] Così art. 10 legge n. 392 del 1978, per richiami approfonditi, in via autoreferenziale, Luppino S., “Le locazioni in Condominio”, Maggioli, 2021
[2] Così art.1130 c.c.
[3] Inerenti rispettivamente: violazione o falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1123, 1130, 1130 bis, 1131, 1135, 1136 cod. civ., dell’art. 10 legge n. 392 del 1978 e dell’art. 6 legge n. 841 del 1973; nullità della sentenza per erronea valutazione dei documenti prodotti; violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello pronunciato, in dispositivo, l’espresso rigetto della domanda di condanna del condominio al pagamento della somma di euro 23.974,80, in difetto di domanda delle parti; violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e dell’art. 4, comma 1, d.m. n. 55 del 2014, e dell’art.92 cod. proc. civ..
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