12 Novembre 2024

La relazione ex art. 160, comma 2, l.fall. deve contenere anche le informazioni relative alla possibilità di esperire azioni risarcitorie o revocatorie

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2023, n. 17106 – Pres. Genovese – Rel. Amatore

Parole chiave: Concordato preventivo – Relazione ex art. 160, comma 2, l.fall. – Contenuto – Valutazione in ordine alle azioni risarcitorie e revocatorie – Necessità

[1] Massima: In tema di concordato preventivo, la relazione ex art. 160, comma 2, l.fall. deve contenere le valutazioni in ordine alla possibilità di esperire eventuali azioni risarcitorie o revocatorie, in quanto necessarie per la corretta quantificazione e valutazione del possibile attivo ricavabile in sede di liquidazione, riguardando il profilo dell’adeguatezza delle informazioni fornite ai creditori al fine di consentire loro di decidere con cognizione di causa quale posizione assumere nei confronti della proposta concordataria, con la conseguenza che l’indicazione di dati incompleti o parziali, che potrebbero indurre a ritenere l’inesistenza di alternative o di migliori possibilità di realizzo, danno luogo a una violazione dei presupposti giuridici della procedura.

Disposizioni applicate: r.d. 267/1942, art. 160

CASO

Una società presentava domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, che veniva respinta dal Tribunale di Verona perché, da un lato, il piano liquidatorio non era idoneo ad assicurare la percentuale di soddisfazione prevista dall’art. 160, comma 4, l.fall. e, dall’altro lato, la relazione prescritta dall’art. 160, comma 2, l.fall. non era completa, non essendo stato considerato l’attivo realizzabile in sede fallimentare attraverso l’esperimento di azioni risarcitorie e revocatorie.

Al rigetto della domanda faceva seguito la dichiarazione di fallimento della società, che impugnava la sentenza innanzi alla Corte d’appello di Venezia.

La pronuncia di rigetto del reclamo veniva gravata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, escludendo che i giudici di merito avessero travalicato i limiti del controllo di fattibilità della proposta di concordato, che era stata correttamente respinta anche perché non conteneva tutte le indicazioni necessarie per fornire ai creditori ogni informazione utile per esprimere un voto consapevole.

QUESTIONI

[1] Con l’ordinanza che si annota, la Corte di cassazione è intervenuta sul tema dell’estensione del sindacato di fattibilità della proposta concordataria.

In primo luogo, la società ricorrente aveva imputato ai giudici di merito di avere formulato un giudizio non di mera fattibilità della proposta concordataria, ma di convenienza della stessa rispetto all’alternativa fallimentare (valutazione che è da intendersi riservata al ceto creditorio).

Tale censura, tuttavia, è stata reputata infondata, dal momento che la norma dettata dall’art. 160, comma 4, l.fall. demanda al giudice un controllo di fattibilità del concordato non limitato alla formale ricorrenza di tutti gli elementi prescritti dalla legge, ma esteso alla effettiva perseguibilità degli obiettivi che l’imprenditore si obbliga a raggiungere, ossia alla causa concreta del concordato, che il piano deve rivelarsi idoneo a realizzare.

Così, come affermato dalla giurisprudenza, il tribunale deve appurare non solo che non vi sia incompatibilità del piano con norme inderogabili (cosiddetto sindacato sulla fattibilità giuridica), ma anche che il piano sia realizzabile, nel senso che non si dimostri manifestamente inidoneo a raggiungere gli obiettivi prefissati (cosiddetto sindacato sulla fattibilità economica), mentre è riservata ai creditori la valutazione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa fallimentare, oltre a quella della specifica realizzabilità della percentuale di soddisfazione prevista per ciascuno di essi (fermo restando che, fatta eccezione per il concordato con continuità aziendale, la proposta di concordato deve in ogni caso assicurare il pagamento della soglia minima prevista dalla legge).

È vero, quindi, che il controllo spettante al giudice in sede di ammissione alla procedura di concordato non si estende alle probabilità di successo economico del piano, ma riguarda la fattibilità giuridica della proposta, ossia l’idoneità del piano – che, per quanto necessariamente finalizzato a superare la situazione di crisi dell’imprenditore, non ha contenuto fisso e predeterminabile, ma dipende dal tipo di proposta formulata – a realizzare effettivamente l’obiettivo specifico perseguito dal procedimento, nonché l’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur eventualmente modesto, dei creditori.

Ciononostante, al giudice non è del tutto inibita una verifica in ordine all’assoluta impossibilità di realizzazione del piano, eventualmente in contrasto con le indicazioni e il giudizio formulati dal professionista attestatore, dal momento che la valorizzazione dei profili negoziali del concordato non elide gli aspetti pubblicistici che caratterizzano l’istituto e, in particolare, la necessità di un bilanciamento tra l’esigenza di agevolare l’uscita dell’imprenditore dallo stato di crisi e la tutela dei diritti dei creditori, assoggettati a forti limitazioni; bilanciamento realizzabile garantendo, da un lato, che i creditori siano messi a conoscenza di tutti gli elementi necessari per poter esprimere un voto informato e, dall’altro lato, che la definizione del procedimento consenta effettivamente di raggiungere le finalità perseguite attraverso la sua instaurazione.

Pur dovendosi tenere ferma la distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica, il giudice è comunque tenuto a controllare, oltre alla completezza e alla correttezza dei dati informativi forniti dal debitore, la realizzabilità di fatto del concordato, sia pure limitatamente alla verifica della sussistenza o meno di una assoluta e manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, in relazione alle specifiche modalità indicate per superare la crisi in un tempo ragionevole.

D’altro canto, il fatto che il controllo del giudice impinga la causa concreta del concordato e pur dovendo esso concentrarsi sull’idoneità della proposta ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante il previsto soddisfacimento de creditori, fa sì che la verifica di fattibilità non possa che comprendere necessariamente un giudizio volto a valutare l’assetto d’interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici perseguiti dal concordato.

Di conseguenza, la giurisprudenza non ha mancato di evidenziare come la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica assume più che altro valore descrittivo, servendo solo a chiarire che:

  • il sindacato sulla non incompatibilità del piano rispetto a norme inderogabili (per tali dovendosi intendere anche quelle che prescrivono determinate soglie minime di soddisfazione dei creditori) non incontra particolari limiti;
  • il sindacato sulla realizzabilità del piano può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza o meno di una manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati.

In altre parole, il controllo del giudice non può e non dev’essere meramente formale o esteriore, ma deve spingersi ad accertare, ai fini dell’ammissione del debitore alla procedura, l’esistenza di ragionevoli probabilità di realizzazione dell’obiettivo minimo indicato dal legislatore.

Pertanto, la proposta concordataria deve reputarsi sempre sindacabile, ove risulti totalmente implausibile, mentre ai creditori resta riservata la valutazione della convenienza di una proposta – giudicata plausibile – rispetto all’alternativa fallimentare.

In secondo luogo, la società ricorrente aveva sostenuto che l’attestatore fosse tenuto a valutare i fatti e le circostanze sottopostigli dal proponente e non, quindi, a indagare le responsabilità degli organi sociali e le prospettive recuperatorie riconducibili ad azioni di responsabilità da promuovere contro gli stessi, essendo ciò demandato al commissario giudiziale.

Tuttavia, secondo la Corte di cassazione, il giudice che esamina la domanda di concordato preventivo è chiamato a compiere una penetrante verifica dell’adeguatezza dell’informazione che viene fornita ai creditori, affinché questi ultimi siano messi nella condizione di esprimere il proprio voto liberamente e consapevolmente.

Pertanto, qualora la relazione prescritta dall’art. 160, comma 2, l.fall. sia priva di ogni valutazione in ordine alla possibilità di esperire eventuali azioni risarcitorie o revocatorie, essa deve considerarsi manifestamente inadeguata, perché sottrae totalmente alla valutazione dei creditori una parte del possibile attivo ricavabile in sede di liquidazione, impedendo – in questo modo – una reale ed effettiva valutazione comparativa circa le prospettive di soddisfazione ritraibili, rispettivamente, in sede concordataria e in sede fallimentare, nel che si sostanzia il giudizio di convenienza demandato ai creditori.

Ben si comprende, quindi, come un simile rilievo da parte del giudice non attinga la convenienza della proposta di concordato, ma inerisca direttamente e precipuamente alla sua stessa validità, sotto il profilo della completezza e dell’adeguatezza delle informazioni fornite ai creditori, onde consentire loro di decidere con cognizione di causa quale posizione assumere.

È evidente, infatti, che l’indicazione di dati incompleti o parziali, che potrebbero indurre a ritenere l’inesistenza di alternative o di migliori possibilità di realizzo, si pone in frontale contrasto con la ratio legis che presidia l’istituto del concordato preventivo, dando luogo a una violazione dei presupposti giuridici – e non puramente economici – di accesso alla procedura.

Secondo i giudici di legittimità, dunque, la relazione ex art. 160, comma 2, l.fall. deve necessariamente considerare (anche) le azioni esperibili in caso di fallimento, sia pure se il piano non dovesse contemplarle, dal momento che il professionista incaricato di predisporla è tenuto a considerare tutte le possibili poste ricavabili dalla liquidazione e non solo quelle prospettategli dall’imprenditore, trattandosi di elemento indispensabile per la corretta informazione del ceto creditorio ai fini dell’assunzione delle determinazioni in ordine alla convenienza o meno della proposta concordataria, visto che la sua mancanza o la sua incompleta rappresentazione potrebbero indurre a ritenere l’inesistenza di alternative o migliori possibilità di realizzo in ambito liquidatorio.

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