La prova dello stato di incapacità naturale del testatore
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione 2, Ordinanza n. 42124 del 31 dicembre 2021
SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – SUCCESSIONE TESTAMENTARIA – TESTAMENTO OLOGRAFO – CAPACItà di disporre – Incapacità naturale – Prova dello stato di incapacità – Al momento della redazione del testamento – Presupposti – Onere della prova
Massima: “Se è vero che ai sensi dell’articolo 591 cod. civ., comma 2, n. 3, la prova dell’incapacità del testatore deve esistere al momento dell’atto e non genericamente al tempo dell’atto, è anche vero che la regola non implica che la prova debba limitarsi a tale momento. Il giudice di merito può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali in epoca anteriore o posteriore al testamento, sulla base di una presunzione, potendo l’incapacità essere dimostrata con qualsiasi mezzo di prova”. *
* Massima non ufficiale
Disposizioni applicate
Articoli 591 e 2697 cod. civ.
[1] La pronuncia in oggetto è già stata oggetto di una precedente analisi, nella parte in cui statuiva sulla ammissibilità o meno di un testamento redatto in stampatello.[1] Essa affronta, però, anche un ulteriore aspetto di notevole interesse, andando a ribadire alcuni concetti già precedentemente espressi dalla Suprema Corte in ordine alla prova dello stato di incapacità naturale del testatore.
Appare opportuno ripercorrere i fatti che hanno portato all’ordinanza de qua.
Alla morte di Tizio (privo di discendenti o coniuge), la sua successione veniva regolata da un testamento olografo con il quale venivano nominati unici eredi il fratello Sempronio e le di lui figlie Caia e Mevia. Sempronio rinunciava all’eredità, che, pertanto, all’operare della rappresentazione anche in caso di testamento, si devolveva interamente alle sole Caia e Mevia.
Tizio risultava avere altri due fratelli premorti ed i figli di costoro (che, in caso di apertura della successione legittima, avrebbero vantato diritti sull’eredità per rappresentazione), convenivano in giudizio le proprie cugine, chiedendo che il Giudice accertasse la nullità della scheda testamentaria per difetto di autografia, nonché per mancanza di data e di valida sottoscrizione; in via subordinata chiedevano disporsi l’annullamento del testamento per incapacità del testatore; chiedevano ancora, in ogni caso, dichiararsi l’apertura della successione legittima, con la condanna delle convenute al rilascio dei beni.
Il Tribunale accoglieva la domanda attorea di nullità del testamento, in quanto scritto con caratteri a stampatello, in assenza di prove che lo stampatello fosse il modo normale e abituale di scrivere da parte del testatore.
Veniva adita, da Caia e Mevia, la Corte d’Appello, che riformava la sentenza di primo grado.
Nel merito la Corte riconosceva, in linea di diritto, che il testamento olografo, scritto con il carattere stampatello, non pone un problema di validità, ma un problema di prova in presenza di contestazioni della sua autenticità. Esaminava poi la consulenza grafica espletata nel primo grado e metteva in luce che l’esperto aveva concluso con un giudizio di autenticità espresso in termini di una “elevata probabilità”. Secondo la Corte d’appello tale elevata probabilità poteva assurgere a giudizio di giuridica certezza, essendo presenti in atti documenti che confermavano che, anche in epoca precedente la redazione del testamento, il defunto alternava l’uso del corsivo con lo stampatello.
Esaminava, inoltre, la questione relativa alla incapacità del testatore. Richiamate le conclusioni del consulente tecnico – il quale aveva concluso nel senso che non era possibile stabilire se il testatore fosse privo della capacità di autodeterminarsi al momento della redazione del suo testamento – si evidenziava che il relativo onere probatorio spettava agli attori, i quali non avevano provato lo stato di incapacità al momento di formazione della scheda. Per contro esisteva un certificato medico, avente identica data del testamento, dal quale non risultava uno stato di incapacità. A questi rilievi la Corte di merito aggiungeva la considerazione che il contenuto dello scritto non evidenziava anomalie, essendo coerente con la situazione di vita e familiare del testatore.
Avverso la sentenza di secondo grado, veniva proposto ricorso in Cassazione.
[2] Con l’ottavo motivo di ricorso, in particolare, veniva denunciata violazione degli articoli 591 e 2697 cod. civ.. A giudizio della parte ricorrente, la Corte d’appello avrebbe negato l’incapacità del testatore senza esaminare le prove documentali offerte dagli appellanti e senza considerare le istanze di prova in proposito formulate.
Gli Ermellini hanno ritenuto il motivo fondato, così argomentando.
Se è vero che ai sensi dell’articolo 591 cod. civ., comma 2, n. 3, la prova dell’incapacità del testatore deve esistere al momento dell’atto e non genericamente al tempo dell’atto, è anche vero che la regola non implica che la prova debba limitarsi a tale momento. Il giudice di merito, infatti, può trarre la prova dell’incapacità del testatore dalle sue condizioni mentali in epoca anteriore o posteriore al testamento, sulla base di una presunzione.
Per il giudice di legittimità, nel caso di specie, la corte di merito ha ripercorso il contenuto della consulenza tecnica, dal quale risultava che Tizio “al momento della redazione del testamento era affetto da un disturbo neuro cognitivo maggiore “con una gravità che poteva oscillare da lieve (capacità di produrre testamento) a moderata-grave (incapacità di produrre testamento, come ad esempio, in occasione del ricovero di marzo 2018) e ciò in relazione, soprattutto, all’apporto di ossigeno al cervello”, con variazione di gravità che poteva essere anche repentina e momentanea (…). Il Ctu ha quindi concluso ritenendo che non fosse possibile stabilire se Tizio fosse o meno assolutamente privo della coscienza e del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi al momento della redazione del testamento olografo“. Ciò posto la Corte d’appello ha riconosciuto che mancava la prova dell’incapacità al momento della formazione della scheda, “essendo per converso presente in atti il certificato medico del Dott. Ippocrate di data 4 aprile 2008 (coevo alla data del testamento n.d.r.), secondo il quale “attualmente il paziente non presenta stato confusionale, deambula in maniera autonoma anche se con lieve difficoltà” (…)”.
La Corte d’Appello ha poi esaminato il contenuto del testamento, ravvisando che le disposizioni in esso contenute, volte a beneficiare il fratello ancora in vita e le figlie di lui, “apparivano conformi a un criterio di normalità“.
Da tali elementi, i giudici della Suprema Corte ritengono possa desumersi che la decisione, nel suo complesso, non fosse fondata sul positivo riscontro di uno stato di capacità del testatore, ma sulla riconosciuta insufficienza degli elementi acquisiti in giudizio ai fini della prova della incapacità.
Nella pronuncia in oggetto, si precisa tuttavia che se deve riconoscersi che, in presenza di una prova insufficiente della incapacità del testatore, il dubbio debba risolversi, in applicazione della regola generale dell’articolo 2697 cod. civ., in danno della parte che l’abbia dedotta; nello stesso tempo, il giudice di merito non può risolvere la lite senza considerare le istanze di prove formulate di chi abbia impugnato il testamento. Nel caso di specie gli attori avevano ritualmente articolato capitoli di prova per testimoni e formulato istanze istruttorie di esibizione di cartelle cliniche ed acquisizione del fascicolo dell’amministrazione di sostegno.
Il giudice di legittimità non ha ritenuto, infine, di aderire all’impostazione dei resistenti, che ritenevano di poter leggere la sentenza di secondo grado come se la Corte d’appello avesse detto che esisteva la prova positiva “che quel giorno il de cuius non fosse incapace“. La ratio della decisione, evidenziano, risiede nel mancato assolvimento dell’onere da parte degli attori, non nel positivo convincimento del giudice di merito in ordine alla “non incapacità” del testatore al momento di formazione del testamento. Ma allora vale il principio che il giudice non può rigettare una domanda, ritenendola non provata, senza esaminare le prove richieste, né per accoglierle, né per rigettarle o comunque disattendendo una richiesta non inammissibile di prova.[2]
Per tali ragioni il ricorso, limitatamente al motivo in esame, è stato accolto.
[3] La pronuncia in commento fornisce lo spunto per una breve disamina degli aspetti processuali connessi all’incapacità naturale del testatore.
Principio generale è che la capacità di testare è la regola e si presume, mentre l’incapacità è l’eccezione. L’art. 591 cod. civ. conferma, poi, che la capacità deve essere valutata con riferimento al momento di confezionamento del testamento, ovvero quando si forma e manifesta la volontà e rileva, pertanto, la piena consapevolezza dell’agente.
Come precisato dalla giurisprudenza, “l’incapacità naturale del testatore postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo”.[3]
Lo stato di incapacità, pertanto, deve essere tale da privare il testatore in modo assoluto della capacità di comprendere le proprie azioni[4], e costituisce onere a carico di chi quello stato d’incapacità assume, provare che il testamento fu redatto in un momento d’incapacità di intendere e di volere del testatore[5]; prova che deve (e può) essere fornita con ogni mezzo in modo rigoroso e specifico, restando alla controparte l’onere di eventualmente provare la validità del testamento perché redatto dall’incapace in un momento di lucido intervallo.[6]
Il concetto di “lucido intervallo” si ritrova spesso negli assesti dei Giudici di legittimità allorché riconoscono una sorta di inversione dell’onere della prova qualora risulti uno stato di incapacità permanente del testatore. Chiarificatrice, al riguardo, una pronuncia di alcuni decenni fa (ma ripresa nei successivi provvedimenti della Suprema Corte):
“in tema di impugnazione del testamento le manifestazioni morbose a carattere intermittente e ricorrente che, pur potendo escludere la capacità di intendere e di volere, qualora la volontà testamentaria sia stata manifestata nel corso di tali episodi, lasciano integre negli intervalli le facoltà psichiche del soggetto, non sono assimilabili alle infermità permanenti ed abituali che diano luogo a momenti di lucido intervallo. Tale diversità di situazioni si ripercuote sull’onere della prova, in quanto mentre nella seconda ipotesi, qualora l’attore in impugnazione abbia fornito la prova di una infermità mentale permanente, è a carico di chi afferma la validità del testamento la dimostrazione che lo stesso fu posto in essere in un momento di lucido intervallo – in quanto la normalità presunta è l’incapacità – nella prima ipotesi, invece, quando cioè si tratta di malattia la quale nei periodi di intervallo consente la reintegrazione del soggetto nella normalità della sua capacità intellettiva, l’accertamento di fenomeni patologici anteriori all’atto di cui si controverte non è sufficiente ad integrare la prova rigorosa della sussistenza della incapacità nel momento in cui l’atto stesso è stato compiuto”.[7]
Puntualizza in merito alla possibilità di desumere uno stato di incapacità qualora sia acclarata una condizione incapacità nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, Cass. Civ., Sez. 2, ordinanza n. 26873 del 22/10/2019: “in tema di incapacità di testare a causa di incapacità di intendere e di volere al momento della redazione del testamento, il giudice del merito può trarre la prova dalle sue condizioni mentali, anteriori o posteriori, sulla base di una presunzione; posto che la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, una volta dimostrata una condizione di permanente e stabile demenza nel periodo immediatamente susseguente alla redazione del testamento, spetta a chi afferma la validità del testamento la prova della sua compilazione in un momento di lucido intervallo”.[8]
La giurisprudenza di legittimità distingue, dunque, due diverse ipotesi, con differente imputazione dell’onere della prova. In caso di incapacità dovuta a causa transitoria, la prova dello stato di incapacità grava sempre su colui che impugna il testamento; qualora, invece, l’incapacità sia permanente o totale, chi impugna può “limitarsi” a provare lo stato di malattia, mentre colui che voglia sostenere la validità della scheda testamentaria deve dimostrane la redazione in un momento di lucidità.[9]
Quanto ai mezzi con cui la prova potrà essere fornita, non sussistono limitazioni e potrà anche essere ricavata da presunzioni.[10] Potranno assumere rilievo, ad esempio, la testimonianza di conoscenti e parenti del de cuius[11]; la forma e “il contenuto dell’atto di ultima volontà e gli elementi di valutazione da esso desumibili, in relazione alla serietà, normalità e coerenza dalle disposizioni nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate”.[12]
[1] M. RAMPONI, Sulla validità del testamento olografo redatto in stampatello, in EC Legal edizione di martedì 29 marzo 2022. https://www.eclegal.it/sulla-validita-del-testamento-olografo-redatto-stampatello/
[2] Nello stesso senso, si vedano: Cass. Civ., Sez. 3, sentenza n. 9952 del 20/04/2017 “il provvedimento giurisdizionale che dapprima non esamini le prove richieste dalla parte, né per accoglierle né per rigettarle, e poi rigetti la domanda ritenendola indimostrata, vìola il minimo costituzionale richiesto per la motivazione”. Nella specie, la corte territoriale, senza provvedere sulle istanze di prova testimoniale, aveva respinto la domanda perché non provata, per di più affermando che i documenti prodotti dalla parte erano all’uopo insufficienti consistendo in “dichiarazioni neppure confermate in giudizio”; Cass. Civ., Sez. 6, ordinanza n. 26538 del 09/11/2017 “la motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il “minimo costituzionale”, qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova”. Nella specie, era stata respinta la domanda risarcitoria dell’attrice, ginnasta caduta al suolo durante un allenamento in palestra, perché non provata, ritenendo la corte territoriale l’irrilevanza delle prove orali volte a dimostrare l’assenza di adeguate misure di sicurezza.
[3] Così Cass. Civ., Sez. 6, ordinanza n. 3934 del 19/02/2018; in senso conforme Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 27351 del 23/12/2014; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 8079 del 18/04/2005; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 15480 del 06/12/2001.
[4] Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 25845 del 27/10/2008; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 1444 del 30/01/2003; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 5620 del 22/05/1995; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 3411 del 07/07/1978
[5] Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 9508 del 06/05/2005
[6] Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 4499 del 10/07/1986
[7] Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 652 del 23/01/1991; si vedano anche Cass. Civ. Sez. 2, sentenza n. 12525 del 21/05/2010; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 9081 del 15/04/2010; nonché la già citata Cass. Civ. n. 9508/2005.
Interessante quanto di recente ribadito da Cass. Civ., Sez. 2, ordinanza n. 25053 del 10/10/2018: “In tema di annullamento del testamento, nel caso di infermità tipica, permanente ed abituale, l’incapacità del testatore si presume e l’onere della prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi ne afferma la validità; qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell’incapacità deve essere data da chi impugna il testamento”.
[8] Sul punto, si veda altresì Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 3040 del 30/03/1987: “il principio secondo cui, accertata la totale incapacità di un soggetto in due determinati periodi, prossimi nel tempo, per il periodo intermedio la sussistenza dell’incapacità è assistita da presunzione iuris tantum, con conseguente inversione dell’onere della prova – nel senso che deve essere colui che vi ha interesse a dimostrare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo -, è inapplicabile nella diversa ipotesi in cui si tratti di stabilire se una persona, totalmente incapace in una determinata epoca, lo fosse anche in un’epoca precedente (nella specie circa sei mesi prima), poiché in tal caso il principio dell’onere della prova non soffre deroga ed è chi sostiene la incapacità a doverne dare la dimostrazione”.
[9] Si vedano Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 10571 del 24/10/1998; Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 2741 del 04/05/1982. Di nuovo, si veda altresì Cass. Civ. n. 3040/1987 ove tale principio sembra attenuato in caso di dimostrata incapacità in due periodi di tempo prossimi.
[10] Vale la pena riportare quanto deciso da Cass. Civ. Sez., 2, sentenza n. 4856 del 29/07/1981 che, dopo aver ricordato come l’art. 591 cod civ. escluda in radice la capacità – oltre che per i minori – nei soli interdetti per infermità di mente, afferma che, conseguentemente, “il ricovero di una persona in manicomio (…), mentre non comporta ex se la perdita della capacità del ricoverato (…) nemmeno determina (…) una presunzione juris di abituale malattia mentale (e così di incapacità) del ricoverato dopo la sua dimissione”.
[11] Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 1851 del 19/03/1980
[12] Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 5620 del 22/05/1995
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