La prova del danno in caso di prosecuzione dell’attività di impresa in ottica non meramente conservativa nonostante la già intervenuta causa di scioglimento della società
di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDFTribunale di Venezia – Sezione Specializzata in materia di Imprese, sentenza n. 980/2019 del 08.05.2019
Parole chiave: responsabilità amministratori; onere della prova; determinazione e prova del danno; divieto di prosecuzione dell’attività
Massima:
Il criterio di determinazione e prova del danno, secondo il principio della differenza dei netti patrimoniali, richiede necessariamente di escludere da detta differenza e quindi dalla perdita patrimoniale incrementale tutti quei costi e quelle disutilità che comunque la società avrebbe dovuto sostenere nel caso in cui fosse stata tempestivamente posta in liquidazione e nessuna attività non meramente conservativa fosse stata compiuta.
Riferimenti normativi: art. 2393 c.c.; art. 2486 c.c.; art. 2697 c.c.; art. 146 L.F.
CASO
La Curatela del fallimento della società Alfa Srl ha promosso azione sociale di responsabilità ex artt. 2393, 2394, 2394 bis, 2447, 2485, 2486 c.c. nei confronti degli amministratori della società fallita affermando che nonostante fosse intervenuta causa di scioglimento della società, gli amministratori avevano proseguito l’attività d’impresa in un’ottica non meramente conservativa fino alla declaratoria di insolvenza, non adempiendo all’obbligo di astenersi dall’assumere nuovi rischi d’impresa, nonché di mettere in liquidazione la società medesima e così cagionando un danno patrimoniale di euro 424.765,00, del quale richiedeva la condanna solidale agli amministratori.
SOLUZIONE
Con la Sentenza in commento, il Tribunale di Venezia Sezione Specializzata in materia di impresa ha respinto la domanda della Curatela del Fallimento della società Alfa S.r.l. in quanto la stessa non aveva individuato i costi insopprimibili e le disutilità da detrarre dalla perdita patrimoniale così da impedire la prova precisa del credito risarcitorio.
QUESTIONI
La sentenza in commento affronta il tema quanto mai ricorrente della prova del danno relativo alla prosecuzione dell’attività di impresa pur a fronte di una già intervenuta causa di scioglimento.
Premessa implicita del ragionamento seguito dal giudice veneziano è che l’attività eseguita successivamente ad una causa di scioglimento possa ricomprendere anche quelle attività che sarebbero comunque compiute anche laddove la società fosse stata posta tempestivamente in liquidazione.
Tale condotta, in quanto necessaria, non si pone in contrasto con i doveri e gli obblighi degli amministratori così che i relativi costi e disutilità si rappresentano quali elementi non diversamente evitabili; il Tribunale, nella sentenza in commento, definisce tali costi e disutilità “insopprimibili” con ciò quindi ben sottolineando il carattere necessitato di tali fattori.
Non costituendo effetto di una condotta in violazione dei precetti di legge, il relativo ammontare non può essere addebitato al soggetto agente, ossia all’amministratore.
Il tema è quanto mai sensibile laddove il criterio di prova e di determinazione del danno è rappresentato dal criterio della differenza tra i netti patrimoniali.
La prosecuzione dell’attività pur a fronte dell’intervenuta causa di scioglimento è causa di un danno che va identificato nell’aggravamento dell’insufficienza del patrimonio destinato al soddisfacimento dei creditori a partire dal momento del verificarsi della causa di scioglimento e sino al momento della messa in liquidazione effettiva.
È evidente che laddove le scritture contabili siano regolari il danno può essere desunto in via presuntiva dalla differenza tra il patrimonio netto esistente alla data di fallimento ed il patrimonio netto presente alla data di scioglimento della società, trovando così applicazione il citato criterio della differenza dei netti patrimoniali.
Al contrario, la irregolarità delle scritture contabili impedisce la ricostruzione del patrimonio netto presente al momento del fallimento e di quello esistente al momento dello scioglimento: ne consegue la disapplicazione del criterio della differenza dei netti patrimoniali ed il ricorso al criterio dello sbilancio fallimentare.
Tale impostazione è stata valorizzata dal Codice della Crisi d’impresa che all’art. 378 in tema di responsabilità degli amministratori prevede al secondo comma che “All’articolo 2486 del codice civile dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: «Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura.”.
Se è ben vero che il Curatore Fallimentare può utilizzare il criterio della differenza dei netti patrimoniali per determinare in via presuntiva il danno conseguente alla prosecuzione illegittima dell’attività, è altrettanto vero, e costituisce principio di diritto, che l’onere di provare esattamente il danno ed il nesso di causalità con la condotta illecita grava sul Curatore medesimo.
Laddove, come nel caso della sentenza in commento, le scritture contabili siano complete e a disposizione dello stesso Curatore, lo stesso Curatore deve dare contezza esatta del danno fornendo tutta la documentazione idonea a dare prova della fondatezza della sua pretesa anche in relazione alla quantificazione del danno.
In tale prospettiva il criterio della differenza dei netti patrimoniali risulta non attendibile ove non sia possibile accertare e quantificare quei costi e disutilità che ricorrerebbero, in quanto insopprimibili, anche nel caso in cui la società fosse stata posta tempestivamente in liquidazione.
La non imputabilità di queste poste agli amministratori ha quale effetto di travolgere il risultato derivante dall’applicazione del criterio della differenza dei netti patrimoniali poiché non è data la possibilità di scorporare dalla quantificazione dette poste.
Nel caso in esame la Curatela non aveva dimesso in causa tutta la documentazione idonea anche in relazione alla quantificazione del danno pur avendola nella propria disponibilità così impedendo di accertare e scorporare le poste non imputabili agli amministratori.
Il Tribunale veneziano ha quindi ritenuto di non poter applicare il criterio della differenza dei netti patrimoniali e quale ulteriore effetto ha statuito l’impossibilità di quantificare il danno in termini equitativi: la Curatela, infatti, come sopra esposto, avrebbe potuto e dovuto dare contezza esatta del danno mediante produzione della necessaria documentazione contabile che aveva a sua disposizione.