La professione legale non ha più appeal
di Mario Alberto Catarozzo - Coach, Formatore, Consulente – CEO di MYPlace Communications Scarica in PDFEra il 1993 quando un giovane neolaureato in giurisprudenza (Mitchell McDeere) entra in un prestigioso studio legale americano a Memphis e vede decollare la propria carriera professionale in poco tempo, sedotto da una montagna di soldi, auto di lusso e successo. Il film è “Il socio”, interpretato da Tom Cruise. Negli stessi anni in Italia andava in scena – questa volta non un film, ma realtà – l’epopea di Mani Pulite, con la caduta della Prima Repubblica e del sistema conseguente. Ebbene, a metà degli anni ’90 in Italia erano moltissimi i giovani attratti dalla professione legale, che poi si sarebbe sviluppata nella libera professione o nella carriera in Magistratura, entrambe erano fonte di ispirazione per una generazione intera. Erano gli anni in cui gli avvocati iscritti all’Albo era circa 50.000, gli anni in cui il trend di crescita dell’Avvocatura era a due cifre ogni anno. In quegli anni l’idea di fare l’avvocato o il magistrato era entusiasmante per molti e una buona strada da percorrere comunque “perché non si sa mai e la laurea in giurisprudenza offre molte possibilità” per altri. Pensate che tra il 1985 e il 2015 i numeri della professione legale si sono quintuplicati, per arrivare oggi a raggiungere la vetta di 241.830 (rapporto CENSIS 2021).
Nel frattempo, di acqua sotto i ponti ne è passata e il tessuto economico, culturale e tecnologico dell’Italia è cambiato moltissimo rispetto alla fine del secolo scorso. Se molti vedevano il percorso universitario giuridico come sempre una buona scelta, a prescindere che si avessero chiare le idee sul proprio futuro lavorativo, oggi le cose sono completamente diverse e la stessa Università è cambiata profondamente negli ultimi trent’anni.
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