La procura alle liti non può essere prodotta in allegato alla nota di deposito della procura medesima
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. III, 4 novembre 2020, n. 24472, Pres. Armano – Est. Iannello
[1] Parti e difensori – Difensori – Patrocinio – Procura alle liti – Validità (artt. 83, 125 c.p.c.)
Non è tassativa l’elencazione degli atti processuali, sui quali può essere apposta la procura speciale alle liti, contenuta nell’art. 83, comma 3, c.p.c., purché l’atto sia depositato al momento della costituzione in giudizio (v. l’art. 125 c.p.c.) e la controparte non abbia sollevato specifiche contestazioni sulla regolarità del mandato. Occorre, però, che si tratti pur sempre di “atto processuale”, sia pure nella nozione lata, riferita cioè a qualunque elemento del processo di realizzazione della tutela giurisdizionale (fattispecie in cui la nuova procura era stata prodotta in allegato a nota di deposito della stessa).
CASO
[1] Un istituto di credito proponeva azione revocatoria ordinaria per la dichiarazione d’inefficacia di vari atti di conferimento di alcuni cespiti di proprietà esclusiva del presidente del consiglio di amministrazione di una società e a favore della società medesima.
Nel corso del giudizio di primo grado, le parti convenute eccepivano la nullità ex art. 77 c.p.c. della procura alle liti conferita al difensore da due procuratori speciali dell’istituto di credito, ritenuti privi del relativo potere; l’adito Tribunale di Livorno concedeva, così, termine per rinnovare la procura.
La nuova procura alle liti veniva depositata telematicamente in allegato alla nota di deposito della procura medesima (e di nessun altro atto processuale), ma veniva ritenuta invalida dal Tribunale per difetto del potere del difensore di autenticare la firma del conferente in ipotesi diverse da quelle tassativamente previste dall’art. 83, terzo comma, c.p.c.
In totale riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’Appello di Firenze, chiarito che la nuova procura dovesse ritenersi ritualmente prodotta in allegato alla nota di deposito della stessa, e che l’elencazione degli atti di cui al menzionato art. 83, terzo comma, c.p.c., non dovesse ritenersi tassativa, affermava la validità della seconda procura, accogliendo l’azione revocatoria promossa.
Avverso tale decisione, le parti convenute proponevano ricorso per cassazione di cui, per quanto di interesse nella presente sede, verrà esaminato il solo terzo motivo. Tramite il medesimo, i ricorrenti denunciavano, ai sensi dell’art. 360, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione delle norme di diritto sulla affermata validità della seconda procura rilasciata, in relazione agli artt. 83, 84, 125 c.p.c. e 2703 c.c.: in particolare, censuravano l’intero impianto argomentativo proposto dalla Corte d’Appello e rilevavano come la nota di deposito non rappresentasse un atto processuale (di ingresso nel processo) idoneo a veicolare la procura, ma fosse soltanto un mezzo telematico attraverso cui era stata effettuata la produzione della procura medesima.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte accoglie tale motivo di ricorso, dopo averlo riqualificato ex officio nei termini di error in procedendo ex art. 360, n. 4), c.p.c.
Nel dettaglio, i giudici di legittimità ammettono che l’elencazione degli atti idonei a contenere la procura alle liti, racchiusa nell’art. 83, terzo comma, c.p.c., non sia tassativa, ma al contempo escludono che la nota di deposito della procura medesima (e di nessun altro atto) possa essere qualificata quale atto processuale idoneo a veicolare, per l’appunto, il mandato alle liti.
In accoglimento di tale motivo, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., dichiara l’inammissibilità della domanda proposta dall’istituto di credito in primo grado.
QUESTIONI
[1] La Corte di cassazione ha affrontato la questione inerente alla validità della procura alle liti, che sia stata prodotta in allegato alla nota di deposito della procura medesima (e di nessun altro atto processuale). Prima di procedere nell’analisi, è senz’altro opportuno evidenziare la novità della questione trattata: aspetto, questo, che ha condotto i giudici a disporre la compensazione delle spese del giudizio.
Il ragionamento condotto dalla Suprema Corte muove dall’analisi degli atti idonei a contenere la procura alle liti allo scopo di verificare se l’iter seguito nel caso sottoposto al suo esame possa o meno definirsi rituale.
Il punto di partenza è naturalmente rappresentato dal dato normativo, ossia dal più volte richiamato art. 83, terzo comma, c.p.c., nella versione modificata dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 (applicabile, ratione temporis, al caso in esame), il quale dispone che «la procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della citazione, del ricorso, del controricorso, della comparsa di risposta o d’intervento, del precetto o della domanda d’intervento nell’esecuzione ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato».
Con riguardo a tale elencazione, la giurisprudenza di legittimità propende ormai per la non tassatività degli atti ivi indicati (Cass., 16 marzo 2009, n. 6404; Cass., 3 aprile 2007, n. 8237), a condizione a) che l’atto, diverso da quelli espressamente menzionati dall’art. 83, terzo comma, c.p.c., sia un atto processuale (Cass., 17 settembre 2013, n. 21154), dotato di forma scritta e depositato al momento della costituzione in giudizio della parte (Cass., 8 agosto 1997, n. 7397); b) e che la controparte non abbia sollevato contestazioni circa la regolarità della procura (Cass., 10 maggio 2005, n. 9719; Cass., 23 giugno 1988, n. 4279; per ulteriori riferimenti, sia consentito il rinvio a P. Nappi, sub art. 83, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018, 922 ss.).
Da tale previsione, la pronuncia ha arguito che l’elemento determinante dell’atto, ai fini dell’apponibilità in calce o a margine della procura alle liti, sia la funzionalità del medesimo all’ingresso della parte nel giudizio e la connessa attitudine a rivelare l’inerenza del mandato conferito a quello specifico processo.
Tutto ciò chiarito, la Suprema Corte osserva come, nel caso di specie, l’atto al quale la (seconda) procura alle liti conferita risultava congiunta fosse una mera nota di deposito della procura medesima (e di nessun altro atto del processo), nota che, di per sé, non può considerarsi un atto processuale o, quantomeno, un atto idoneo a provocare l’ingresso della parte nel giudizio.
Dall’inidoneità della nota di deposito a fungere da veicolo della procura alle liti, discende la mancanza di poteri in capo al difensore nominato per il giudizio di primo grado da parte dell’istituto di credito attore in revocatoria, onde, conseguentemente, la pronuncia di inammissibilità della domanda nell’occasione formulata: conclusione sulla quale ben si può convenire.
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