18 Aprile 2023

La possibile declaratoria fallimentare dell’impresa agricola

di Marta Bellini, Avvocato e Professore a contratto Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, Ordinanza, 24 gennaio 2023 n. 2162

Parole chiave: Dichiarazione di fallimento – Esenzione – Impresa agricola –  Valutazione dell’esenzione

Massima: L’assoggettabilità a fallimento di un’impresa non dipende dalla rilevazione puntuale dell’attività svolta al momento della presentazione della relativa istanza, dovendosi avere riguardo, invece, all’attività da cui origina l’insolvenza. Pertanto, il pregresso svolgimento di attività commerciale è sicuramente rilevante nel caso in cui a quella attività, quantunque cessata, sia riconducibile l’insorgere dei debiti che l’imprenditore “non è in grado di soddisfare regolarmente” (art. 5, comma 2 legge fall.». Del resto questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, «Una volta accertato in sede di merito l’esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull’attività agricola contemplata in via esclusiva dall’oggetto sociale di un’impresa agricola costituita in forma societaria, questa resta assoggettabile a fallimento nonostante la sopravvenuta cessazione dell’esercizio di detta attività commerciale prevalente al momento del deposito di una domanda di fallimento a suo carico (Cass. n. 5342/2019)”.

Disposizioni applicate: art. 1 l.f. – art. 5 l.f. – art. 2083 c.c. – art. 2135 c.c. – art. 14, comma 13quater, d.lgs 99/2014

Torna la Corte di Cassazione a decidere in ambito di assoggettamento al fallimento dell’impresa agricola con una sentenza ove il criterio di prevalenza tra qualifica commerciale dell’attività connessa ed attività principale squisitamente agricola, viene affiancato dall’elemento temporale dell’effettivo esercizio di tali attività, e lo fa riprendendo un’altra importante decisione, resa nell’anno 2019, alla quale si richiama nella massima indicata.

CASO E SOLUZIONE

Provvedeva la società agricola A a.r.l.  a reclamare la sentenza di fallimento emessa dal Tribunale di Alessandria, ritenendo che il fallimento fosse stato erroneamente aperto, in violazione dell’espresso dettato normativo che esclude le imprese agricole dall’assoggettamento alla procedura. A seguito di rigetto del reclamo proponeva ricorso in cassazione, articolandolo in tre motivi: in primo luogo, riteneva che ai fini dell’esenzione dalla dichiarazione di fallimento, la natura di impresa agricola dovesse essere valutata con riguardo alla situazione esistente all’avvio del procedimento prefallimentare e che per questo motivo, la CA di Torino non avesse correttamente annotato la circostanza che al momento della declaratoria fallimentare, l’attività di produzione di biomasse fosse effettivamente e concretamente ferma.

Evidenziava come l’attività di produzione di biomasse fosse qualificata come attività esclusivamente agricola dalla normativa speciale in materia, senza il necessario controllo dell’ascrivibilità di tale attività all’interno dei parametri imposti dall’ art. 2135 c.c.

Reiterava il proprio dissenso al rigetto del reclamo, evidenziando come la CA di Torino avesse erroneamente considerato “beni altrui” le masse prodotte da una terza azienda agricola correlata alla società A dall’utilizzo dei terreni in proprietà della medesima A ed utilizzate per la produzione energetica.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

Due i profili di grande rilievo nella decisione qui in esame: l’effettiva assoggettabilità dell’impresa agricola al fallimento e la valutazione della prevalenza dell’esercizio dell’attività commerciale rispetto alla principale agricola al momento dell’avvio del procedimento prefallimentare.

In merito all’assoggettabilità dell’impresa agricola al fallimento (rectius oggi alla liquidazione giudiziale ex art. 121 CCI)

L’art 121 del D.lgs 14/2019 prevede “Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. d) e che sia in stato di insolvenza”.

Risulta di immediata lettura l’esclusione dell’impresa agricola alla liquidazione giudiziale.

A rendere maggiormente labile il definito confine normativo, negli ultimi anni la giurisprudenza, che nella nuova frontiera dell’imprenditoria agricola dettata da colture idroponiche, ampliamento del novero degli animali da allevamento (riforma avvenuta con il d.lgs 89/2001), produzione di energia dalle biomasse e conseguentemente ampliamento in generale del novero delle attività connesse, ha affermato il principio secondo il quale la sottrazione dell’impresa agricola al fallimento non può essere intesa nel senso che lo svolgimento di un’attività agricola porrebbe al riparo dal fallimento l’impresa che svolgesse, parallelamente, un’attività di carattere commerciale. In particolare, l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento non opera ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135, comma 3, c.c. assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura (Cass. 8 agosto 2016, n. 16614, Cass. 24 agosto 2018, n. 21176). Anzi, secondo la Suprema Corte, deve ritenersi che “la sottrazione dell’impresa agricola alle norme sul fallimento non è di ostacolo all’applicabilità dell’art. 1, l. f., che dichiara soggetta alle norme in materia di fallimento l’impresa commerciale, nonostante l’impresa medesima svolga contemporaneamente anche un’attività di natura agricola” (Cass. 17 luglio 2012, n. 12215; Cass. 22 febbraio 2019, n. 5342).

Nel momento in cui il criterio di prevalenza scardina a sfavore dell’attività agricola principale, a favore dell’attività connessa di natura commerciale, in quel momento l’impresa può assolutamente ritenersi sottoposta alla declaratoria di fallibilità.

L’accertamento della permanente qualifica di imprenditore commerciale in capo ad un’impresa agricola, anche al momento della presentazione dell’istanza di fallimento rende la medesima assoggettabile alla normativa fallimentare.

In merito alla qualificazione della produzione dell’energia da biomasse quale attività agricola.

In linea generale, affinché un’attività (di per sé commerciale) possa essere considerata agricola per connessione rispetto a un’attività agricola essenziale, le due attività (agricola e commerciale) devono essere condotte dal medesimo soggetto imprenditore ed utilizzare i prodotti frutto dell’attività principale nella conservazione, trasformazione o qualificazione effettuata dall’attività connessa. Pertanto, la produzione di energia elettrica che è attività commerciale, deve considerarsi attività connessa in quanto la biomassa di provenienza sia il risultato prodotto dall’attività agricola principale.

La società ricorrente A invece, ritiene che la produzione di energia da biomasse debba considerarsi attività agricola, non in quanto attività connessa alla produzione delle biomasse, ma per espresso dettato normativo, proponendo una lettura in senso lato della normativa specifica in materia.

L’art. 14, comma 13quater del d.lgs 99/2004 prevede infatti “L’attività esercitata dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, di cura e sviluppo del ciclo biologico di organismi vegetali destinati esclusivamente alla produzione di biomasse, con cicli colturali non superiori al quinquennio e reversibili al termine di tali cicli, su terreni non boscati, costituiscono coltivazione del fondo ai sensi del citato articolo 2135 del codice civile e non è soggetta alle disposizioni in materia di boschi e foreste. Tali organismi vegetali non sono considerati colture permanenti ai sensi della normativa comunitaria”.

Si evidenzia come la medesima attività di produzione di biomasse, al fine di poter essere qualificata quale attività agricola debba sottostare ai limiti espressamente previsti dalla norma, che delimitano nel tempo e nella qualità i vegetali prodotti.

Di talché non si comprende, come possa un’attività connessa (produzione di energia da biomasse) a tale seppur prevista attività Principale, considerarsi di immediata qualificazione agricola. In tal senso pertanto, non può assurgersi ad attività agricola un’attività connessa la cui attività principale sia di dubbia e stringente qualificazione agricola.

Quand’anche si ritenesse che la produzione di energia provenga da biomasse prodotte nel rispetto dei limiti imposti dalla normativa speciale rappresentata dal d.lgs 99/2004, attività connessa rispetto all’attività agricola principale, a tale attività di dovrebbe applicare il ben noto criterio di prevalenza dell’attività principale rispetto all’attività connessa.

L’utilizzo di beni provenienti da terzi all’interno di un’attività connessa, rappresenta l’elemento di disequilibrio del principio di prevalenza nel rapporto connessione/attività principale, deponendo a favore del definitivo inquadramento dell’attività dell’impresa come commerciale.

Concludendo

Nella fattispecie qui in esame, la società A a.r.l. al momento della declaratoria fallimentare risultava non produrre energia da biomasse: tale circostanza tuttavia non ha escluso la sottoposizione alla declaratoria fallimentare, in quanto l’istruttoria intervenuta ha evidenziato come tale circostanza fosse imposta dalla rottura dell’impianto e non dalla volontà dei soci di una modifica dell’oggetto sociale.

Inquadrata l’attività dell’impresa agricola quale attività esclusiva di produzione di energia da biomasse, si è intervenuti in merito alla valutazione della provenienza di tali masse.

La circostanza che le masse provenissero da società terza, ha confermato la qualifica di attività esclusivamente commerciale di A e l’applicazione anche per tale società della normativa in materia di fallimento.

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