30 Gennaio 2018

La parte totalmente vittoriosa nel merito deve proporre appello incidentale ai fini della devoluzione in fase di gravame dell’eccezione rigettata

di Enrico Picozzi Scarica in PDF

Cass., Sez. III, 12 dicembre 2017, n. 29642 Pres. Chiarini – Est. Frasca

Impugnazioni civili – domanda risarcitoria per responsabilità professionale – rigetto – accertamento inadempimento professionista – appello incidentale contro tale statuizione – necessità – sussistenza (C.p.c. artt. 324, 333, 343, 346; c.c. 2909)

[1] Il professionista, convenuto nell’ambito di un giudizio risarcitorio per responsabilità professionale, di cui venga accertato l’inadempimento, ma che risulti vittorioso all’esito del relativo processo, per mancata prova del danno sofferto dal cliente, è tenuto a proporre appello incidentale nei confronti della statuizione concernente il suo inadempimento.

CASO

[1] Tizio conveniva in giudizio il notaio Caio, chiedendone l’accertamento della  responsabilità professionale nonché la sua condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale adito, pur affermando la sussistenza dell’inadempimento del professionista, rigettava la domanda risarcitoria, poiché non risultava provata la verificazione di un danno quale conseguenza della violazione degli obblighi professionali. Il giudice di seconde cure, nel confermare la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria, riformava altresì la sentenza di primo grado, escludendo l’inadempimento del notaio. Nei confronti di tale pronuncia, Tizio ricorreva per cassazione, deducendo, tra le altre cose, che la parte di sentenza relativa all’accertamento dell’inadempimento del notaio non era stata fatta oggetto di impugnazione incidentale da parte di quest’ultimo e che, pertanto, non poteva essere riformata dal giudice d’appello.

SOLUZIONE

La Suprema Corte accoglie la censura del ricorrente in ordine alla mancata proposizione dell’appello incidentale, annullando con rinvio la sentenza impugnata. A fondamento di tale pronuncia, vengono posti i seguenti passaggi argomentativi. Anzitutto, il rigetto della domanda risarcitoria, preceduto dall’affermazione della sussistenza dell’inadempimento del professionista, determina in capo a quest’ultimo – senz’altro vittorioso rispetto all’esito finale della lite – l’insorgenza di una situazione di soccombenza virtuale. Tale statuizione, pertanto, ai fini della sua corretta devoluzione al giudice d’appello, avrebbe dovuto essere specificamente censurata, non essendo sufficiente, come accaduto nel caso di specie, la mera riproposizione dell’eccezione di puntuale adempimento degli obblighi professionali. Sulla scorta di tali premesse – conclude il Supremo Collegio – la Corte d’Appello adita, non avrebbe potuto riesaminare, riformandola, la statuizione concernente l’inadempimento del notaio, poiché la stessa, in assenza di specifico gravame, era oramai divenuta cosa giudicata interna ex art. 329, co. 2, c.p.c.

QUESTIONI

La sentenza in commento si pone in linea di continuità, facendone corretta applicazione, con i principi recentemente espressi dalle Sezioni Unite (cfr. Cass., sez. un., 19 aprile 2016, n. 7700, annotata da C. Consolo, in Corr. giur., 2016, 977 e ss.; Cass., sez. un., 12 maggio 2017, n. 11799, annotata da C. Consolo, in Corr. giur., 2017, 1414 e ss.). La Terza Sezione, infatti, torna a ribadire che l’opzione fra appello incidentale e riproposizione va risolta a favore del primo tutte quante le volte si concretizzi una mera situazione di soccombenza, che può essere, come è noto, alternativamente correlata al rigetto espresso o implicito di domande (c.d. soccombenza materiale) oppure di questioni (c.d. soccombenza virtuale) nonché alla violazione dell’ordine di loro decisione, impresso dalla parte, attraverso apposita graduazione. Le ipotesi, appena indicate, pur nella loro indubbia eterogeneità, condividono un comune elemento, più precisamente coincidente con quella posizione di “torto” (così Cass., sez. un., 20 ottobre 2016, n. 21260, annotata da G. Ruffini, in Riv. dir. proc., 2017, 799 e ss.), che ricorre ogniqualvolta vi sia una “divergenza” (la locuzione appartiene ad A. Attardi: cfr. Id., Sentenze di rito e soccombenza del convenuto, in Giur. it., 1976, I, 1, 494) fra quanto richiesto dalla parte e quanto concretamente recepito in sentenza. Ben si comprende allora che il campo di applicazione della riproposizione sia circoscritto ai soli casi di rituale assorbimento di domande e/o eccezioni e che dunque l’anodina perifrasi “domande ed eccezioni non accolte” di cui all’art. 346 c.p.c. corrisponda a domande ed eccezioni non esaminate. In base a tali considerazioni, allora, non può non condividersi la pronuncia annotata, stando alla quale l’espresso rigetto dell’eccezione di esatto adempimento sollevata dal professionista convenuto, per il resto totalmente vittorioso nel merito, imponeva a quest’ultimo, ai fini della sua devoluzione in fase di gravame, la proposizione di un apposito appello incidentale. Ma in una prospettiva più generale, va salutato con favore il nuovo regolamento dei confini, tracciato dalle Sezioni Unite, fra impugnazione incidentale e riproposizione, tutto incentrato sul presupposto obiettivo della soccombenza e ciò almeno per due ordini di ragioni. In primo luogo, il ricollegare, a pena di inammissibilità, la devoluzione delle eccezioni rigettate e/o illegittimamente pretermesse ad un specifica attività di critica logico-giuridica della sentenza gravata (e quindi rispettosa delle puntuali indicazioni di cui all’art. 342 c.p.c.) risulta senz’altro più coerente con il risultato processuale maturato nella pregressa fase. In secondo luogo, la soluzione ermeneutica prescelta dalle Sezioni Unite, ed oggi seguita dalla Terza Sezione, si sottrae da alcune gravi contraddizioni, cui viceversa perviene la tesi della devoluzione delle eccezioni rigettate mediante riproposizione: si pensi, ad esempio, al caso della parte totalmente vittoriosa che dovrebbe limitarsi a riproporre la questione respinta, se la stessa fosse risolta nell’ambito di una sentenza definitiva, mentre dovrebbe interporre impugnazione, allorquando quest’ultima fosse risolta all’interno di una sentenza non definitiva, con i connessi oneri in tema di specificità dei motivi di gravame, ai quali, invece, sfugge la riproposizione di cui all’art. 346 c.p.c (incoveniente già ravvisato da R. Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2001, 518 e ss.). In altre parole, la nuova posizione giurisprudenziale impedisce che l’individuazione del mezzo da esperire venga a dipendere da elementi, del tutto accidentali, quali la natura (definitiva o non definitiva) del provvedimento pronunciato. Non va dimenticato, peraltro, che la necessità di spiegare impugnazione incidentale avverso la parte di sentenza che ha rigettato l’eccezione sollevata, imporrà all’appellante di sostenere i costi del relativo contributo unificato (cfr. art. 13, comma 1 bis, d.p.r. 115/2002) nonché dell’eventuale sanzione di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 (versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato al momento della proposizione del gravame) per l’ipotesi che la stessa venga rigettata oppure dichiarata inammissibile o improcedibile (su questo non trascurabile profilo pratico, v. Fanni-Salvaneschi, in Riv. Giur. Trib., 2017, 153)