10 Settembre 2018

La nullità dell’atto di citazione nella più recente giurisprudenza

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Abstract: Il presente Focus è dedicato all’analisi delle più recenti pronunce in materia di nullità dell’atto di citazione, procedendo con distinto riguardo ai vizi inficianti la vocatio in ius ovvero l’editio actionis.

  1. Come noto, l’art. 164 c.p.c., disciplinante la nullità dell’atto di citazione, è tradizionalmente suddiviso in due parti: l’una, dedicata alle nullità che colpiscono la c.d. editio actionis, l’altra, a quelle che inficiano la c.d. vocatio in ius.

Quest’ultimo tipo di invalidità, secondo quanto previsto dal primo comma della norma menzionata, si configura nelle seguenti ipotesi: a) omessa o assolutamente incerta indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta, di nome, cognome, residenza o codice fiscale dell’attore, di nome, cognome, codice fiscale, residenza o domicilio o dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono, ovvero, nel caso in cui attore o convenuto sia una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, omessa o assolutamente incerta indicazione della denominazione o della ditta, ovvero dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio; b) omessa indicazione della data dell’udienza di comparizione; c) assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge; d) omesso avvertimento circa le decadenze previste ex lege in caso di tardiva costituzione del convenuto.

A fronte di tali vizi, l’art. 164 c.p.c. prevede differenti alternative, a seconda, anzitutto, che il convenuto si costituisca o meno in giudizio. In caso di mancato costituzione, infatti, il giudice dispone d’ufficio la rinnovazione della citazione che, se eseguita entro il termine perentorio a tal fine assegnato, sanerà il vizio con conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda. In caso di avvenuta costituzione del convenuto, questa di regola produce la sanatoria del vizio con salvezza dei menzionati effetti sostanziali e processuali, fatta eccezione per l’ipotesi in cui il convenuto costituito denunci l’inosservanza dei termini a comparire o la mancanza del prescritto avvertimento: in tal caso, infatti, il giudice è tenuto a fissare una nuova udienza per garantire il rispetto dei termini previsti ex lege.

Le nullità che affliggono la editio actionis, viceversa, sono individuate dal quarto comma della norma in due fattispecie, ossia: a) omessa o assolutamente incerta determinazione della cosa oggetto della domanda; b) omessa esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni.

Anche per questa ipotesi, come noto, la norma distingue a seconda che il convenuto si sia costituito o meno: nel primo caso, il giudice assegnerà all’attore un termine per provvedere alla mera integrazione della domanda; nel secondo, dovrà provvedersi alla rinnovazione dell’atto di citazione. In ogni caso, restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o all’integrazione: in altri termini, la sanatoria di un vizio inerente alla editio actionis – a differenza di quelli che investono la vocatio in ius – ha effetti solamente ex nunc.

  1. Con riguardo alle nullità che colpiscono la c.d. vocatio in ius dell’atto di citazione, appare in primo luogo interessante riportare la decisione assunta da Trib. Reggio Emilia, 2 settembre 2014 (in www.ilcaso.it), laddove si è affermato che, in ipotesi di radicale mancanza della vocatio in ius, in tutti i suoi elementi, la nullità da cui è afflitto l’atto di citazione sarebbe insanabile, in quanto non rientrante né nei casi di cui all’art. 164, quarto comma, c,p.c., né nei casi di cui all’art. 164, primo comma, c.p.c.

Con riguardo all’ipotesi di inosservanza del termine di comparizione o di mancanza dell’avvertimento prescritto dall’art. 163, n. 7, c.p.c., Cass., 16 ottobre 2014, n. 21910 ha precisato che l’esclusione della sanatoria della nullità dell’atto di citazione in relazione all’avvenuta costituzione del convenuto – con obbligo per il giudice di fissare nuova udienza nel rispetto dei termini -, suppone una costituzione del convenuto limitata alla sola deduzione della nullità in parola, con esclusione dello svolgimento di altre difese: in tal caso, infatti, si dovrà ritenere verificata la sanatoria dell’atto.

Sempre con riguardo al termine a comparire, poi, si è recentemente rilevato come, in caso di inosservanza del termine predetto, la nullità della citazione non è comunque predicabile allorquando esso termine risulti rispettato per effetto dell’avvenuto differimento dell’udienza di trattazione a norma dell’art. 168-bis, quarto e quinto comma, c.p.c. (così, Cass., 6 febbraio 2018, n. 2853).

Trattandosi di atto di citazione in appello, la predetta nullità per inosservanza del termine a comparire non può invece dirsi sanata nel caso di costituzione in giudizio di alcuni soltanto degli appellati, dovendosi, per contro, assegnare all’appellante un termine per rinnovare la citazione, onde consentire l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. (Cass., 3 novembre 2016, n. 22279).

Ancora, appare utile ricordare la distinzione tra nullità che investono, appunto, la vocatio in ius dell’atto di citazione da quelle che inficiano la notificazione dell’atto medesimo: rientra nel primo caso – e, dunque, nell’oggetto del presente focus -, la fattispecie della proposizione di una domanda nei confronti di una persona giuridica estinta, e ciò in quanto, in tal caso, non può dirsi neppure instaurato un regolare rapporto processuale (in termini, Cass., 2 febbraio 2018, n. 2647). Tale differenza, come noto, si riflette anche sulle conseguenze che il rilievo dei predetti vizi produce in sede di appello: laddove il vizio rilevato attenga alla vocatio in ius, infatti, non è consentito al giudice di appello rimettere la causa in primo grado ex art. 354 c.p.c. (di nuovo, Cass., n. 2647/2018).

Sempre con riguardo alla possibilità per il giudice d’appello di rimettere la causa in primo grado, Cass., 12 ottobre 2017, n. 24017 ha escluso, di nuovo, la percorribilità di tale strada nel caso in cui, con l’atto di appello, il convenuto dichiarato contumace in primo grado deduca la nullità della citazione introduttiva di quel giudizio per esservi indicata una data di prima comparizione già scaduta al momento della sua notificazione, atteso, ancora, che tale ipotesi non è assimilabile ai casi tassativamente indicati negli artt. 353 e 354 c.p.c.; in tal caso il giudice di appello sarà tenuto a rilevare che il vizio si è comunicato agli atti successivi dipendenti, compresa la sentenza, e a decidere la causa nel merito, previa rinnovazione degli atti nulli, ad eccezione di quello introduttivo, rispetto al quale l’effetto sanante è stato già prodotto dalla proposizione dell’appello della parte illegittimamente dichiarata contumace in primo grado.

Poiché lo scopo della vocatio in ius è la corretta instaurazione del contraddittorio delle parti – ciò che può dirsi verificato solo nel momento in cui la domanda è portata a conoscenza della parte convenuta – laddove, prima della notificazione dell’atto di citazione intervenga la morte della parte attrice, la conseguente estinzione del mandato conferito al difensore determina la nullità della vocatio in ius e dell’intero eventuale giudizio che ne è seguito, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Cass., 20 novembre 2017, n. 27530).

Per quanto concerne la sanatoria dei vizi inficianti la vocatio in ius, conseguente alla costituzione del convenuto, Cass., 8 novembre 2017, n. 26473 si è pronunciata in materia di cessione di ramo d’azienda, chiarendo come in tal caso la costituzione in giudizio della cessionaria valga a sanare i vizi della vocatio in ius della società cedente, e ciò in quanto la sanatoria opera indipendentemente dalla volontà del convenuto e a prescindere dalle difese svolte.

Cass., 28 marzo 2017, n. 7885 si è poi espressa con riguardo al caso di nullità della vocatio in ius per omessa indicazione della data di udienza di comparizione, precisamente all’interno di un atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo: anche in tal caso la proposizione dell’atto di appello opera quale sanatoria ex tunc del vizio, con la conseguenza per cui il giudice adito, esclusa l’irrevocabilità del provvedimento monitorio, è tenuto a decidere la causa nel merito.

  1. Passiamo ora all’analisi delle più recenti pronunce in materia di nullità per inadeguata formulazione della c.d. editio actionis, e dunque di quei vizi che si risolvono nell’omissione o nell’assoluta incertezza circa il petitum o la causa petendi della domanda proposta.

Anzitutto, l’inidoneità della mera costituzione del convenuto a sanare il vizio in esame è stata ribadita da Cass., 23 agosto 2011, n. 17495, che ha ricordato come i vizi riguardanti la editio actionis siano rilevabili d’ufficio dal giudice e, appunto, non possano essere sanati dalla costituzione in giudizio del convenuto, essendo questa inidonea a colmare le lacune della citazione stessa, che compromettono il suo scopo di consentire non solo al convenuto di difendersi, ma anche al giudice di emettere una pronuncia di merito, sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale; in tali casi, in altri termini, non può farsi applicazione delle regole contenute negli artt. 156, terzo comma, e 157 c.p.c., essendo la nullità in rilievo prevista in funzione di interessi che trascendono quelli del solo convenuto.

Con riguardo alla nullità derivante dall’assoluta indeterminatezza dell’oggetto, interessante è la pronuncia di Trib. Udine, 17 agosto 2015 (in www.ilcaso.it), laddove tale vizio è stato ravvisato nella fattispecie in cui l’attore, con atto di citazione, si sia limitato a chiedere, genericamente, la declaratoria di nullità di atti negoziali dei quali non risultassero specificati né i contraenti né l’oggetto; il tribunale, in tale occasione, ha altresì precisato che la possibilità di sanare tale vizio, in difetto di un precedente provvedimento giudiziale ex art. 164 c.p.c., permanesse fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Ancora, Trib. Torre Annunziata, 12 febbraio 2015 (sempre reperibile su www.ilcaso.it) ha chiarito quando non possa dirsi sussistente la nullità in esame, e più precisamente quando l’attore, nell’atto di citazione, abbia delineato i fatti costitutivi della propria pretesa in modo sufficiente ad esplicitare l’azione che il medesimo ha inteso proporre, ed in particolare abbia specificato senza incertezze – se non marginali o comunque superabili attraverso l’esame del contenuto complessivo dell’atto introduttivo – petitum e causa petendi della formulata domanda.

Con riguardo, di nuovo, ai limiti di rilevabilità del vizio in questione, la recente Cass., 5 febbraio 2018, n. 2755, ha ribadito come l’eventuale nullità, non sanata, dell’atto introduttivo per motivi attinenti all’editio actionis, risolvendosi in motivo di nullità della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado, ove non sia fatta valere in appello, non può essere dedotta per la prima volta nella fase di cassazione, a causa della intervenuta preclusione derivante dal principio, affermato dall’art. 161 c.p.c., di conversione dei motivi di nullità della sentenza in motivi d’impugnazione.