La nozione di travisamento della prova censurabile avanti alla Corte di Cassazione
di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDFCass., Sez. III, 27 aprile 2023, n. 11111 Pres. Travaglino, Rel. Giannitti
Procedimento civile – Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Travisamento della prova – Giudice – (C.p.c., artt. 115, 116, 132, 360, 395)
Massima: “Il travisamento della prova censurabile in cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demostrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demostratum), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi oggettivamente risultanti dal materiale probatorio ed inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di mera probabilità, ma di assoluta certezza”.
CASO
La vicenda in esame trae origine dal ricorso ex art. 702 bis c.c. con cui gli eredi di un pittore, deceduto anni prima, chiesero la condanna di un ente museale alla restituzione di un’opera del de cuius, illegittima detenuta dalla convenuta a seguito di un contratto di comodato cui non aveva mai fatto seguito la spontanea restituzione ad opera della Galleria comodataria.
Il tribunale accoglieva la domanda, con ordinanza poi appellata vittoriosamente dalla Galleria e dal Ministero per i Beni e le Attività culturali, intervenuto già in primo grado, ai quali venne riconosciuto da parte del giudice di secondo grado che gli attori non avevano dimostrato il rapporto di comodato e, a monte, la contestata proprietà del dipinto in capo all’autore al momento dell’affermata consegna (e non ad un collezionista resosi medio tempore acquirente dell’opera).
La riforma della decisione di primo grado avveniva in virtù della diversa interpretazione assegnata a due lettere, del 10 luglio 1967 e del 13 dicembre 2012, di cui la prima particolarmente rilevante, e solo dal primo dei due giudici ritenuta di carattere confessorio, indirizzata dalla Soprintendenza allo stesso autore e contenente apparenti ringraziamenti per il prestito di alcune opere ai fini di una appena conclusa mostra itinerante.
La decisione d’appello era impugnata per cassazione dagli eredi, sulla base di sei motivi incentrati, per la parte che qui più espressamente rileva, sul travisamento di due lettere erroneamente ritenute di contenuto confessorio, da cui i ricorrenti ricavano che “la Corte territoriale ha violato l’art. 116 c.p.c., in quanto ha preteso di esercitare il potere di libero apprezzamento delle prove in relazione a prove legali, rispetto alle quali non è consentito l’esercizio di detto potere. E, così operando, la sua sentenza sarebbe nulla”.
SOLUZIONE
La Cassazione antepone un lungo excursus in ordine all’elaborazione anche processual penalistica della nozione di travisamento della prova, cui fa seguire la trasmissione degli atti al Primo presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite atteso il contrasto di giurisprudenza tra un orientamento che tutt’ora permette la ricorribilità per cassazione per il vizio in esame (posizione per la quale sembra propendere l’ordinanza di rimessione, se si considera il preponderante spazio lasciato in motivazione all’enunciazione degli argomenti che lo sorreggono rispetto alla tesi opposta, e l’enucleazione di un vero e proprio “decalogo” del travisamento, riportato in massima), e l’orientamento più rigoroso che al travisamento ritiene invece preclusa la via nell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c.
QUESTIONI
L’esame della Corte sembra curiosamente non considerare la recente rimessione alle stesse Sezioni unite, da parte di Cass., 29 marzo 2023, n. 8895, di una questione per molti aspetti analoga, e della quale pertanto nel presente scritto si darà parzialmente conto nell’esame dei profili esaminati dalla decisione in esame, e la comunanza dei due temi apparirà evidente al lettore se si considera che anche la rimessione di marzo ravvisa un contrasto tra i due orientamenti appena accennati, con la differenza però che in quella precedente occasione l’ordinanza sembra propendere per la tesi restrittiva: alle aperture dell’ordinanza in esame fa fronte infatti l’evidenziazione del rischio che un’interpretazione ampia del concetto di travisamento, sia pure idonea a “rimediare alla (supposta) illegittimità o ingiustizia di una decisione di merito”, possa “in progresso di tempo” far “scivolare” la Cassazione “verso una inconsapevole trasformazione in un tribunale di terza istanza” e del fatto che “un esito del genere si porrebbe diametralmente in contrasto non solo con la lettera, ma vieppiù con l’intenzione che il legislatore ha trasfuso nella novella più volte cit. dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per come ricostruita da Cass. S.U. n. 8053 del 2014”.
Tornando alla decisione in esame, ossia la rimessione di aprile, la Corte affronta un problema logico da sempre ritenuto impervio anche in scritti dottrinali di magistrati di Cassazione: di “aporia” ha parlato solo poche settimane fa Dell’Utri, Note minime sulla questione del travisamento della prova nel ricorso per cassazione, intervento del 14 marzo 2023 al convegno “Errare Humanum…Travisare Diabolicum. La questione del travisamento nel ricorso per cassazione”, riportato in www.giustiziainsieme.it annotando che “se al giudice di legittimità è inibita la possibilità di sindacare il modo attraverso il quale il giudice di merito ha valutato la prova; e se il travisamento della prova è propriamente un giudizio sul modo in cui il giudice di merito ha assunto le sue determinazioni sul significato da attribuire alla prova, come sarà mai possibile, per il giudice di legittimità riconosce rilevanza a detto travisamento?).
Il problema è esaminato distinguendo in primo luogo tra due figure, ossia il travisamento della prova e del fatto: solo la prima implica che “una constatazione o un accertamento che una data informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale”, e, dallo sviluppo logico della motivazione, parrebbe sindacabile in Cassazione, ma la stessa motivazione non offre una parallela definizione di travisamento del fatto e dunque la distinzione, non più ripresa nella decisione, rimane obiettivamente sospesa; e ciò a danno della chiarezza dei confini dell’istituto, atteso che i due fenomeni non appaiono logicamente due facce della stessa medaglia come presupposto dalla Corte ma l’una – il travisamento della prova – una delle possibili cause dell’effetto ultimo rappresentato dalla radicale incomprensione del fatto da parte del giudice del merito (che in termini logici a tale risultato può giungere anche indipendentemente dal fraintendimento del contenuto di una prova, ad esempio perché non ha mai ammesso una prova rilevante su un fatto contestato e dunque mai ha saputo, dalla voce di un terzo, se un determinato fatto è accaduto o meno).
Un ulteriore elemento di non immediata comprensibilità è quale sottile margine sia lasciato, pure dall’orientamento permissivo, al travisamento della prova della cui sindacabilità in Cassazione dubita l’ordinanza in commento.
La Corte è chiara infatti nel rammentare i plurimi approdi giurisprudenziali che, ancora in tempi recenti, hanno escluso la ricorribilità per lamentare, magari sotto la fuorviante etichetta di travisamento del fatto, semplici errori nella valutazione del materiale istruttorio il travisamento: si è ad esempio più volte osservato che l’attività di selezione di un dato informativo tra tutti i dati informativi astrattamente desumibili da un elemento o da un mezzo di prova, in quanto espressione del prudente apprezzamento del giudice di merito, è attività valutativa riconducibile in via esclusiva al sindacato del giudice di merito ed è estranea al sindacato della Cassazione, e che, in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento probatorio adottato dal giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio è destinata a risolversi nella scelta di uno o più tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudice, ed è espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito, estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere in tale sede del modo attraverso il quale il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio.
E la Corte non intende mettere in discussione tali consolidati orientamenti.
Meno chiara è la pars costruens, ossia l’individuazione dei casi in cui il giudice di legittimità – fuori dei limitati casi previsti dal motivo n. 5 dell’art. 360, che ad un radicale omesso esame del fatto si riferiscono e non all’esame sì effettuato ma in modo così carente da travisare i fatti – ritiene “non estraneo al sindacato della Cassazione” il sostanziale riesame del fatto che discende dall’accoglimento di un ricorso che lamenti il travisamento della prova da parte del giudice del merito.
Difficilmente tali casi potranno essere individuati, come la Corte suggerisce in prima battuta, nelle ipotesi in cui si lamenti “l’omesso esame (da parte del giudice di merito) di specifici fatti (di ordine principale o secondario e comunque di carattere decisivo) che siano stati oggetto di contraddittorio processuale”, che sembrano appunto confluire nel pure ristretto motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (forse troppo ristretto: si ricorderà che il legislatore del 2012 è andato persino oltre ciò che in passato aveva osato proporre la stessa Corte nella “Bozza di disegno di legge concernente provvedimenti urgenti per la riforma del giudizio di cassazione” elaborata dai vertici della Cassazione nel 1988, in Foro it., 1990, V, 263 ss., che si limitava a restringere l’operatività del motivo n. 5 ai casi di “omessa motivazione su un punto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”); o nella “inesistenza di una informazione probatoria, che, proprio perché inesistente, illegittimamente è stata posta a fondamento della decisione di merito”, che appare più facilmente inquadrabile nell’errore di fatto ex art. 395, n. 4 c.p.c.
E il confine tra quest’ultimo rimedio e il ricorso per cassazione per travisamento della prova si fa sempre più scivoloso se si considerano due passaggi problematici della motivazione.
Il primo è rappresentato dagli esempi, sia pure generali, di travisamento offerti dalla Corte, e la cosa che stupisce sin dalla prima lettura è il loro forte sapore revocatorio: tra questi, l’essersi fondata la decisione su “dati informativi riferibili a fonti mai dedotte in giudizio dalle parti (un testimone che non è mai stato indicato o, pur essendolo stato, non è stato mai interrogato; un documento che non è mai stato richiamato o che, pur essendo stato richiamato, non è mai stato prodotto, ecc.), ovvero dati informativi che si riferiscono a fonti appartenenti al processo (uno specifico documento, in concreto ritualmente depositato; un determinato testimone, in concreto regolarmente escusso, ecc.), ma che si sostanziano nell’elaborazione di contenuti informativi che non si lasciano in alcun modo ricondurre, neppure in via indiretta o mediata, alla fonte alla quale il giudice di merito ha viceversa inteso riferirle”.
Il secondo passaggio è la conduzione ad absurdum della tesi che vorrebbe escludere il sindacato della Cassazione sul travisamento della prova: secondo la Corte, i risultati sarebbero paradossali perché “sarebbe non censurabile la sentenza del giudice di merito che abbia utilizzato informazioni probatorie che non esistono nel processo: una simile decisione, infatti, sfuggirebbe all’ambito di applicabilità sia dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (trattandosi di fatti il cui esame non fu omesso)”, e l’osservazione risulta conforme all’insegnamento delle stesse Sezioni unite, nella nota sentenza n. 8053/2014, sui limiti di operatività del motivo n. 5; sia “dell’art. 395 n. 4 c.p.c. (trattandosi di fatti su cui il giudice di merito si è espressamente pronunciato)”.
E qui la ragione di inapplicabilità del rimedio revocatorio appare meno chiara: il caso prospettato (la sentenza di merito che si sia fondata su informazioni probatorie non in atti) sembra infatti rientrare senza difficoltà nell’ipotesi di “decisione fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa” e il fatto che “il giudice di merito si [sia] espressamente pronunciato” non sembra corrispondere al requisito negativo dell’art. 395 n. 4 c.p.c., ossia che il fatto non abbia costituito “punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
In sintesi, l’ipotetica esclusione del travisamento della prova dal sindacato della Corte non appare di per sé foriera di un vuoto di tutela, se si considerano le figure limitrofe dell’esame del fatto che sia radicalmente mancato, ancora assegnata alla Cassazione seppure sotto il diverso motivo n. 5, e dell’esame che si sia risolto in quel vero e proprio lapsus cognitivo che la giurisprudenza (Cass., 3 novembre 2020, n. 24327) riconduce all’ambito di applicazione della revocazione.
Sarà dunque interessante vedere quale delle due vie, tra quelle più o meno espressamente suggerite dalle ordinanze di rimessione, sarà in concreto adottata dalle Sezioni unite, e se, in particolare, la Corte riterrà coraggiosamente di riaprire, con l’ipotetico avallo alla tesi che permette il sindacato sul lamentato travisamento della prova, quel varco per il riesame del fatto, dove non sorretto da una congrua motivazione, che la riformulazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. da parte del legislatore del 2012 aveva sostanzialmente socchiuso e che la giurisprudenza, anche delle Sezioni unite, sul motivo nel suo attuale tenore letterale aveva ancora più ermeticamente sigillato.
“Coraggiosamente”, si è detto: l’effetto si riverbererebbe infatti in un potenziale maggiore accesso alla Corte e dunque, presto, in un concreto, forse per il sistema non augurabile incremento del numero di ricorsi annui, e ciò a differenza di quanto discenderebbe da un ampliamento operativo dell’applicabilità del rimedio revocatorio che – salvo per le limitate ipotesi anche sul piano statistico in cui lo strumento è adottato l’impugnazione di un provvedimento della stessa Cassazione, e per la nuova revocazione europea di cui all’art. 391 quater c.p.c. – vede strutturalmente come giudice della revocazione non la Corte ma lo stesso giudice del merito che ha emesso la sentenza revocanda, dunque senza incidenza diretta (e anzi, semmai, con un moderato effetto deflattivo) sui già oberati ruoli del giudice di legittimità.
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