La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (art. 118 TUB)
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFLo ius variandi ex art. 118 TUB è norma eccezionale (in deroga all’art. 1372, comma 1, c.c.), insuscettibile di applicazione analogica ai sensi dell’art. 14 disp. prel. c.c.
La possibilità di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere prevista in contratto e «approvata specificamente dal cliente» (art. 118, comma 1, TUB), a riprova della sostanziale vessatorietà della pattuizione; se non è prevista o non è approvata specificamente, le banche e gli intermediari finanziari non possono adottare modifiche unilaterali.
È stabilita una significativa differenziazione normativa tra i contratti a tempo indeterminato (ad es. conto corrente bancario, apertura di credito a tempo indeterminato) e i contratti di durata (ad es. mutui, leasing, apertura di credito a tempo determinato). Solo nei primi è consentita la facoltà di modificare unilateralmente «i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto» mentre nei contratti di durata stipulati con consumatori (persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta) e micro-imprese la possibilità di modifica unilaterale può essere convenuta «esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse»: sono quindi modificabili solo i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto (art. 118, comma 1, TUB).
Il divieto per le banche di modificare unilateralmente i tassi di interesse applicati ai contratti bancari a tempo determinato è ragionevole, ben potendo l’intermediario, operatore professionalmente qualificato, calcolare ex ante la redditività dei propri impieghi nell’ambito di un finanziamento a tempo determinato.
Soltanto se il cliente non è un consumatore né una micro-impresa (quindi un professionista o una impresa di dimensioni medie o grandi), nei contratti di durata (diversi da quelli a tempo indeterminato) possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di «specifici eventi e condizioni predeterminati nel contratto» (art. 118, comma 2 bis, TUB).
La modifica del tasso di interesse presuppone la validità dell’originario tasso di interesse oggetto della variazione, posto che un tasso di interesse può essere legittimamente ed unilateralmente variato (tanto più in misura peggiorativa) in quanto quel tasso originario sia valido e come tale produttivo di effetti tra le parti, e ciò in virtù del principio generale, recepito dal nostro ordinamento, secondo cui quod nullum est, nullum producit effectum (Trib. Ascoli Piceno 21.1.2021; Trib. Bari 27.2.2020; Trib. Spoleto 21.8.2018; Trib. Ascoli Piceno 10.6.2016; ABF Milano 12.5.2015 n. 3724; v. anche Cass. n. 4015/2007). Lo stesso vale, in generale, per ogni clausola contrattuale che si intenda modificare.
Per completezza di informazione, occorre ricordare il principio normativo per cui «il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente» (art. 1423 c.c.), per cui mai una variazione unilaterale di una originaria clausola nulla può sanarne l’invalidità (così come è parimenti noto che l’esecuzione spontanea del contratto da parte dei contraenti non ne sana la nullità) (Cass. n. 8993/2003; Cass. n. 11156/1994).
Nel caso in cui la banca eserciti lo ius variandi, la variazione del tasso di interesse non può che essere conforme al quadro legale del momento. L’eventuale esercizio dello ius variandi in violazione del tasso soglia usura di periodo configura, dunque, un’ipotesi di usura originaria (interesse «convenuto» ex art. 1815, comma 2, c.c.), poiché il nuovo tasso pattuito non diventa usurario per effetto dell’abbassamento del tasso-soglia (c.d. usura sopravvenuta), ma è usurario ab origine rispetto al suddetto tasso-soglia.
In conformità a quanto statuito dai recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di abuso del diritto, la facoltà di modificare unilateralmente il contratto di finanziamento non può essere esercitata in violazione del generale principio di buona fede (ad es., può essere indice di violazione di tale principio il frequente ricorso allo ius variandi in assenza di eccezionali condizioni di mercato che giustifichino la condotta della banca) (Collegio di coordinamento ABF n. 26498/2018).
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