La modifica della dichiarazione resa dal terzo pignorato ai sensi dell’art. 547 c.p.c.
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 14 maggio 2021, n. 13144 – Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo
Espropriazione forzata – Pignoramento presso terzi – Dichiarazione di quantità – Rettifica o revoca – Ammissibilità – Condizioni
La dichiarazione di quantità resa in senso positivo dal terzo pignorato per errore di fatto a sé non imputabile può essere oggetto di rettifica o revoca fino al momento in cui venga emessa l’ordinanza di assegnazione.
CASO
Una società avviava un’espropriazione mobiliare presso terzi, pignorando i canoni spettanti all’esecutata in forza di due distinti contratti di locazione, conclusi entrambi con il medesimo soggetto: il primo, riguardante un compendio immobiliare di cui la debitrice disponeva in forza di un contratto di leasing; il secondo, relativo a due posti auto che appartenevano al medesimo complesso.
Essendo insorte contestazioni sulla dichiarazione resa ai sensi dell’art. 547 c.p.c., veniva promosso il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, all’esito del quale era dichiarata cessata la materia del contendere quanto ai crediti derivanti dal secondo contratto di locazione (visto che la società terza pignorata ne aveva riconosciuto la sussistenza); quanto agli altri, invece, la domanda del creditore procedente era rigettata in primo grado, ma accolta in appello, con conseguente fissazione del termine per la riassunzione del processo esecutivo.
La terza pignorata proponeva, quindi, ricorso per cassazione, lamentando che i giudici di merito non avevano considerato che l’originaria dichiarazione ex art. 547 c.p.c., sulla cui base era stata ravvisata la sussistenza del credito pignorato avente titolo nel primo contratto di locazione, doveva considerarsi superata da quella resa successivamente per porre rimedio all’errore ivi contenuto: in particolare, non si era tenuto conto del fatto che, da un lato, il contratto di leasing in forza del quale l’esecutata aveva la disponibilità dell’immobile concesso in locazione si era risolto per inadempimento (sicché il diritto di incassare i canoni doveva intendersi trasferito in capo alla concedente) e, dall’altro lato, che l’esecutata, in data anteriore al pignoramento, aveva comunque ceduto a terzi il suo credito avente per oggetto i canoni di locazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, in virtù del principio di diritto secondo cui la dichiarazione di quantità resa dal terzo pignorato ai sensi dell’art. 547 c.p.c. può essere modificata o revocata, qualora sia inficiata da un errore di fatto incolpevole, fino a quando non sia stata emessa l’ordinanza di assegnazione, che segna la conclusione dell’espropriazione mobiliare presso terzi.
QUESTIONI
[1] La questione esaminata dalla sentenza che si annota trae origine da un’espropriazione mobiliare presso terzi, nella quale erano stati pignorati i crediti vantati dalla debitrice esecutata nei confronti di una società terza in forza di due distinti contratti di locazione.
Le criticità riguardavano, in particolare, quelli aventi titolo nella locazione riguardante un compendio immobiliare di cui la società locatrice (ed esecutata) aveva la disponibilità in forza di un contratto di leasing.
La terza pignorata, infatti, sosteneva di non essere debitrice nei confronti dell’esecutata, giacché, quando intervenne il pignoramento, il contratto di leasing si era risolto per inadempimento della stessa e, in ogni caso, perché il credito era stato ceduto. Tali circostanze – sulla base di quanto è dato comprendere dalla ricostruzione operata nella pronuncia – non risultavano dalla prima dichiarazione resa ai sensi dell’art. 547 c.p.c., che, tuttavia, era stata rettificata a distanza di un mese.
Ciononostante, i giudici di merito avevano ritenuto irretrattabile la prima dichiarazione e, stante la sua natura confessoria, dichiarato la sussistenza del credito pignorato nel giudizio di accertamento radicato dal creditore procedente.
I giudici di legittimità, tuttavia, hanno accolto le doglianze della terza pignorata, dando continuità all’orientamento giurisprudenziale in base al quale la dichiarazione resa in adempimento di quanto stabilito dall’art. 547 c.p.c., che risulti positiva per effetto di un errore di fatto, può essere oggetto di rettifica o di revoca fino al momento in cui venga emessa l’ordinanza di assegnazione.
A fronte di una pluralità di ricostruzioni in merito alla natura della dichiarazione in parola (che è stata variamente qualificata in termini di confessione, di riconoscimento di debito, di esibizione ideale, di dichiarazione di servizio, di mera dichiarazione di scienza), si è osservato che la stessa va comunque intesa come atto del processo esecutivo, volto a definire l’oggetto dell’espropriazione presso terzi e a dare concretezza all’indicazione (che può essere anche generica) che della cosa pignorata è tenuto a dare il creditore nell’atto di pignoramento.
Come tale, secondo parte della dottrina, la dichiarazione reputata erronea andrebbe impugnata con opposizione agli atti esecutivi, mentre secondo altra tesi – seguita dalla giurisprudenza – il terzo ha l’onere di revocarla immediatamente, considerata la sua natura sostanzialmente confessoria, proponendo eventualmente opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso l’ordinanza di assegnazione che fosse stata emessa senza tenere conto dell’intervenuta revoca.
Perché l’errore di fatto possa assumere, nell’ambito del processo esecutivo, una valenza lato sensu risolutoria della prima dichiarazione, occorre che quest’ultima venga emendata, mediante revoca o rettifica, nei limiti consentiti dal rispetto dei principi di autoresponsabilità e di correttezza che debbono essere osservati anche dal terzo pignorato, chiamato a cooperare con l’ufficio giudiziario e tenuto, quindi, a evitare condotte improntate a superficialità, scorrettezza o mala fede; in questo senso, dalle dichiarazioni erronee vanno tenute distinte quelle inveritiere o fuorvianti, soprattutto se si considera che il giudice dell’esecuzione non ha il potere di accertarne la falsità o anche solo l’inesattezza, dovendo provvedere sulla base del loro contenuto oggettivo (essendo rimessa al creditore procedente la facoltà di contestarle, provocando l’accertamento della sussistenza o meno del credito assoggettato a pignoramento).
Così, secondo la giurisprudenza, la dichiarazione del terzo non è revocabile ad nutum, in caso di errore, ma solo quando quest’ultimo sia scusabile, ovvero incolpevole e fintanto che l’aspettativa del creditore non si sia consolidata, con l’emissione dell’ordinanza di assegnazione e, dunque, fino all’adozione dei provvedimenti previsti dagli artt. 552 e 553 c.p.c. (si veda, in particolare, Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2017, n. 13143). Resta ferma, in questo senso, la possibilità per il terzo di interporre opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione che sia stata emessa nonostante la tempestiva revoca o sostituzione della dichiarazione erronea, ovvero senza tenere conto degli effetti della sua rettifica.
Sotto altro profilo, la questione relativa alla possibilità di revocare o rettificare l’erronea dichiarazione di quantità attiene al regolare svolgimento del processo esecutivo e rimane estranea all’oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, la cui instaurazione presuppone che essa sia già stata risolta dal giudice dell’esecuzione: infatti, qualora quest’ultimo ritenga inammissibile la revoca o la rettifica della dichiarazione positiva originariamente resa dal terzo, provvederà all’assegnazione dei crediti pignorati, mentre, in caso contrario, disporrà gli accertamenti prescritti dall’art. 549 c.p.c., su richiesta del creditore procedente, atteso il contenuto negativo (in tutto o in parte) da attribuirsi alla dichiarazione così come modificata.
Peraltro, la valutazione del carattere negativo o positivo della dichiarazione di quantità spetta in via esclusiva al giudice dell’esecuzione, sicché la sua correttezza o meno non rientra nell’oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (diretto ad appurare se sussiste oppure no, dal punto di vista sostanziale, il credito assoggettato a espropriazione forzata al momento del pignoramento).
Nel caso di specie, avendo disposto l’avvio del giudizio di accertamento, il giudice dell’esecuzione aveva attribuito valenza negativa alla dichiarazione ex art. 547 c.p.c. (assumendo, dunque, come valida ed efficace la revoca di quella originariamente resa), con la conseguenza che l’accoglimento della domanda di accertamento non poteva fondarsi sulla pretesa tardività della sua revoca o rettifica, ma solo ed esclusivamente sulla titolarità o meno del credito pignorato in capo alla debitrice esecutata al momento del pignoramento.
Per tale ragione, il ricorso proposto dalla terza pignorata è stato accolto e la sentenza impugnata è stata cassata.
La pronuncia in commento contiene un ulteriore aspetto degno di menzione.
Si tratta del passaggio in cui viene affrontata la questione relativa alla necessità di riassumere o meno il processo esecutivo a fronte del riconoscimento della sussistenza del credito avente titolo nel contratto di locazione relativo ai posti auto, effettuato – nel corso del giudizio di accertamento radicato dal creditore procedente – dalla società terza pignorata, la quale, invece, sosteneva che non ve ne fosse ragione, avendo già corrisposto il relativo importo (sicché non vi era interesse a ottenere l’emanazione dell’ordinanza di assegnazione).
I giudici di legittimità, invece, hanno condiviso la statuizione del giudice di primo grado (che, dopo avere dichiarato cessata la materia del contendere in parte qua, aveva fissato il termine per la riassunzione del processo esecutivo sospeso), essendo necessario che il giudice dell’esecuzione provvedesse alla pronuncia dell’ordinanza di assegnazione, sia per dare stabilità al pagamento – altrimenti privo di titolo – effettuato nelle more dalla terza pignorata al creditore procedente (il quale, diversamente, sarebbe rimasto esposto a un’azione di ripetizione d’indebito), sia perché fossero liquidate le somme dovute per interessi e spese di esecuzione.
All’obiezione secondo cui l’emissione dell’ordinanza di assegnazione, costituente titolo esecutivo, avrebbe comportato, per la terza pignorata, il rischio di dovere sostenere un doppio pagamento (oltre a quello già effettuato spontaneamente), i giudici di legittimità hanno replicato osservando che sarebbe bastato allegare che il pagamento era già pacificamente avvenuto, qualora, in base all’ordinanza, fosse stata effettivamente avviata un’azione esecutiva; la riassunzione, pertanto, aveva lo scopo di consentire l’emissione puramente formale dell’ordinanza di assegnazione (di fatto insuscettibile di essere posta materialmente in esecuzione), con la previa liquidazione del credito e l’imputazione delle somme assegnate prima agli interessi e alle spese di esecuzione e, di poi, al capitale.
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