La modifica arbitraria della governance a danno del socio di minoranza costituisce abuso della maggioranza
di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDFIntestazione del provvedimento: Tribunale di Milano, Sezione Specializzata Impresa, Sentenza n. 4030 del 23 aprile 2019.
Parole chiave: delibera assembleare – governance – abuso della maggioranza – società a responsabilità limitata – società per azioni
Massima: “La delibera di nomina dell’organo amministrativo è atto negoziale (tra società e amministratore) con valenza organizzativa (riguardando per eccellenza la governance della società) che vincola le parti ex art 1372 c.c. fino alla naturale scadenza del mandato (salvo il verificarsi delle cause tipizzate di cessazione dell’incarico) e non è pertanto consentito all’assemblea, prima della scadenza del mandato, sostituire l’organo amministrativo senza che ciò trovi giustificazione nell’esigenza di tutelare uno specifico e ben individuato interesse sociale. Ogni deliberazione assembleare adottata arbitrariamente dal socio di maggioranza e dannosa per il socio di minoranza, infatti, risulta connotata da abuso”
Disposizioni applicate: articoli 1372 c.c. e 2383 c.c.
Con la sentenza in esame il Tribunale delle Imprese di Milano ha dichiarato l’illegittimità di due delibere adottate dell’assemblea ordinaria di una S.p.A. con le quali era stato mutato l’assetto di governo della società, passando da un consiglio di amministrazione composto da tre membri – di cui uno espressione del socio di minoranza, ossia una S.r.l. titolare del 9% del capitale sociale della S.p.A. – ad un amministratore unico (incarico peraltro conferito al precedente Presidente del Consiglio di amministrazione già espressione della maggioranza della società).
Le suddette delibere sono state impugnate dalla S.r.l. socia di minoranza, che ha denunciato la finalità ritorsiva delle medesime ai propri danni, poiché adottate “in risposta” all’impugnazione di una precedente deliberazione del consiglio di amministrazione assunta dagli amministratori espressione della maggioranza in conflitto di interesse con quello sociale.
All’esito del giudizio il Tribunale delle Imprese di Milano ha osservato che le delibere impugnate avevano conseguito surrettiziamente, attraverso la modificazione della struttura dell’organo gestorio, l’unico risultato di estromettere dall’amministrazione, prima della scadenza del mandato ed in assenza di una revoca formale, l’amministratore espressione della minoranza; ciò era avvenuto in assenza di qualsivoglia causa di cessazione dalla carica prevista dalla legge (non essendo stata mossa alcuna censura in termini di capacità o diligenza professionale sull’operato del C.d.A. o del singolo consigliere di minoranza), oltre che in assenza di una specifica esigenza di soddisfare un qualsiasi interesse sociale, né dimostrato né allegato dalla società convenuta.
Al riguardo, il Tribunale ha osservato che, in generale, la delibera di nomina dell’organo amministrativo è un atto negoziale (tra la società e l’amministratore) che vincola le parti ex art 1372 c.c. fino alla naturale scadenza del mandato, salvo il verificarsi delle cause tipizzate di cessazione dell’incarico, con le conseguenze previste dalla legge e dallo statuto sociale (artt. 2383, comma, 2 e 2385, comma 2, c.c.; decadenza ex art. 2382 c.c.; revoca unilaterale dell’amministratore ex art. 2384 comma 3 c.c. ed eventuale risarcimento del danno; rinunzia all’ufficio ex art. 2385 comma 1 c.c.; sostituzione degli amministratori art. 2386 c.c.).
La valenza organizzativa di tale negozio implica la rilevanza dei suoi effetti anche nei confronti dei soci e non è quindi consentito all’assemblea, prima della scadenza del mandato, sostituire l’organo amministrativo in assenza di uno specifico e ben individuato interesse sociale, e ciò a maggior ragione quando comporta un danno ai soci di minoranza che, in assenza di partecipazione al C.d.A, si troverebbero privati di tutti i relativi poteri di assunzione delle scelte gestorie, di conoscenza degli affari sociali, di controllo e, se necessario, di manifestazione del dissenso.
Il Tribunale ha dunque concluso affermando che nel caso in questione erano presenti tutti i requisiti della fattispecie dell’abuso del diritto della maggioranza, ossia (i) l’esercizio formale del diritto di voto, (ii) la mancanza di interesse sociale della decisione e (iii) la lesione della posizione del socio di minoranza.
A sostegno di tale conclusione è stato infine richiamato l’orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27387 del 12 dicembre 2005 secondo cui “l’abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale – oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretto a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza “uti singuli” (poi ribadito da Cassazione civile sez. I, 17 luglio 2007, n.15942).