La modalità di redazione del testamento può provare l’incapacità naturale del testatore
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFCorte d’Appello di Milano, Sez. II, sentenza 17 ottobre 2024, n. 2731
Dott. CHIULLI Maria Caterina – Presidente; Dott. D’ANELLA Cesira – Consigliere; Dott. GRAZIOLI Elena Mara – Consigliere-relatore
(Articolo 591 c.c.)
Massima: “Ai fini dell’annullamento del testamento ex art. 591, co. 3, c.c., la prova dell’incapacità del de cuius può essere desunta, in assenza di documentazione medica chiara e lineare sulle condizioni mentali del testatore, dal contenuto del testamento e, in particolare, dalle modalità di redazione”.
CASO
Con testamento olografo del 10 maggio 2016 la de cuius, rimasta vedova e senza figli a causa della prematura scomparsa dell’unica figlia, ha disposto alcuni legati e ha istituito erede universale il signor [omissis]. In seguito alla premorienza di quest’ultimo è venuto alla successione, per effetto della chiamata ex lege, il fratello della de cuius, il quale ha scelto di rinunciare all’eredità. In suo luogo è venuta alla successione sua figlia – la parte attrice – che ha accettato puramente e semplicemente l’eredità della zia paterna.
Nello stesso periodo la parte attrice è venuta a conoscenza della presenza di un diverso testamento olografo riconducibile alla de cuius – datato 17 marzo 2017 – con cui quest’ultima ha designato erede universale il convenuto (figlio della collaboratrice domestica della testatrice), il quale ha accettato l’eredità.
Nel 2018, in seguito all’apertura della successione della zia, la parte attrice ha adito il Tribunale di Milano e ha chiesto in primo luogo la declaratoria di nullità del testamento olografo del 17 marzo 2017, sostenendo la violazione dell’art. 602 c.c. per mancanza del requisito dell’autografia; in subordine ha domandato l’annullabilità dello stesso sostenendo che il testamento fosse apocrifo e redatto in stato di incapacità di intendere e di volere (art. 591, co. 2, n. 3 c.c.).
La parte attrice ha quindi chiesto che fosse dichiarata aperta la successione ereditaria della zia secondo il testamento olografo del 10 maggio 2016 e, per quanto non previsto dal predetto testamento, in base alle norme della successione legittima.
Il Tribunale di Milano – con sentenza 26 luglio 2022, n. 6596 – ha anzitutto rigettato la domanda di accertamento della nullità del testamento olografo del 17 marzo 2017. Il giudice infatti, aderendo alle risultanze della CTU grafologica volta ad accettare se detto testamento fosse stato redatto dalla testatrice liberamente e consapevolmente o se fosse stato scritto (anche solo in parte) sotto dettatura, ha ritenuto sussistente il requisito dell’autografia (essenziale per la validità del testamento olografo ex art. 602 c.c.) ed ha pertanto attribuito la paternità della scheda testamentaria alla de cuius.
Il Tribunale, invece, ha accolto la domanda di annullamento per lo stesso testamento, affermando la fondatezza delle osservazioni sull’incapacità di intendere e di volere della testatrice al momento della redazione della scheda testamentaria. In particolare il giudice primo grado ha valorizzato una serie di circostanze che, in mancanza di un quadro completo e lineare sulla condizione di salute della de cuius, sono state valutate comunque idonee a provare che la testatrice si fosse trovata in una condizione di incapacità naturale.
Nello specifico è stato evidenziato:
- lo stravolgimento della volontà testamentaria che, sebbene legittimo, ha destato qualche sospetto, soprattutto per scelta di sopprimere l’intero elenco dei legati (anche il legato a favore della Casa di cura (omissis) in ricordo della figlia morta molto giovane) che in precedenza, invece, erano stati accuratamente disposti e aggiornati dalla de cuius secondo le variazioni intervenute nel suo patrimonio;
- il maggior rilevo dato all’istituzione ereditaria che precedentemente, invece, occupava un ruolo solamente marginale;
- la confusione della testatrice nel distinguere un testamento da una procura, benché ne avesse conferita una non molto tempo prima;
- l’assenza del preambolo (recante l’identificazione della testatrice, la revoca delle attribuzioni anteriori e la volontà di disporre) che era sempre presente e pressoché identico nei testamenti antecedenti a quello del 17 marzo 2017;
- evidenti errori formali, tra cui errori di grammatica (come “delego di”, “ai fini dei miei giorni”, “lascio a lui per averti preso cura”), l’assenza di punteggiatura, l’inserimento di caratteri maiuscoli in un testo scritto in corsivo, l’utilizzo di un foglio a righe come scheda e non bianco come per le precedenti, l’ampio spazio lasciato tra il testo e la firma.
Alla luce di questi elementi il Tribunale ha ritenuto soddisfatta la prova dell’incapacità di intendere e di volere della testatrice e ha conseguentemente annullato il testamento del 17 marzo 2017, determinando la reviviscenza delle disposizioni testamentarie contenute nell’atto del 10 maggio 2016.
SOLUZIONE
La Corte d’Appello di Milano – chiamata dal convenuto soccombente a riformare integralmente la sentenza del Tribunale – si è allineata a quanto disposto dal giudice di primo grado confermando l’annullamento del testamento del 17 marzo 2017.
Anche il giudice d’Appello ha ritenuto soddisfatto il rigore probatorio richiesto per annullare un testamento redatto in stato di incapacità naturale, affermando sul punto che l’esame del quadro istruttorio svolto dal Tribunale è del tutto condivisibile e permette di concludere, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, che la testatrice si trovasse in una situazione di “grave perturbazione delle facoltà di comprendere il significato e gli effetti dei propri atti” al momento della testamenti factio.
Come è stato precisato dalla Corte, la prova dell’incapacità del testatore ai fini dell’annullamento ex art. 591, co 3, c.c. deve risultare “non già da una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì … da una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, (tale per cui) il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi” (Cass. civ. 3934/2018).
La prova dell’incapacità è libera (Cass. civ. 26873/2019), pertanto il giudice potrà desumerla da qualunque elemento che ritenga idoneo a fornirla. È perciò corretta la valutazione con cui il Tribunale, non avendo documentazione sanitaria in grado di provare l’effettiva capacità di intendere e di volere (il Tribunale ha infatti scartato una CTU medica poco motivata e in alcuni punti non condivisibile), ha dato rilevanza ad alcune circostanze anomale derivanti dal contenuto dell’atto testamentario. Tali circostanze si sono dimostrate sufficienti a far emergere la condizione mentale compromessa della testatrice, la quale è stata ritenuta da entrambi i giudici come una persona colta (e quindi astrattamente in grado di porre in essere un testamento razionale) ma concretamente non capace di testare a causa della sopravvenuta incapacità naturale.
QUESTIONI
Con la sentenza in commento la giurisprudenza è tornata sul tema della capacità di fare testamento e sulle ipotesi in cui questa debba considerarsi esclusa, soffermandosi nello specifico sul caso in cui il testatore sia incapace di intendere e di volere.
La capacità di testare, com’è noto, consiste in quel requisito che deve sussistere in capo ad un determinato soggetto affinché questo possa disporre validamente delle proprie sostanze per mezzo del testamento; essa rappresenta un’espressione del più ampio concetto della capacità di agire e, come tale, spetta a tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge, come stabilito dal primo comma dell’art. 591 c.c. (Bianca, Diritto civile, Le successioni, Milano, 2022, p. 303 e ss.).
Per espressa previsione del secondo comma dell’art. 591, n. 3, tra i soggetti privi della capacità di disporre per testamento si annoverano (oltre ai minori di età e gli interdetti per infermità mentale) anche i soggetti che, “sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere o di volere nel momento in cui fecero testamento”.
La capacità di intendere e di volere costituisce il presupposto della capacità di testare, potendosi infatti considerare valida solo la volontà testamentaria che venga espressa con piena consapevolezza dal testatore; essa deve sussistere in capo al soggetto al momento della testamenti factio, ossia quando questi si appresti a redigere l’atto di ultima volontà (Trattato di diritto Privato diretto da Pietro Rescigno, II, Successioni, Torino, 1982, p. 45 e ss.).
Qualora invece tale capacità di giudizio critico manchi e si venga per questo a creare uno stato di c.d. incapacità naturale del soggetto – ossia una condizione di disordine, permanente o anche solo transitorio, delle facoltà intellettive e volitive, tale da privare il soggetto della capacità di rendersi conto di ciò che vuole, dichiara o compie nelle attività negoziali (cfr. art 428 c.c. in Codice Civile a cura di Pietro Rescigno) -, il legislatore ha previsto che “il testamento può essere impugnato da chiunque vi abbia interesse” per ottenerne l’annullamento (art. 591, ultimo comma, c.c.).
Come precisato anche da questa Corte, però, l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore richiede la dimostrazione che il soggetto si sia effettivamente trovato nell’impossibilità di comprendere il significato delle proprie azioni al momento della redazione della scheda.
Non basta una semplice anomalia delle facoltà psichiche ed intellettuali (Capozzi, Successioni e donazioni, I, p. 684; Cass. civ. 8728/2007) che, specie con riguardo al testatore anziano, potrebbe trattarsi di un lieve affievolimento delle capacità cognitive frutto del decadimento fisiologico; ne consegue che, in mancanza di malattie che comportino una comprovata infermità mentale, la persona in età avanzata si dovrà presumere ancora capace di intendere e di volere e perfettamente in grado di disporre per testamento (Bianca, Diritto civile, Le successioni, Milano, 2022, p. 303 e ss.).
Non rileva neanche il mutamento dello stato d’animo del testatore quando resti limitato alla sfera affettiva e non sia tale da alterare la sua capacità di giudizio critico (Cass. civ. 166/1957 e Cass. civ. 97/1967; Cass. civ. 3411/1978; Cass. civ. 1851/1980).
Si richiede invece che vi sia un profondo turbamento del normale processo volitivo, tale da privare il soggetto della coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi validamente (Capozzi, Successioni e donazioni, I, p. 683; Cass. civ. 26002/2008 e Cass. civ. 9081/2010).
Nel verificare se vi è stata “una totale obnubilazione della mente del testatore, tale da renderlo totalmente incapace di intendere il significato della sua condotta e di assumerne volontariamente le conseguenze” (Tagliaferri, La capacità e l’incapacità di disporre per testamento, in Successioni e donazioni diretto da Iaccarino, I, Utet, 2023, p. 568), la prova dell’incapacità dovrà essere seria e rigorosa, dal momento che l’incapacità naturale del testatore rappresenta l’eccezione alla regola generale secondo cui la capacità di agire si presume (Cass. civ. 2074/1985).
Rispetta certamente questi requisiti la prova fornita per mezzo di valutazioni mediche che attestino inequivocabilmente la condizione di salute del testatore. Si deve tuttavia osservare che nessuna norma impone l’obbligo di ricorrere ad una consulenza psichiatrica per accertare lo stato mentale del testatore, il cui accertamento dipende quindi anche dal quadro medico (se esistente) ma non esclusivamente da esso (Cass. civ. 3496/1969 e Cass. civ. 3680/1974; Cass. civ. 12460/2018); il giudice potrà pertanto valutare gli ulteriori elementi che ritenga idonei, soprattutto quando i dati clinici si rivelino incompleti o tra loro contraddittori. Sul punto la sentenza in esame, allineandosi a quanto già più volte espresso dalla Cassazione, ha ribadito che la prova dell’incapacità può essere data con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni semplici (cfr. anche Cass. civ. 26873/2019 e Cass. civ. 4518/2021).
È importante allora che, ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere del testare al momento della redazione del testamento, il giudice analizzi l’intero contenuto dell’atto di ultima volontà e che tragga anzitutto da esso gli elementi di valutazione “in relazione alla serietà, normalità e coerenza delle disposizioni nonché ai sentimenti ed ai fini che risultano averle ispirate” (cfr. Cass. civ. 5620/1995 e Cass. civ. 8690/2019).
Come è stato osservato, dall’esame dell’atto testamentario possono emergere aspetti rilevanti come anomalie formali, difformità rispetto alle volontà precedenti e modalità di conservazione anomale, i quali, in difetto di una documentazione medica chiara e completa, sono idonei ad indicare l’esistenza di una compromissione delle facoltà cognitive del testatore e a fondare la domanda di annullamento del testamento per incapacità naturale ex art. 591, co. 2, n. 3 c.c..
È infine interessante osservare che l’analisi della volontà testamentaria per accertare la capacità o meno in capo al testatore non è un compito che si svolge unicamente “a valle”, ossia ad opera del giudice durante il giudizio; anche al notaio è richiesto di vigilare “a monte” ogniqualvolta un soggetto lo incarichi del compito di aiutarlo nella formazione dell’atto testamentario.
Chiaramente il notaio non è chiamato a svolgere una valutazione medica del cliente, né è obbligato a richiedere certificati in merito alle sulle condizioni di salute, né può rifiutarsi di predisporre il testamento in attesa di ottenere informazioni sanitarie mediante perizie; è però richiesto che il notaio esamini seriamente – nei limiti degli strumenti fornitigli dalla sua professione – la condizione del testatore al fine di verificare che, anche se di età avanzata, egli possieda ancora la capacità di autodeterminarsi e di comprendere appieno il contenuto e gli effetti dell’atto che vuole porre in essere.
Il notaio potrà rifiutare di ricevere il testamento solo nelle ipotesi di un’incapacità manifesta e comprovata, tale da impedire al soggetto di orientarsi nel tempo, nello spazio e rispetto alle persone ovvero tale non consentirgli di esprimere una volontà coerente e razionale al momento della redazione del testamento (Torroni, La capacità di intendere e di volere nell’attività notarile. Osservazioni casistiche, in Federnotizie, 24/01/2024).
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