La moda nel Metaverso: nuove prospettive e ostacoli per la tutela dei diritti IP
di Aurora Perruzza, AvvocatoNiccolò Ferretti, Avvocato Scarica in PDFIl termine “Metaverso” è ormai entrato a pieno regime nel linguaggio comune degli ultimi tempi. Si tratta di una realtà virtuale condivisa su internet, in cui gli utenti vengono rappresentati attraverso Avatar, che svolgono le attività più svariate e interagiscono tra loro, proprio come nella realtà di tutti i giorni. Un meta-mondo che si presenta, però, tanto allettante quanto insidioso, rendendo sempre più attuale l’esigenza di regolare giuridicamente l’uso che ne viene fatto, tanto dalle imprese che decidono di investire i propri interessi economici in questa nuova dimensione, quanto dagli utenti che ne usufruiscono.
Quello della moda è sicuramente uno dei settori che si sono rivolti al Metaverso con maggiore interesse, con riferimento tanto all’attività di marketing quanto all’offerta in vendita di prodotti digitali nel mondo virtuale. Basti pensare alla “Metaverse Fashion Week”, che si è svolta per la prima volta dal 24 al 27 marzo scorsi sulla piattaforma Decentraland, dove sia le case di moda attive nel settore del lusso sia le società che si dedicano al fast fashion hanno presentato le proprie creazioni nei differenti Fashion District creati per l’occasione, nonché nei pop-up stores presenti sulla medesima piattaforma. Oppure a Gucci, che sulla stessa piattaforma ha aperto Gucci Garden, un vero e proprio giardino virtuale, dove visitare stanze a tema, che rendono omaggio alle più belle campagne pubblicitarie del marchio e in cui gli Avatar dei visitatori possono visualizzare, provare ed acquistare articoli Gucci virtuali. Un contesto affascinante per gli amanti della moda e del digitale, ma che rende imprescindibile la valutazione delle conseguenze giuridiche che ne derivano, soprattutto con riferimento alla tutela della proprietà intellettuale.
Il primo grande interrogativo riguarda la possibilità o meno di garantire tutela anche nel Metaverso a marchi originariamente registrati per determinate categorie di beni “fisici”. Da un lato, si potrebbe ipotizzare un rapporto di affinità con la loro riproduzione virtuale, garantendo tutela anche a questi ultimi sulla base di un’interpretazione estensiva. Eppure, l’atteggiamento delle aziende si è dimostrato fin da subito proattivo (tra le più famose, Nike, Huawei, McDonald’s), vista la tendenza a richiedere l’estensione dei propri marchi alle classi cui possono essere ricondotte le versioni digitali dei corrispondenti beni o servizi, quali le classi 9, 35, 41 e 42 della Classificazione di Nizza. L’EUIPO ha espresso il proprio orientamento interpretativo nel progetto di Direttive 2023, chiarendo che i prodotti virtuali rientrano nella classe 9, in quanto considerati come contenuti digitali o immagini. Con la precisazione che l’espressione “prodotti virtuali” dovrà essere di volta in volta ulteriormente specificata, chiarendo quale sia esattamente il contenuto al quale si riferiscono (ad esempio, abbigliamento virtuale).
In ogni caso, lo scenario che si prospetta, sembrerebbe suggerire alle aziende di prendere in considerazione l’adeguamento dell’ambito di protezione dei propri marchi alla dimensione digitale, a prescindere dall’intenzione di intraprendere attività imprenditoriali in questo senso, al fine di scongiurarne qualsivoglia uso indebito. Emblematico è il caso delle c.d. MetaBirkin, una collezione di circa un centinaio di borse sotto forma di Nft, che riproducono le iconiche Birkin del celebre marchio Hermés, messe in vendita esclusivamente nel Metaverso da un digital designer statunitense al costo di 45 mila dollari l’una. Immediata la reazione di Hermés, che ha citato in giudizio il creativo, contestando la contraffazione del proprio marchio e l’indebito approfittamento della sua notorietà. Ebbene, l’esito di questa vicenda rende chiari i rischi che si possono correre, nel caso in cui un determinato marchio venga utilizzato da terzi nella dimensione digitale del Metaverso, anche quando si tratti di un marchio che non ha bisogno di presentazioni come Hermés. Il Giudice americano, infatti, ha riconosciuto la prevalenza dell’elemento artistico creativo dell’autore, escludendo così ogni forma di contraffazione. C’è da domandarsi se la decisione sarebbe stata la medesima ove la Maison francese fosse stata titolare di specifiche registrazioni dei propri segni distintivi anche con riferimento ai prodotti virtuali.
È evidente, allora, la necessità sempre più stringente, soprattutto per le aziende del settore luxury&fashion, di impegnarsi attivamente, al fine di garantire un’adeguata tutela dei propri diritti di proprietà intellettuale anche nel Metaverso, con la possibilità che intervengano i legislatori, a definire in modo chiaro i confini del lecito utilizzo da parte di terzi di un diritto di proprietà intellettuale altrui, in questa nuova dimensione virtuale.
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