16 Aprile 2024

La liquidazione controllata familiare: condizioni di ammissibilità

di Federica Pasquariello, Ordinario di Diritto commerciale, Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Tribunale di Verona, 13 settembre 2023, Pres. Attanasio; Est. Pagliuca.

Liquidazione controllata – Procedura familiare – Competenza- Apertura – Provvedimenti conseguenti.

Parole chiave: Sovraindebitamento – Liquidazione controllata- Procedura familiare.

Massima:  “Può essere aperta la procedura di liquidazione controllata  unitaria a carico dei sovraindebitati componenti il medesimo nucleo familiare, aventi il medesimo COMI, ferma la separatezza delle rispettive masse attive e passive, detratti i beni strumentali al sostentamento delle persone”.

Riferimenti normativi:  art. 66 c.c.i.

CASO

Cinque persone fisiche sovraindebitate domandano l’apertura di un unitario procedimento di liquidazione controllata del patrimonio, ricorrendo la condizione  della origine comune del debito.

SOLUZIONE

Il tTibunale, ritenuta la propria competenza territoriale, apre la procedura di liquidazione controllata come richiesta, ritenendo che l’art. 66 c.c.i. invocato regoli non solo procedure di concordato minore e ristrutturazione dei debiti del consumatore su base familiare, ma vada applicato anche a procedure di liquidazione controllata. Ferma la separatezza delle masse attive e passive.

QUESTIONI

L’art. 66 c.c.i., che non trova corrispondente nella originaria versione della l. 3/2012 ( ma era stato anticipato dalla l. 176/20, che aveva introdotto l’ art. 7 bis l. 3/2012),  realizza una forma di procedural consolidation in relazione alle procedure di sovraindebitamento che riguardino un debito gravante sui componenti della stessa famiglia; non diversamente da quanto il Codice della Crisi stabilisce, mutatis mutandis, in relazione alle procedure aperte a carico di diverse imprese di gruppo. In ambo i casi, in effetti, si apprezza il disallineamento tra unitaria dimensione economica del debito, da una parte, e  pluralità di soggetti indebitati e plurime responsabilità patrimoniali, dall’altra (F. Pasquariello e Cordiano, in Aa.Vv., La nuova disciplina del sovraindebitamento, dir. da Irrera e Cerrato e coord. da F. Pasquariello, Bologna, 2021, 187).

La prassi  aveva già tentato di approntare forme di ristrutturazione del  debito “della famiglia”, nella ovvia mancanza di autonoma soggettivizzazione della “famiglia”, ma in logica di economia processuale e di salvaguardia della integrità della garanzia dei creditori comuni  ( cfr. Trib. Milano 6.12.2017; Trib. Mantova, 8.10.2018; Trib. Bergamo, 26.09.2018, in  www.ilcaso.it ): in prospettiva socio-economica, poi, risulta(va) evidente l’effetto intrafamiliare di un sovraindebitamento “a catena”, facilmente determinato da eventi quali la crisi dell’attività imprenditoriale svolta da uno dei componenti della famiglia, la perdita del lavoro da parte di uno di essi, lo stato di malattia di un familiare,  ovvero la separazione personale dei coniugi. In questa logica, ognuno vedeva l’inefficienza di imporre a ciascun componente della stessa famiglia di ricorrere ad  una propria, autonoma procedura di sovraindebitamento per ottenere la liberazione da debiti che assai sovente gravano in solido tra i familiari; e ottenerla percorrendo soluzioni che non possono che riflettersi, sul piano fattuale, all’interno della famiglia stessa. In assenza di apposite previsioni normative il coordinamento tra le procedure è stato rimesso ai contenuti concreti  dei singoli piani.  Peraltro, è evidente – e confermato dai provvedimenti presi nella pronuncia ora in commento – che l’attitudine del debitore all’adempimento vada apprezzata sulla base della situazione reddituale dell’intero nucleo familiare, rilevando da un lato la disponibilità di altre fonti di sostentamento provenienti dalla famiglia, e dall’altro altri eventi esogeni  ( e v. l’art. 67 c.c.i., che impone al consumatore che presenta il piano per la ristrutturazione del proprio debito di dare conto, tra l’altro, “e) degli stipendi, delle pensioni, dei salari e di tutte le altre entrate del debitore e del suo nucleo familiare, con l’indicazione di quanto occorre al mantenimento della sua famiglia”; analoga previsione, in relazione al concordato minore, secondo l’art. 75, comma1, lett. e. c.c.i.; si veda infine l’art. 283 c.c.i. sul procedimento per la esdebitazione dell’incapiente, ove occorre stabilire, a cura dell’OCC, la quantificazione  degli stipendi, pensioni e salari personali del debitore e del suo “nucleo familiare”).

Per queste ragioni, e recepita l’espressa delega legislativa sul punto, l’art. 66 c.c.i. prevede  la presentazione di un unico progetto collettivo di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, previa definizione dell’ambito familiare rilevante fissato ricomprendendovi: il  coniuge; i parenti entro il quarto grado; gli affini entro il secondo;  le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto di cui alla legge 20.05.2016, n.76.  La sussistenza di questo rapporto familiare o legalmente rilevante, tuttavia, non è condizione sufficiente per l’accesso a procedura unitaria: per consentire  la fruizione di forme di raccordo procedurale è anche richiesto che i familiari menzionati nella norma siano conviventi, sull’assunto che una soluzione unitaria del sovraindebitamento si lasci consigliare ove la convivenza fisica faciliti la propagazione intersoggettiva dell’insolvenza, come avviene in caso di mutuo per l’acquisto della casa comune; oppure, in via alternativa e non cumulativa, che il sovraindebitamento abbia “un’origine comune”, ossia sussista un intreccio causale del sovraindebitamento, anche  di familiari non conviventi, come si verifica in caso di coobligazione solidale ( ad es., per effetto di un acquisto congiunto di beni relativi ad attività professionale o a bisogni personali) o in  caso di successione ereditaria nei debiti.

Ove un familiare sia imprenditore o professionista,  resta preclusa la soluzione della ristrutturazione col piano del consumatore, e si realizza l’attrazione all’ambito di applicazione del concordato minore, ritenuta di maggior tutela per i creditori, chiamati alla votazione (  così la Relazione illustrativa al c.c.i.). In tal caso, qualche effetto distorsivo potrebbe crearsi, considerando che il consumatore di per sé  è privato dell’accesso al concordato minore ( art. 74 c.c.i.), ma recupera questa possibilità ove risulti coniuge o parente convivente di un imprenditore sovraindebitato. Non altrettanto accade  se lo stesso soggetto fosse  coniuge o parente convivente di un imprenditore individuale pure in crisi ma non minore, giacché in tal caso l’accesso al concordato preventivo non può attrarre anche i familiari.

Potrebbe poi presentarsi il caso che il debito “della famiglia” si sovrapponga e si intrecci ad un debito riferibile a società personalistica a base familiare: va allora escluso che  possa avere luogo un unico accordo che riguardi società e soci  familiari in proprio,  poiché all’evidenza non può essere superato il dato della esistenza di un ulteriore centro di imputazione di rapporti obbligatori – la società. Per ragioni di utile opportunità,  può invece essere disposta la riunione di  procedura di liquidazione controllata della società e dei suoi soci in proprio, quali familiari ( cfr. Trib. Ravenna, 3.03.2021, in www.ilcaso.it). Evidentemente, ai fini della piena applicazione della norma in commento, va escluso che un familiare sia imprenditore commerciale soprasoglia: in questo caso, egli potrà accedere a concordato preventivo ovvero essere sottoposto a liquidazione giudiziale, con necessario raccordo punto per punto e volta per volta con l’eventuale piano unitario degli altri membri della famiglia o con le singole procedure di sovraindebitamento aperte per loro, coordinamento particolarmente necessario in caso di beni cointestati o ricompresi nel regime di comunione matrimoniale ( comunione, peraltro, sciolta automaticamente, secondo l’art. 191 c.c.).

Occorre poi richiamare, ai fini della corretta ricostruzione del profilo soggettivo di ciascun componente della famiglia ( se consumatore o no) tutta l’elaborazione intorno al tema della espansione al debito di firma del medesimo titolo – consumieristico ovvero imprenditoriale – del debito garantito, secondo il meccanismo c.d. del riflesso o del rimbalzo, che a sua volta  trae spunto dalla natura accessoria delle obbligazioni del fideiussore (a far tempo da Corte Giustizia CE, 17.03.98, c-45/96; e di seguito cfr. Cass. 25212/2011; nel merito, cfr. Trib. Milano 16.05.2015,www.ilcaso.it);  questo orientamento è oggi in via di superamento ( Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari, Milano, 2013, 61), anche sulla scorta del rilievo che  il collegamento negoziale potrebbe operare, sì, sul piano oggettivo, ma non necessariamente su quello soggettivo dell’agire delle persone (Coll. Coord. ABF,  8.06.2016, n. 5368). Sulla base di tali rilievi tende dunque ad affermarsi, tanto a livello unionistico (Corte di Giust. 19.11.15, C74-15,  NLCC., 16,1119, con commento di Renna) quanto domestico (Trib Bologna, 21.11.2017, in www.ilcaso.it; ma in senso contrario, e quindi ancora per la regola per cui la qualità del debitore principale attrae quella del fideiussore v. Trib. Treviso, 21.12.2016, in dejure.it), la prassi di affidare alla ricognizione del caso concreto la valutazione sul carattere consumieristico dell’obbligazione di garanzia, stimando gli elementi di fatto idonei a verificare se vi siano collegamenti funzionali tra garanzia prestata e debito, ove il fideiussore non abbia sottoscritto l’atto di coobbligazione nella veste di professionista e risulti estraneo all’attività imprenditoriale esercitata dal debitore principale. E così, a seconda che  emerga  “uno schema di sostegno solidaristico” personale o familiare (  così Cass. 1069/2016), o invece vi sia condivisione di un comune interesse di natura imprenditoriale, sarà dato diluire ovvero valorizzare l’elemento dell’accessorietà.

Benché poi la lettera della norma sembra voglia sottintendere la diretta applicazione solo a concordato minore e ristrutturazione dei debito del consumatore, poiché si fa riferimento ad un “progetto di risoluzione della crisi”, la pronuncia in commento ha applicato la normativa ammettendo  una liquidazione controllata familiare ( in questo senso Trib. Bologna, 24.12.2021; Trib. Mantova, 31.05.2021; Trib. Verona, 12.05.2021; in senso contrario Trib. Rimini, 11.02.2022; Trib. Udine, 18.05.2021, tutte in www.ilcaso.it). Questa soluzione risulta maggiormente coerente con la ratio dell’intervento riformatore e, d’altronde, non incontra significativi ostacoli interpretativi.

Per la ristrutturazione del debito di dimensione familiare è possibile percorrere due alternative: avviare un’unica procedura, oppure, dare luogo separatamente a procedure autonome, da raccordare sul piano processuale. La formulazione letterale della norma ( al pari, peraltro, dell’art. 7 bis l 176/20) può peraltro lasciare intendere che le condizioni della convivenza ovvero della solidarietà per debiti di origine comune vadano soltanto riferite alla procedura unitariamente concepita (commi da 1 a 3), per la quale sono testualmente enunciate; e che possano pure mancare in caso di pluralità di procedura solo da raccordare ( comma 4).

In caso di procedure autonome separatamente avviate, sul piano del raccordo procedurale, è stabilita l’attrazione ad un unico Foro e OCC competenti, individuati con il criterio del prior in tempore del Tribunale adito per primo. Il criterio, che prescinde quindi da quelli generali sul COMI del debitore persona fisica ( e cfr. art. 27, comma 3, c.c.i.) è dettato da un’evidente logica di semplificazione; ma potrebbe avallare scelte opportunistiche di scelta del Foro, ritenuto più favorevole. E potrebbe aprire all’incertezza sulla precisa individuazione del giudice che sia stato  “adito” per primo: ponendosi il dubbio se si riferisca alla presentazione della domanda o sia necessario il provvedimento di apertura della procedura; tuttavia sul piano testuale la prima interpretazione pare senz’altro preferibile. Ove la norma in commento suggerisce al giudice di adottare per le procedure familiari “i necessari provvedimenti per assicurarne il coordinamento”, la soluzione è per certi versi analoga a quella che può essere praticata da un lato nel raccordo tra le procedure della società di persone e dei suoi soci, secondo l’art. 256 c.c.i.; dall’altro, dal generale meccanismo processuale  della riunione ( peraltro, non sovrapponibile al principio di trattazione unitaria delle domande di accesso a strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui all’art. 7 c.c.i.). Resta non chiarito se i provvedimenti in parola possano essere disposti d’ufficio o necessitino dell’istanza di parte, ma questa seconda opzione pare preferibile, considerato il carattere eminentemente spontaneo e non coattivo dell’accesso stesso alle procedure; in tal senso depone pure la lettura della Relazione illustrativa alla norma ( che nei casi “in cui è auspicabile –se non necessaria- una gestione ed una soluzione unitaria del problema- è possibile presentare un unico progetto di risoluzione della crisi e si è previsto che il giudice, qualora le richieste non siano contestuali, adotti i provvedimenti più idonei per assicurare il coordinamento delle procedure collegate”). In effetti, dalla riunione potrebbero pure scaturire maggiori costi, oppure, la riunione potrebbe essere sgradita ad alcuni familiari e non vi è ragione di imporre questa soluzione processuale, dove l’intento della normativa è invece agevolare il debitore; in questo senso v. Trib. Verona, 12.5.2021 e Trib. Ivrea, 3.03.2022, in www.ilcaso.it.

Nel caso di specie si era invece optato per una procedura unitaria: la competenza territoriale del Tribunale di Verona sussisteva senz’altro, poiché tutti e cinque i ricorrenti presentavano residenza ( e quindi, COMI) all’interno del rispettivo circondario. Diversamente, in mancanza di indicazione di un criterio di competenza  per individuare il Foro destinato a prevalere quando il ricorso sia unitariamente proposto da familiari non conviventi, ma residenti in circoscrizioni diverse, dovrebbe risultare consentita la scelta dei ricorrenti per uno dei Fori che sarebbero rispettivamente competenti per le procedure, se separatamente avviate.

Inoltre, in forza del rinvio operato dall’art. 65 c.c.i. alle procedure maggiori, salvo il vaglio della compatibilità ( e salva la diversa specifica previsione in materia di sovraindebitamento), il provvedimento in commento ritiene di applicare ai ricorrenti l’onere di produzione documentale, come prevista dall’art. 39 c.c.i. nell’ambito del procedimento unitario per l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi o a liquidazione giudiziale.

L’art. 66 c.c.i., poi, non indica un criterio per sopperire al riscontro di requisiti ostativi per l’accesso a procedura, in relazione ad uno dei familiari, come nel caso che uno di essi risulti avere  già beneficiato per due volte dell’esdebitazione o abbia determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode: ma pare giocoforza, in tal caso,  ritenere preclusa  l’intera domanda proposta. Va anche osservato che, mentre il requisito della meritevolezza soggettiva del debitore ai fini del suo accesso al piano vada necessariamente rilevato su base individuale ed in relazione a ciascun membro della famiglia, invece il profilo della convenienza del piano va apprezzato complessivamente ( Pellecchia e Modica, La riforma del sovraindebitamento, 2020, 51): occorre cioè verificare il “vantaggio per tutti i creditori rispetto alla sola alternativa liquidatoria” ( Trib. Verona, 2.05.2022, www.ilcaso.it).

In ossequio al principio sulla personalità della responsabilità patrimoniale – art. 2740 c.c. – non è praticabile la riunione in pool dei valori attivi e passivi, in ottica di consolidamento sostanziale; ed è affermata quindi la necessità che sia tenuta ferma la separatezza delle masse attive e passive. In altri termini, la procedura familiare realizza una trattazione congiunta ma non unitaria della crisi dei membri della stessa famiglia. Questo principio, opportunamente richiamato nella pronuncia in commento,  è testualmente affermato dalla norma e univocamente applicato in giurisprudenza  (Trib. Novara, 25.07.2017, Onelegale; Trib. Milano, 6.12.2017,con nota di Benvenuto, Sovraindebitamento: l’accordo di composizione della crisi “di famiglia”,in www.ilFallimentarista.it; Trib. Napoli, 1.07.2020, in Fallimento, 2021, 683); esso, peraltro, è del tutto coerente con la regolazione delle procedure concorsuali aperte a carico di società legate da rapporto di gruppo, secondo gli artt.  284, comma 3 e 287, comma1, c.c.i.  Occorre, dunque, in caso di concordato, procedere a votazioni separate dei creditori dei singoli debitori sovraindebitati ed il raggiungimento della maggioranza va verificato per ciascuno di loro ( Trib. S.M. Capua Vetere, 16.02.2022, in www.ilcaso.it); e pure i riparti nelle liquidazioni devono tenere conto della separatezza ( Trib. Bologna, 21.12.2021, in www.ilcaso.it).

Occorre infine considerare che non è necessaria l’assistenza tecnica di un difensore in relazione alla procedura di piano e di liquidazione, mentre il patrocinio è obbligatorio nel concordato minore ( cfr. artt. 9, 68 e 269 c.c.i.): la medesima regola vale, ovviamente, in caso di unitaria procedura familiare. Dove la norma prevede che il compenso dell’OCC è ripartito tra i componenti della famiglia in funzione del rispettivo debito, risulta corretto applicare non solo un criterio quantitativo, ma forse anche un parametro qualitativo, che pesi l’importanza delle voci di debito sul ménage familiare ( cfr. F. Pasquariello e Cordiano, op. cit., 220). Il medesimo criterio potrebbe essere applicato in relazione al criterio di ripartizione degli ulteriori costi della procedura a carico delle diverse masse.

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