La legittimazione dell’associazione professionale all’insinuazione al passivo
di Francesca Scanavino, Avvocato e Assistente didattico presso l’Università degli Studi di Bologna Scarica in PDFCassazione civile, Sezione VI – 1, Ordinanza n. 23489 del 27 ottobre 2020.
Parole chiave: insinuazione al passivo – fallimento – professionista – associazione professionale – legittimazione attiva –
Massima: ai fini della legittimazione dell’associazione professionale all’insinuazione al passivo, spetta al giudice di merito verificare se l’ordinamento interno e l’amministrazione dell’associazione professionale attribuiscano all’associazione stessa la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati.
Disposizioni applicate: articoli 36 c.c., 2751 bis n. 2 c.c.
La controversia muove dal rigetto dei un’istanza di ammissione al passivo – avanzata da uno Studio legale romano per un credito concernente le prestazioni professionali svolte da alcuni Avvocati membri dello Studio – motivato sulla scorta della mancata allegazione dell’avvenuta cessione del credito da parte dei professionisti all’associazione istante, la quale dunque non risultava legittimata a presentare l’insinuazione.
Il Tribunale di Catania, a seguito dell’opposizione proposta, aveva rilevato il persistere della mancata dimostrazione della legittimazione ad agire dello Studio associato opponente, anche in ragione del fatto che l’intestazione delle fatture allo Studio professionale non risultava prova sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo all’associazione professionale.
Al fine di ottenere la cassazione del decreto di rigetto dell’opposizione, lo Studio legale ha pertanto proposto ricorso, deducendo che l’attività professionale nella quale trovava titolo il credito dedotto in giudizio era di per sé sufficiente ad escludere il conferimento di un mandato impersonale all’associazione e lasciava invece presumere che l’associazione professionale avesse chiesto l’ammissione quale cessionaria del credito dei singoli associati.
A dimostrazione di tale tesi, il ricorrente riportava alcune pronunce della Suprema Corte (Cass. 8974/2016, Cass. 4486/2015, Cass. 17207/2013 e Cass. 22439/2009) nell’ambito delle quali si era ritenuto che l’iniziativa processuale assunta da un’associazione professionale lasciasse presumere l’avvenuta cessione in suo favore del credito di pertinenza del professionista.
Tuttavia, i casi richiamati riguardavano unicamente fattispecie in cui, una volta riconosciuta la legittimazione dell’associazione professionale tramite l’ammissione del credito al passivo, rimaneva da vagliare la questione attinente al riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 2 c.c.; nel caso di specie, invece, non vi era prova della legittimazione attiva dell’associazione professionale a reclamare il compenso per l’attività svolta dai propri membri.
A tal riguardo, occorre allora rammentare il fatto che sussiste la legittimazione attiva dello Studio professionale – che potrà quindi porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici – laddove il giudice di merito accerti che, conformemente all’art. 36 c.c., l’ordinamento interno e l’amministrazione dell’associazione professionale attribuiscano all’associazione stessa la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati (cfr. Cass. 15694/2011, Cass. 4268/2016 e Cass. 15417/2016).
Si badi, però, che ciò non significa che i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività trasferiscono per ciò solo all’associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d’opera, conservando infatti la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente (Cass. 6994/2007, Cass. 13042/2003).
È pertanto compito del giudice di merito stabilire in concreto il tenore dello statuto interno dell’associazione medesima, onde consentire di desumere da questo accertamento la prova della legittimazione attiva dell’associazione.
Nel caso di specie, pertanto, avendo il Tribunale di Catania ritenuto che lo Studio non avesse prodotto prove sufficienti a dimostrare la propria legittimazione attiva, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.
Muovendo da tale caso, si vuole altresì osservare che, anche laddove lo Studio professionale fosse riuscito a dimostrare la propria legittimazione all’insinuazione, altra questione sarebbe stata quella relativa al riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 2 c.c..
Per ottenere il suddetto previlegio, infatti, occorre accertare se il cliente abbia conferito l’incarico al singolo professionista ovvero all’entità collettiva nella quale questi è organicamente inserito quale prestatore d’opera qualificato: “nel primo caso il credito ha natura privilegiata, in quanto costituisce in via prevalente remunerazione di una prestazione lavorativa resa personalmente dal professionista, che rimane unico titolare dell’attività affidatagli ed esclusivo responsabile della stessa nei confronti del cliente, mentre nel secondo ha natura chirografaria, perché ha per oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un’attività che è essenzialmente imprenditoriale. Neppure rileva che, in virtù del sottostante patto associativo, il credito privilegiato sia stato eventualmente ceduto all’entità collettiva costituita per la gestione in comune dei proventi dell’attività dei singoli associati: va infatti considerato, per un verso, che i costi necessari all’autonomo svolgimento della professione sono coperti dalla retribuzione anche nel caso in cui lo studio è nell’esclusiva titolarità di colui che ha eseguito la prestazione, e, per l’altro, che la cessione non incide sulla natura del credito e non lo fa degradare a chirografo ma, al contrario, legittima lo stesso studio associato a far valere il diritto al privilegio (Cass. nn. 18455/011, 11052/012)” (Cass. civ., Sez. I, Sent., 05/03/2015, n. 4486).
Infine, si evidenzia come ai fini di dimostrare la natura personale della prestazione svolta dal professionista ed ottenere il privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c. “non rileva tanto verificare chi abbia emesso le fatture o parcelle, perché questi compiti competono allo studio associato, ma a chi sia stato affidato l’incarico” (Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 12/06/2018, n. 15290).