16 Gennaio 2018

La legittimazione del creditore pignorante ad agire per la divisione della quota del debitore esecutato

di Livia Di Cola Scarica in PDF

Trib. Torre Annunziata, 20 luglio 2016 (sent.) – Giudice unico, Michele Di Martino

Divisione endoesecutiva – Legittimazione ad agire – Accettazione tacita dell’eredità (c.p.c. artt. 601 ss.; 784 ss.; c.c. art. 485)

[1] Prima di procedere con la domanda di divisione endoesecutiva non è obbligatorio il tentativo di mediazione.

Quando il processo di divisione è lo sviluppo del procedimento di esecuzione su di una quota indivisa, il giudizio si svolge davanti al giudice dell’esecuzione, che per l’occasione assurge al ruolo di giudice della cognizione.

Da un lato, i due procedimenti rimangono autonomi, perché soggettivamente e oggettivamente distinti; dall’altro, Il creditore pignorante ha legittimazione ad agire per la divisione se ha la qualità di creditore di un condomino. In caso di divisione di un patrimonio ereditario, la qualità di condomino e, quindi, di condividente non può ritenersi sussistente in capo al chiamato all’eredità che si sia limitato a compiere dei meri atti conservativi del patrimonio ereditario, senza accettare l’eredità.  

CASO

[1] Il Giudice dell’esecuzione, sul presupposto dell’impossibilità di realizzare una congrua separazione della quota della debitrice esecutata, sospendeva la procedura esecutiva e disponeva che si procedesse ai sensi dell’art. 601 c.p.c. alla divisione della quota di sua spettanza.

I creditori pignoranti instauravano giudizio di divisione senza procedere al previo tentativo di mediazione; essi chiedevano al Tribunale preventivamente la dichiarazione della qualità di eredi dei due chiamati all’eredità e la conseguente divisione delle quote ereditarie di loro pertinenza.

Si costituiva in giudizio il presunto condividente non debitore, eccependo, tra l’altro l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione e l’insussistenza della qualità di erede dell’altra chiamata all’eredità, per non aver questa proceduto all’accettazione, neppure tacita dell’eredità.

SOLUZIONE

[1] Il giudice ha respinto l’eccezione di improcedibilità per mancato esperimento del tentativo di conciliazione, ma, in conclusione, ha dichiarato improcedibile la domanda di divisione per mancata accettazione dell’eredità da parte del debitore esecutato.

QUESTIONI

[1] Le soluzioni adottate dal giudice sono in parte condivisibili.

In primo luogo, viene respinta l’eccezione di improcedibilità per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Per legge sono esclusi dall’applicazione del tentativo obbligatorio di mediazione i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata: tra di essi la giurisprudenza di merito annovera il giudizio di divisione endoesecutiva (ex multis, Trib. Prato (ord.) 9 maggio 2011).   Ebbene, se la ratio della detta esclusione è quello di evitare che le lungaggini degli incidenti di cognizione siano eventualmente aggravate da inutili tentativi di mediazione tra i soggetti partecipanti all’esecuzione, in questo caso, invece, l’esperimento della mediazione potrebbe avere l’effetto opposto. I condividenti non esecutati, infatti, potrebbero avere interesse a porre fine alla comunione rapidamente e la mediazione potrebbe essere un valido strumento a loro disposizione.

La domanda viene considerata improcedibile perché manca la legittimazione ad agire del creditore pignorante. Infatti, pur essendo il procedimento esecutivo ed il procedimento di divisione tra di loro soggettivamente ed oggettivamente distinti, la legittimazione ad agire in divisione concessa al creditore pignorante è funzionalmente finalizzata al buon esito dell’esecuzione forzata. Perciò, il creditore pignorante ha la legittimazione se il debitore esecutato ha la qualità di condomino-condividente.

In caso di divisione ereditaria se il debitore non accetta espressamente o tacitamente l’eredità, egli non può definirsi condomino e, conseguentemente non può ritenersi legittimato ad agire il suo creditore pignorante.

In proposito, secondo la giurisprudenza (Cass. 27 luglio 2009, n. 17462; Id. 20 settembre 2007, n. 19478), l’immissione nel possesso dei beni ereditati non equivale di per sé sola ad accettazione dell’eredità, tenuto conto che potrebbe dipendere da un mero intento conservativo del chiamato o da tolleranza da parte degli altri chiamati.