La giusta causa di revoca di un amministratore deve essere esplicitata nella delibera statutaria
di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Bologna – sentenza n. 167 del 1/2/2023
Parole chiave: amministratore – socio – società di capitali – ineleggibilità – recesso – revoca –
Massima: “In tema di revoca dell’amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383 c. 3° c.c.– dettato in tema di s.p.a. ma applicabile in via analogica anche agli amministratori di s.r.l. – devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie”.
Disposizioni applicate: 2473 c.c., 2468 c.c., 2383 c.c.
Con il giudizio in esame l’attore, socio di minoranza ed ex amministratore di una S.r.l., ha convenuto in giudizio la società chiedendo al Tribunale delle Imprese di Bologna di accertare (i) l’illegittimità delle delibere assembleari con cui è stata disposta la revoca dalla sua carica di amministratore e (ii) la conseguente legittimità del proprio recesso dalla società per giusta causa o, in alternativa, ad nutum, con conseguente condanna della medesima al pagamento della somma complessiva di Euro 71.551,98.
A sostegno delle proprie domande l’attore ha dedotto che, a seguito delle dimissioni rassegnate da due amministratori, l’assemblea dei soci aveva dichiarato, in assenza di una clausola statutaria “simul stabunt simul cadent” e senza il suo consenso, la decadenza dell’intero C.d.A., nominando un nuovo organo gestorio.
Di conseguenza, l’attore aveva formalizzato il proprio recesso dalla società, ai sensi degli artt. 2473 e 2468 c. 4° c.c., assumendo che la delibera di revoca lo aveva privato del suo unico emolumento, così provocando una rilevante modificazione dei suoi diritti di socio ex art. 2468, c. 4° c.c. (configurando quindi un recesso per giusta causa) e che, in ogni caso, la società, ancorché avente una durata fino al 2050, doveva ritenersi costituita, di fatto, a tempo indeterminato, trattandosi di durata trascendente la normale aspettativa di vita e di lavoro dei soci (configurando quindi un recesso ad nutum).
Con il decreto in esame, il Tribunale delle imprese di Bologna ha innanzitutto rilevato che lo statuto della società convenuta effettivamente non prevedeva una clausola “simul stabunt simul cadent”, ossia una simultanea caducazione di tutti gli amministratori per il venir meno della sua originaria composizione a seguito, ad esempio, di dimissioni rassegnate da qualcuno dei suoi componenti.
Tuttavia, la delibera impugnata doveva ritenersi valida, atteso che, secondo l’art. 2383, co. 3, c.c. – dettato in tema di s.p.a. ma applicabile in via analogica anche agli amministratori di s.r.l. – “gli amministratori […] sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa”.
La giusta causa indicata da tale norma non costituisce, infatti, una condizione di validità e/o di efficacia della deliberata revoca, ma solo una causa di esclusione del risarcimento del danno eventualmente sofferto dall’amministratore ingiustamente ed arbitrariamente revocato.
Al riguardo, il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità la quale afferma che “in tema di revoca dell’amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c., devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie” (cfr. sent. Cass. n. 2037/2018).
Poiché la delibera impugnata era priva di causa, il Tribunale ha quindi accolto la domanda risarcitoria attorea, evidenziando che il danno risarcibile deve essere parametrato, in via equitativa, all’emolumento che l’amministratore avrebbe conseguito dalla prestazione gestoria nell’arco di sei mesi, quale lasso di tempo ragionevolmente idoneo a consentire all’amministratore revocato di trovare nuovi incarichi od analoghe prestazioni e compensi (cfr. Cass. Civ. n. 23557/2008; Sent. Trib. Milano, 9.6.2021, n. 4898).
Quanto invece alla dedotta legittimità del recesso, il Tribunale non ha ravvisato alcuna causa, convenzionale/statutaria e/o legale, idonea a legittimare l’exit dell’attore.
Ciò in quanto l’art. 2468 4° c.c. fa riferimento a diritti particolari in materia di amministrazione della società o di distribuzione degli utili che, però, devono essere attribuiti ad un socio nell’atto costitutivo o, successivamente, con una specifica modifica statutaria, circostanze entrambe non presenti nel caso di specie, con conseguente esclusione di una giusta causa di recesso.
Inoltre, la previsione statutaria di un termine di durata della società fino all’anno 2050 non comportava una oggettiva eccedenza dell’operatività ordinariamente prevedibile da una società di capitali (35 anni nel caso di specie), né esorbitava rispetto alle aspettative di vita dei soci, atteso che, nell’anno 2050, l’attore avrebbe compito 77 anni.
Al riguardo il Tribunale ha osservato che il primo orientamento della Corte di Cassazione in materia – secondo il quale in tema di S.r.l., la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale anche per un soggetto collettivo, ne determina l’assimilabilità ad una società a tempo indeterminato; così Cass. civ., 22 aprile 2013, n. 9662 – è stato poi superato da un orientamento più restrittivo, secondo cui “il socio di recedere ad nutum solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo, in quanto deve essere valorizzato il dato testuale della disciplina del recesso ex art. 2473 c.c. e poiché prevale, sull’interesse del socio al disinvestimento, l’interesse della società a proseguire la gestione del progetto imprenditoriale e dei terzi alla stabilità dell’organizzazione e all’integrità della garanzia patrimoniale, offerta esclusivamente dal patrimonio sociale”(così Cass. civ., sez. I, ord., 5 settembre 2022, n. 26060).
Alla luce delle suddette considerazioni, il Tribunale delle Imprese di Bologna ha quindi accolto la domanda attorea, ma solo limitatamente alla richiesta risarcitoria conseguente alla revoca dell’attore dall’incarico di amministratore, risarcimento quantificato in Euro 4.500,00 pari al compenso che avrebbe percepito per la prestazione gestoria in un arco temporale di sei mesi.
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