La forza “cogente” del regolamento di condominio
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFLa recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione 2^, numero 10272 del 18.5.2016, consente di affrontare un argomento che si presenta ancora “spinoso” nella materia condominiale riguardante la cogenza del regolamento di condominio.
La materia condominiale è governata da regole precise le cui fonti possono sinteticamente ricondursi a: la legge, il regolamento di condominio, le delibere dell’assemblea.
Secondo le previsioni di legge, articolo 1138 c.c., il regolamento di condominio risulta obbligatorio in presenza di un numero di condomini superiori a dieci.
La norma rappresenta anche quale debba essere il contenuto del regolamento, individuandolo: “norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese…, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione”.
Peraltro, la legge si preoccupa di determinare le modalità di formazione e revisione del regolamento, stabilendo che ciascun condomino prenda l’iniziativa di provvedervi, salva la successiva ratifica, attraverso l’approvazione assembleare.
Parimenti, ai sensi dell’articolo 1107 c.c., ciascun condomino “dissenziente” e/o assente può impugnare il regolamento, rispettivamente entro il rigoroso termine di trenta giorni dall’approvazione e/o dalla comunicazione della delibera.
In assenza di impugnazione, la norma sancisce l’efficacia vincolante del regolamento: “anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti”.
Infine, sempre l’articolo 1138, all’ultimo comma, chiarisce i limiti del regolamento, specificando che le norme in esso contenute non possono menomare in alcun modo i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 119, 1120, 1129, 1131,1132,1136 e 1137 (68,70,71,72 dips att. c.c.).
Il legislatore si preoccupa di garantire l’assoluta inviolabilità di alcune specifiche disposizioni, come sopra individuate, con un’espressione cogente: “in nessun caso si possono derogare…”, dettando così, un limite per così dire “invalicabile.
Evidente l’esigenza di assicurare al condominio una trasparenza nella gestione dell’attività organizzativa, attraverso la conoscibilità delle sue regole anche da parte di coloro che non hanno partecipato alla materiale approvazione del regolamento che, tuttavia, devono essere consapevoli delle regole che regolano il fabbricato, potendo veicolare le preferenze nell’acquisto di un bene immobile anche in ragione delle regole che governano il fabbricato.
Unitamente alla tipica formazione assembleare del regolamento, la dottrina di preoccupa di precisare che esiste un’altra tipologia regolamentare, costituita dal cosiddetto “regolamento contrattuale”, la cui cogenza assume tipiche specificità, attesane la formazione dello stesso, a cura dello stesso unico originario proprietario dell’edificio e l’accettazione da parte dei singoli condomini nei rispettivi atti di acquisto.
Da sempre si è ritenuta la differente valenza delle due tipologie regolamentari, non già in ragione del contenuto, ma delle fattispecie che ne prevedono la modifica e /o revisione, ponendosi l’accento sull’immodificabilità del regolamento contrattuale, se non attraverso l’unanimità dei consensi e quello assembleare, attraverso le maggioranze, così come previste dall’articolo 1136 c.c.
La recente pronuncia della Cassazione del 2016 assume particolare rilievo in quanto consente di rilevare la forza espansiva cogente del regolamento, anche oltre le previsioni di cui all’articolo 1120 c.c. in materia di innovazioni, già di per sé pregnanti e definite dalla legge.
Infatti nella fattispecie che si commenta, il ricorrente lamentava la nullità del regolamento condominiale, nella parte in cui aggravava le previsioni regolamentari in materia di innovazione, stabilite dal codice civile all’articolo 1120 c.c., proibendo: “la realizzazione di lavori interessanti l’uniformità esteriore dei singoli fabbricati”.
L’impugnante assumeva l’assoluta genericità della previsione regolamentare, rilevandone l’illiceità, senza tuttavia rimarcare alla Corte, almeno secondo l’analisi di chi scrive, se il regolamento avesse inficiato la previsione dell’ultimo comma dell’articolo 1138 c.c., sull’assoluta inderogabilità, anche in senso di renderla più gravosa, dell’articolo 1120 c.c..
La Suprema Corte di Cassazione, sulla base delle regole di autosufficienza del ricorso, esaminando le censure del ricorrente rimarca ancora una volta, l’insegnamento costante della propria giurisprudenza secondo la quale: “il regolamento di condominio può legittimamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’articolo 1120 c.c., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento delle sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva (tra le varie, Sez. 2^ n.1748/2013; Sez. 2^ n.11121/99; Sez. 2^ n.8883/05).
Se ne deduce che la regola di assoluta immodificabilità dell’articolo 1120 c.c.,dettata dall’articolo 1138 c.c. ultimo comma, possa circoscriversi al contenuto minimo di inderogabilità e non al massimo, nel senso che, seguendo, l’insegnamento della Cassazione, il regolamento potrà dare dei limiti maggiori rispetto a quelli dettati dal legislatore in una sorta di previsione standard.
Se applicata su larga scala, il principio della Corte, può paragonarsi analogicamente al contenuto della clausola risolutiva espressa per esempio nell’ambito della risoluzione dei contratti di locazione, in presenza della quale, il giudice non è tenuto a verificare il contenuto del “grave inadempimento” ai fine della pronuncia di risoluzione del contratto ipso iure, dovendosi solo limitare l’indagine alla sussistenza dell’esercizio e delle condizioni della clausola medesima 1456 c.c.
Operata la simmetria alla fattispecie in esame ed affermato il principio, secondo il quale: l’interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione di canoni di ermeneutica o vizi logici (tra le tante Sez. 2^ n.17893/09; Sez. 2^ n.1406/07; Sez. 2^ n.9355/00), il giudice del merito, non sarà più tenuto a valutare concretamente se si sia verificata una vera e propria alterazione del decoro architettonico, nelle ipotesi in cui – come nella fattispecie esaminata – il regolamento avesse proibito a monte “la realizzazione di lavori interessanti l’uniformità esteriore dei singoli fabbricati”.
Pertanto, risulta ipotizzabile che una migliore tutela del decoro architettonico del condominio – concetto in genere “sfumato” ed ancorato a valutazioni spesso soggettive e non concretamente obiettive – possa essere realizzata attraverso previsione di clausole ad hoc del regolamento medesimo, che limitino tout court le innovazioni, oltre le previsioni di cui all’articolo 1120 c.c., subordinando comunque l’opera all’eventuale autorizzazione dell’assemblea.
Sempre la medesima sentenza si rivela di interesse per il giurista, in quanto la Corte rimarca la “regola di diritto”, seconda la quale: “ le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente motivata… ( tra le tante: Sez. 1^ n.5148/11; Sez. 1^ n.19661/2006; Sez. 1^ n.13468/00; Sez. 1^ n.333/99).”