20 Giugno 2023

La formazione del c.d. giudicato interno sulla qualificazione giuridica della fattispecie

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. III, 8 maggio 2023, n. 12159, Pres. Scoditti – Est. Pellecchia

[1] Giudicato interno sulla qualifica in termini di fatto illecito ex art. 2043 c.c. – Presupposti – Insussistenza di controversia sulla qualifica in primo grado – Diversa qualificazione giuridica da parte del giudice d’appello – Ammissibilità – Fattispecie

Il giudicato interno sulla qualificazione della fattispecie come fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c. si forma, in mancanza di impugnazione incidentale, soltanto se su tale questione sia insorta controversia, potendo altrimenti il giudice d’appello qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto alla prospettazione delle parti o alla ricostruzione del giudice di primo grado. 

CASO

[1] Una s.r.l. conveniva in giudizio, davanti al giudice di pace, la Regione Marche allo scopo di vederla condannare al risarcimento dei danni subiti in occasione di un sinistro occorso a causa di un animale selvatico che, improvvisamente, aveva attraversato la strada.

La sentenza di accoglimento emessa dal giudice di pace veniva impugnata davanti al Tribunale di Macerata il quale, premettendo l’applicabilità al caso in specie dell’art. 2043 c.c., accoglieva l’appello, ritenendo che l’appellata non avesse adeguatamente assolto al proprio onere probatorio.

Avverso tale pronuncia la s.r.l. ricorreva per cassazione lamentando, per quanto di interesse ai fini del presente commento, violazione o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 2052 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3) c.p.c.: secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe erroneamente escluso l’applicazione al caso di specie del titolo di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., pur prendendo atto del recente revirement della giurisprudenza di legittimità nella materia in esame.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione giudica fondato il motivo proposto.

La Suprema Corte in prima battuta nega l’avvenuta formazione del giudicato interno sulla qualificazione del sinistro verificatosi ai sensi dell’art. 2043 c.c.: ciò che le consente di affermare che la norma destinata a trovare applicazione nel caso di specie – e che avrebbe dovuto essere applicata dal Tribunale di Macerata – sia rappresentata dall’art. 2052 c.c.

Il giudizio del giudice di appello, all’opposto, risulta essersi svolto seguendo il paradigma dell’art. 2043, come si evince dal riferimento alla condotta colposa della convenuta, reputata insussistente.

Applicando alla fattispecie la disciplina di cui all’art. 2052 c.c., viceversa, il risultato sarebbe stato l’opposto: in relazione al profilo della condotta colposa della parte danneggiata, infatti, posto che fatto costitutivo della responsabilità ex art. 2052 c.c. è, unitamente al danno, l’esistenza del nesso di causalità, l’efficienza eziologica della condotta del danneggiato è fatto impeditivo del nesso eziologico che in termini di onere della prova incombe sul danneggiante dimostrare, per cui ove il fatto rimanga ignoto (come nel caso di specie) le conseguenze sfavorevoli del relativo mancato accertamento ricadono sul danneggiante e non, come ha invece valutato il giudice del merito, sul danneggiato.

Conseguentemente, la Corte, in accoglimento di tale motivo di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata, come in motivazione, e rinviato, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Macerata in diversa composizione.

QUESTIONI

[1] La questione decisa dalla Cassazione riguarda l’avvenuta formazione, nel caso di specie, del giudicato interno sulla qualificazione giuridica della fattispecie occorsa ai sensi dell’art. 2043 c.c., e la conseguente possibilità di applicare, nel giudizio di appello, la (corretta) disciplina di cui al successivo art. 2052.

Si tratta, con tutta evidenza, di questione dirimente nel caso di specie, in quanto solo negando l’integrazione di un giudicato interno sulla qualificazione del sinistro ai sensi dell’art. 2043 c.c., è possibile sindacare la decisione del giudice di seconde cure, che ha accolto l’appello (e, conseguentemente, rigettato la domanda risarcitoria) proprio ragionando sulla base della responsabilità ex art. 2043 c.c., e sui relativi oneri probatori.

A tale riguardo, correttamente la Suprema Corte definisce i requisiti necessari per la formazione del giudicato interno.

Ovviamente, in primo luogo, occorre che sulla qualifica in termini di fatto illecito ex art. 2043 c.c. non sia stato formulato un apposito motivo di appello: il che, per definizione esclude la formazione del giudicato (in tal senso, su un caso analogo a quello di specie, Cass., 11 novembre 2020, n. 25280, la quale ha affermato che “sulla qualificazione dell’azione quale proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., si è formato giudicato interno, non risultando proposta alcuna impugnazione avverso detta statuizione del giudice di pace, con la conseguenza che rimaneva fissata, per il Tribunale, la necessità di fare riferimento ai soli criteri di cui all’art. 2043 c.c.”).

Tuttavia, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, affinché possa formarsi il giudicato interno non basta l’omessa proposizione di un motivo di appello sulla questione, ma è altresì necessario che sulla qualifica sia insorta controversia, e che la conseguente definizione giuridica data dal rapporto dai giudici di merito abbia risolto una specifica disputa tra le parti sul punto (in tal senso, Cass., 9 febbraio 1993, n. 1590 e, più recentemente, Cass., 19 marzo 2018, n. 6716, in Giur. it., 2019, 1100 ss., con nota di M. Negri, Appello incidentale condizionato – Corollari non necessitati dell’onere di appello incidentale per il soccombente virtuale).

Nel caso di specie, dalla sentenza del giudice di pace la Cassazione ha evinto che non vi fosse stata risoluzione di una controversia sulla questione della qualificazione, poiché il giudice si è limitato a ritenere la responsabilità del convenuto senza decidere se la fattispecie fosse sussumibile nell’art. 2043 o nell’art. 2052 c.c., per cui non si è formato il giudicato interno e il giudice di appello poteva qualificare la domanda, a prescindere dalle disposizioni menzionate originariamente dall’attore, in base all’art. 2052 c.c.

Nella memoria della controricorrente viene richiamato, per dimostrare la tesi del giudicato interno, il precedente di Cass., 14 ottobre 2022, n. 30294, ma in tal caso, come può leggersi nel testo del provvedimento, “per quanto emerge dagli atti, sull’affermazione dell’esclusiva applicabilità, nella specie, del criterio generale di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. – e non di quello speciale di cui all’art. 2052 c.c. – deve addirittura ritenersi formato il giudicato interno ed essa, per quanto non conforme a diritto […] non può essere rimessa in discussione nella presente sede”. In altri termini, in detto precedente, diversamente dal caso di specie, si dà atto che il giudice di primo grado aveva risolto la controversia sulla qualifica, escludendo quella ex art. 2052 c.c. e riconoscendo quella ex art. 2043 c.c., per cui, in mancanza di impugnazione sulla qualifica, si era effettivamente formato il giudicato interno.

Nel caso di specie, viceversa, sulla qualificazione in termini di fatto illecito ex art. 2043 c.c. non si è formato il giudicato interno, con possibilità per il Tribunale di Macerata di fare corretta applicazione della disciplina di cui all’art. 2052 c.c.: ciò avrebbe condotto all’accoglimento – anziché al rigetto – della pretesa risarcitoria avanzata dall’attrice.

In ordine alla corretta qualificazione da attribuire alla fattispecie occorsa, è opportuno ricordare che nel caso di danni cagionati da animali selvatici, la Suprema Corte ha recentemente affermato – mutando in parte il proprio precedente orientamento, che fondava il titolo di responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. – che “i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell’art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull’utilizzazione dell’animale e, dall’altro, le specie selvatiche protette ai sensi della l. n. 157 del 1992, rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema. Nell’azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell’art. 2052 c.c., la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno” (si tratta del revirement cui ha fatto riferimento il ricorrente nell’articolazione del proprio motivo, espresso da Cass., 20 aprile 2020, n. 7969; Cass., 6 luglio 2020, n. 13848). Secondo il più recente orientamento di legittimità, dunque, il titolo dell’azione esperibile deve essere individuato nell’art. 2052 c.c. e non più nell’ambito della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c.

Correttamente, dunque, il provvedimento in esame ha ribadito che ,in mancanza di giudicato interno, la norma che avrebbe dovuto trovare applicazione è l’art. 2052 c.c., in base all’indirizzo ormai consolidato della Cassazione, cui il Collegio intende dare continuità.

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