La forma della revoca della rinuncia all’eredità
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., Sez. 2 – , Ordinanza n. 37927 del 28/12/2022
SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – Rinuncia all’eredità – Forma solenne – Revoca della rinuncia – Forma solenne – Necessità – Fondamento
Massima: “Nel sistema delineato dagli articoli 519 e 525 c.c., in tema di rinunzia all’eredità, la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati, l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile”.
Disposizioni applicate
Codice Civile, articoli 519 e 525
[1] Per l’aspetto che qui interessa, la sentenza in commento prende in esame il caso di una vertenza nella quale emergeva la necessità di accertare la qualità di erede in capo ad alcuni dei soggetti coinvolti.
In particolare, successivamente all’instaurazione del giudizio di primo grado, due dei convenuti venivano a mancare ed i loro pretesi eredi – nei confronti dei quali il procedimento era stato riassunto – vedevano respinte le loro ragioni. Proponevano dunque appello, eccependo, tra l’altro, la mancanza della qualità di eredi, avendo gli stessi sottoscritto un formale atto di rinuncia all’eredità.
La Corte d’Appello dichiarava inammissibile e al contempo rigettava la domanda, rilevando in particolare che gli appellanti nel primo giudizio si erano affermati chiaramente eredi e avevano posto in discussione la mancanza di prova di tale qualità solo in appello.
L’analisi del giudice di seconde cure si soffermava sulla circostanza che gli eredi, pur avendo evidenziato di aver rinunciato all’eredità del loro dante causa, si erano espressamente riportati alle argomentazioni sviluppate dai rispettivi de cuius, difendendosi dalla pretesa azionata anche nel merito, tanto da concludere in via principale per il rigetto della domanda attrice in considerazione della sua infondatezza e, solo in via gradata, per aver essi rinunciato all’eredità. Tale condotta veniva, dunque, ritenuta incompatibile con la dichiarazione di voler rinunciare all’eredità, configurandosi, in considerazione della revocabilità della rinuncia, come comportamento concludente chiaramente integrante accettazione tacita dell’eredità.
Veniva proposto ricorso in Cassazione, censurando la sentenza di secondo grado nella parte in cui ha ritenuto che i comportamenti tenuti dai chiamati all’eredità rinuncianti integrassero una revoca tacita di detta rinuncia e accettazione tacita dell’eredità.
[2] La Suprema Corte, sebbene con argomentazioni differenti rispetto a quelle della difesa dei ricorrenti, ha ritenuto il ricorso fondato.
Gli Ermellini hanno considerato erronea la valutazione operata dalla Corte di Appello in relazione al comportamento processuale tenuto dai ricorrenti. E non tanto perché la costituzione in giudizio o le domande formulate da soggetti che rivestano la qualifica di chiamati all’eredità non possano comportare accettazione tacita dell’eredità, bensì poiché, nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la revoca della rinuncia è soggetta ai medesimi oneri formali disposti dal legislatore relativamente alla rinuncia di eredità.
Affermano, infatti, che si debba dare continuità al principio di diritto già pronunciato dalla Cassazione, secondo cui “nel sistema delineato dagli articoli 519 e 525 codice civile in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati – l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nel registro delle successioni), con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile”.[1]
[3] La pronuncia in esame fornisce lo spunto per ripercorrere l’istituto della revoca della rinuncia l’eredità.
Come anche si rinviene nel ragionamento della Suprema Corte, qualsiasi valutazione non può non partire dal dettato dell’articolo 519 codice civile, disciplinante la rinuncia all’eredità, per la quale richiede la forma solenne dell’atto ricevuto da Notaio o dal Cancelliere del Tribunale del luogo di apertura della successione.
Attraverso la rinuncia all’eredità il chiamato dismette il diritto di accettarla ed il rinunciante è considerato come se non fosse stato mai chiamato (c.d. effetto retroattivo della rinuncia). Detto effetto, “tuttavia non discende dalla sola rinuncia, ma dall’avvenuto acquisto dell’eredità da parte degli altri chiamati; fino a quando ciò non si verifichi, il rinunziante può sempre esercitare il diritto di accettazione, come è specificato dall’articolo 525 dello stesso codice”.[2]
Tale ultima norma dispone che “fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate dai terzi sopra i beni dell’eredità”.
La ratio di tale previsione viene individuata nella volontà del legislatore di evitare che un patrimonio ereditario venga disperso o rimanga vacante, consentendo al rinunciante di “cambiare idea” ed acquistare l’eredità.
Due sono i presupposti previsti per la revoca in oggetto: (i) che il diritto di accettare l’eredità non si sia prescritto e che (ii) l’eredità non sia stata acquisita da un chiamato in subordine.
Nulla, invece, espressamente dispone il legislatore in ordine alla forma che tale revoca debba rivestire.
Due sono le correnti che al riguardo si sono formate.
Da un lato vi è chi – come la Giurisprudenza di legittimità nella sentenza in epigrafe e negli altri precedenti richiamati – qualifica la revoca come un “atto di secondo grado” rispetto a quello di rinuncia all’eredità; pertanto, in applicazione del c.d. principio di simmetria della forma, il negozio di revoca dovrebbe rivestire la medesima forma prescritta per l’atto cui accede: per poter porre nel nulla un atto formale, è necessario ricorrere ad un negozio che rivesta la stessa forma.
Dall’altro, la dottrina assolutamente maggioritaria[3] ed un diverso orientamento giurisprudenziale sostengono l’ammissibilità di una revoca tacita della rinuncia all’eredità. Innanzitutto, si rileva come, in assenza di una espressa prescrizione del legislatore, debba ritenersi vigere il principio di libertà della forma. Inoltre, si evidenzia come, sebbene la rubrica dell’articolo 525 codice civile utilizzi il termine “revoca”, la figura in esame non configuri una vera e propria ipotesi di revoca. Se così fosse, infatti, in seguito ad essa dovrebbe rivivere la medesima situazione anteriore alla rinuncia all’eredità e, pertanto, il soggetto ritrovarsi nella condizione di mero chiamato all’eredità. Ma così non è: il soggetto attraverso la “revoca” acquista l’eredità. Al di là della rubrica, pertanto, l’ipotesi considerata deve ricondursi ad una ipotesi di accettazione tardiva di eredità e, in quanto tale, non si trova ragione per la quale l’acquisto debba avvenire necessariamente attraverso un negozio a forma solenne: sarà valida tanto un’accettazione espressa e formale quanto una tacita.
Anche la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare che “la rinunzia all’eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell’articolo 525 codice civile e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante (che, nella specie, si era costituito in giudizio, allegando la sua qualità di erede e riportandosi alle difese già svolte dal “de cuius”) sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria”.[4]
Va, infine, precisato come anche a giudizio di coloro che ritengono possibile una revoca della rinuncia attraverso un atto di accettazione tacita dell’eredità, la stessa non potrà mai discendere dall’operare di una delle ipotesi di c.d. accettazione presunta. Tale tipo di accettazione, infatti, discende dalla situazione di possesso giuridico sui beni ereditari, che mai potrà individuarsi in colui che formalmente abbia rinunciato all’eredità, nemmeno nelle ipotesi in cui essa non sia stata ancora acquisita da altro soggetto.
[1] Così Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 3958 del 19/02/2014; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 21014 del 12/10/2011; Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 4846 del 29/03/2003.
[2] Così, testualmente, la Suprema Corte nella pronuncia in commento.
[3] BUSANI, La successione mortis causa, Milano, 2022, pag. 360; COPPOLA, La rinunzia all’eredità, in Trattato delle successioni e donazioni a cura di Bonilini, vol. 1, Milano, 2009, pagg. 1595 ss.; CAMPAGNOLO, Le successioni mortis causa, Torino, 2011, pag. 281.
[4] Così Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 6070 del 18/04/2012. Si veda, altresì, Cass, Civ., Sez. 2, Sentenza n. 16913 del 02/08/2011: “La revoca della rinuncia all’eredità, di cui all’art. 525 codice civile, non costituisce, anche sotto il profilo formale, un atto o negozio giuridico autonomo, bensì l’effetto della sopravvenuta accettazione dell’eredità medesima da parte del rinunciante, il cui verificarsi, pertanto, va dedotto dal mero riscontro della validità ed operatività di tale successiva accettazione, sia essa espressa o tacita”; nonché Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 3457 del 08/06/1984; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 1938 del 14/05/1977: “La revoca della rinunzia all’eredità (art 525 cod. civ.), ricorrendo le condizioni di legge, è un mero effetto della successiva accettazione, anche tacita, dell’eredità da parte del chiamato che aveva rinunciato, non un presupposto di tale accettazione consistente in una specifica volontà di ritrattare la rinunzia, concretizzata in un negozio avente identità di forma con la rinunzia medesima”.
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