La fictio iuris di avveramento prevista dall’art. 1359 c.c. non è applicabile alla condizione potestativa di adempimento
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 17 marzo 2021, n. 7422 – Pres. Armano – Rel. Olivieri
Parole chiave: Contratto – Condizione – Potestativa di adempimento – Mancata esecuzione della prestazione – Avveramento della condizione – Fictio iuris – Esclusione
[1] Massima: In tema di contratto condizionato, il principio secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento non è applicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente a una determinata prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento, come accade quando si sia in presenza di una condizione potestativa di adempimento (in cui l’evento condizionante è rappresentato dall’esecuzione di una o di tutte le obbligazioni scaturenti dal contratto condizionato).
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1218, 1353, 1355, 1359
CASO
Una società agiva in giudizio per ottenere il pagamento di somme dovutele in relazione a lavori di ristrutturazione e di urbanizzazione eseguiti e per fare accertare, nel contempo, l’inopponibilità nei suoi confronti di un contratto di compravendita con cui era stato ceduto a una terza società, anch’essa evocata in giudizio, il patrimonio immobiliare della società convenuta.
In corso di causa, tra l’attrice che aveva proposto la domanda ai sensi dell’art. 2901 c.c. e la terza acquirente veniva raggiunto un accordo transattivo, la cui efficacia veniva condizionata sospensivamente all’esecuzione di tutte le obbligazioni ivi dedotte (più precisamente, al buon fine di quanto pattuito dalle parti), compreso il trasferimento dell’immobile acquistato con l’atto assoggettato a revocatoria in favore dell’attrice.
Quest’ultima impugnava la sentenza con cui, in conseguenza dell’intervenuta transazione, era stata dichiarata cessata la materia del contendere, lamentando, per quanto d’interesse, che il mancato trasferimento della proprietà dell’immobile, sancito dal rifiuto opposto dalla parte tenuta a darvi corso, aveva determinato la definitiva inefficacia dell’accordo transattivo, per effetto del mancato avveramento della condizione sospensiva appostavi; l’adita corte di appello, tuttavia, era di contrario avviso, ritenendo che dovesse reputarsi integrata la fictio iuris di avveramento della condizione prevista dall’art. 1359 c.c. e che la transazione fosse così divenuta pienamente efficace.
La pronuncia di secondo grado veniva impugnata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la pronuncia gravata, affermando che alla condizione sospensiva di adempimento (soprattutto se bilaterale, ovvero riferita agli obblighi discendenti in capo a entrambe le parti del contratto condizionato) non è applicabile la fictio iuris di cui all’art. 1359 c.c.
QUESTIONI
[1] La condizione costituisce un elemento accidentale del contratto, ossia non necessario ai fini della sua validità, ma la cui presenza è rimessa alla libera volontà delle parti, che possono, così, subordinare l’efficacia del negozio all’avveramento di un evento futuro e incerto: in questo senso, la condizione sospensiva impedisce al contratto di esplicare i propri effetti fintanto che essa non si sia avverata, mentre quella risolutiva ne determina il venire meno, in conseguenza del verificarsi dell’evento dedotto in condizione, sicché il contratto si considera come mai venuto in essere (salvo che si tratti di contratto a esecuzione continuata o periodica, nel quale caso, a termini dell’art. 1360, comma 2, c.c., l’avveramento della condizione non ha effetto con riguardo alle prestazioni già eseguite, salvo patto contrario).
La condizione può avere per oggetto l’avveramento di un evento rimesso al caso o all’attività di un terzo, ossia estranei alle obbligazioni dedotte in contratto e alla sfera di controllo delle parti contraenti, posto che la condizione meramente potestativa – ossia subordinata alla mera volontà dell’alienante o del debitore – è da considerarsi nulla (art. 1355 c.c.); non è escluso, peraltro, che l’avveramento dell’evento condizionante sia rimesso a fattori esterni, sui quali, tuttavia, influisce anche la condotta di una delle parti (si tratta della cosiddetta condizione potestativa mista), fino al punto di stabilire che l’evento condizionante sia rappresentato dal concreto adempimento (o inadempimento) di una o di tutte le obbligazioni principali del contratto condizionato (nel quale caso si parla di condizione potestativa di adempimento, rispettivamente, unilaterale o bilaterale).
Secondo le norme che disciplinano la condizione apposta al contratto, in pendenza di essa possono essere compiuti atti conservativi (art. 1356 c.c.) e la condotta delle parti – in particolare, di chi ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva o lo ha acquistato sotto condizione risolutiva – dev’essere improntata a buona fede (art. 1358 c.c.); l’art. 1359 c.c., d’altro canto, stabilisce che la condizione si considera avverata anche se l’evento dedotto non si è verificato per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento.
Nel caso sottoposto al vaglio dei giudici di legittimità, alla transazione novativa conclusa in corso di causa dalle parti era stata apposta una condizione sospensiva avente per oggetto l’attuazione, tra l’altro, dell’obbligazione traslativa posta a carico della società proprietaria dell’immobile acquistato con l’atto assoggettato ad azione revocatoria e si era ritenuta applicabile la fictio iuris di cui al succitato art. 1359 c.c. sulla base dei seguenti argomenti:
- obbligatorietà ex ante della condotta avente per oggetto l’adempimento della prestazione;
- imputabilità del mancato avveramento della condizione sospensiva di adempimento a fatto ascrivibile alla parte debitrice, che aveva tenuto una condotta violativa dell’obbligo giuridico previsto a suo carico;
- assimilabilità all’avvenuta esecuzione della prestazione di tale violazione imputabile alla parte obbligata, con conseguente avveramento fittizio della condizione e piena esplicazione dell’efficacia della transazione novativa.
A queste conclusioni si era giunti ritenendo che la violazione dell’obbligo incombente sulla società tenuta a effettuare il trasferimento dell’immobile integrasse un inadempimento di non scarsa importanza – come tale non rilevante ai sensi dell’art. 1455 c.c. – ed escludendo, nel contempo, che la mancata esecuzione dell’obbligazione dedotta in condizione configurasse un definitivo impedimento del verificarsi dell’evento condizionante.
Rispetto a ciò, i giudici di legittimità hanno osservato, innanzitutto, che dedurre in condizione lo stesso oggetto dell’obbligazione del contratto sospensivamente condizionato comporta che la condotta omissiva della parte cui è rimessa l’attuazione della prestazione dedotta in condizione non può essere fatta coincidere con l’inadempimento colposo sanzionato dall’art. 1218 c.c., proprio in ragione del fatto che il vincolo obbligatorio scaturente dal contratto non è in grado di produrre alcun effetto fintanto che la condizione sospensiva non si sia avverata; se così non fosse, si verrebbe a sovrapporre totalmente il mancato avveramento della condizione potestativa (che prescinde dall’elemento soggettivo della colpa) con la violazione del dovere di diligenza nell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale.
La mancata attivazione della parte cui è rimessa l’esecuzione della prestazione (ossia l’avveramento della condizione sospensiva potestativa), quindi, non può considerarsi attività vincolata da un obbligo legale o negoziale suscettibile di essere violato, in quanto avente titolo in un contratto sospensivamente condizionato e, come tale, attualmente inefficace e improduttivo di effetti.
Così, in presenza di una condizione di adempimento (qualificabile come condizione potestativa semplice e non meramente potestativa, dal momento che la scelta di non eseguire la prestazione compiuta dalla parte tenutavi risponde pur sempre a un suo interesse, comportando una valutazione dei sacrifici e dei vantaggi che l’inefficacia del contratto determina nella sua sfera giuridica), va esclusa in radice l’applicabilità della norma di cui all’art. 1359 c.c.
Infatti, posto che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la fictio iuris ivi delineata non è invocabile quando la parte tenuta condizionatamente a una determinata prestazione abbia anch’essa interesse al suo avveramento, non è ravvisabile, in simile evenienza, una posizione antagonista della parte cui è imputabile la condotta ostativa all’avveramento dell’evento condizionante rispetto all’interesse dell’altra al suo accadimento, soprattutto se – come nel caso di specie – si sia in presenza di una condizione di adempimento bilaterale (cioè riferita alle reciproche obbligazioni di entrambe le parti aventi titolo nel contratto condizionato), che impedisce di ravvisare una posizione favorevole di una parte e sfavorevole dell’altra rispetto all’avveramento della condizione.
D’altra parte, rispetto alla mancata esecuzione dell’attività inerente alla prestazione dedotta in condizione, non è dato compiere alcuna verifica circa la legittimità o meno del rifiuto della parte ad acconsentire all’avveramento della condizione sospensiva (come invece richiesto dall’art. 1359 c.c., tenendo conto del principio in base al quale l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto costituisca oggetto di un obbligo giuridico): infatti, la fictio iuris di avveramento della condizione – che risulti impedita per fatto imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento – trova applicazione nella sola ipotesi di condizione causale (il cui avveramento, cioè, sia rimesso al caso o alla volontà di terzi) o mista (il cui avveramento dipenda, invece, in parte dal caso o dalla volontà di terzi e in parte da quella di uno dei contraenti), ma non quando, in presenza di una condizione (non meramente) potestativa, la violazione di un obbligo di non impedire l’evento non sia configurabile.
Nella fattispecie esaminata dai giudici di legittimità, dunque, al mancato definitivo adempimento della prestazione dedotta in condizione sospensiva potestativamente rimessa alla parte che si era rifiutata di eseguirla, era conseguito il definitivo mancato avveramento della condizione medesima e, così, l’inefficacia retroattiva della transazione conclusa in corso di causa; ciò in quanto all’oggettiva definitività dell’impossibilità di avveramento della condizione, sancita dal rifiuto di adempiere manifestato dalla parte chiamata ad attuare potestativamente l’evento, corrispondeva l’irrevocabile venire meno dell’interesse delle parti alla perdurante e definitiva efficacia dell’accordo transattivo.
Venuto meno quest’ultimo, difettava, dunque, il presupposto in forza del quale era stata dichiarata la cessazione della materia del contendere, motivo per cui la sentenza è stata cassata con rinvio, perché la causa venga decisa nel merito.
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