La domanda di voltura catastale di un immobile caduto in successione non comporta accettazione tacita dell’eredità. Un revirement della Cassazione?
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione 6, Ordinanza n. 32770 del 19/12/2018
SUCCESSIONI – ACCETTAZIONE DELL’EREDITÀ – MODI – TACITA – Comportamento del successibile – Necessità – Voltura catastale – Conseguenze.
L’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso (in considerazione delle peculiarità di ogni singola fattispecie, e tenendo conto di molteplici fattori, tra cui quelli della natura e dell’importanza, oltreché della finalità, degli atti di gestione), e non è censurabile in sede di legittimità, purché la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o da errori di diritto.
Deve sì essere valutata l’indubbia rilevanza presuntiva di denuncia di successione e (soprattutto) voltura catastale, ma alla luce e nell’ambito del complessivo comportamento del chiamato e considerato che la voltura catastale non integra incondizionatamente gli estremi di un’accettazione tacita dell’eredità efficace ad ampio spettro soggettivo
Disposizioni applicate
Codice Civile, articoli 476 e 519.
[1] Tizio e Caio citavano Sempronio innanzi al Tribunale di Siena, chiedendo di essere riconosciuti eredi della loro defunta madre, Mevia, con conseguente condanna della convenuta a restituir loro una somma di denaro, dalla medesima convenuta incassata quale presunta erede della de cuius; chiedevano altresì farsi luogo alla divisione di un immobile di proprietà per pari quote della de cuius e di Sempronia.
Sempronia instava per il rigetto dell’avversa domanda; chiedendo in via riconvenzionale di accertarsi che gli attori avevano rinunciato all’eredità materna con atto pubblico del 1997 e che ella convenuta era l’unica erede in virtù di accettazione con beneficio d’inventario effettuata nel 2002.
Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda degli attori dichiarandoli eredi di Mevia, e condannava la convenuta alla restituzione della somma.
Sempronia proponeva appello, che veniva accolto dalla corte d’appello di Firenze.
In particolare, la corte ha ritenuto che la dichiarazione di successione e la richiesta di voltura catastale dell’immobile ricompreso pro quota nell’asse ereditario, cui Tizio e Caio avevano atteso nel corso dell’anno 1993, in quanto atti da compiere in via obbligatoria, non valevano senz’altro ad integrare gli estremi dell’atto presupponente necessariamente la volontà di accettare l’eredità ai sensi dell’articolo 476 c.c.. Esplicitava, inoltre, che in ogni caso tale postulato si giustificava alla stregua della valutazione del comportamento complessivo egli stessi; che invero si erano limitati alle uniche due surriferite incombenze e per almeno dieci anni mai avevano posseduto o rivendicato beni ereditari e, per giunta, avevano rinunciato espressamente, nel 1997 e nel 2002 – in tale seconda evenienza nell’interesse delle rispettive figlie – all’eredità materna.
La Corte d’Appello concludeva quindi che, alla luce della valutazione della condotta complessiva delle chiamate, la volontà di rinunciare all’eredità risultava “”prevalente” rispetto all’efficacia ex articolo 476 c.c. di denuncia di successione e voltura catastale”.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso Tizio e Caio, denunciando ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 476 e 519 c.c. deducendo che, alla stregua dell’elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte, la voltura catastale – a differenza della denunzia di successione, atto avente unicamente valenza fiscale – ha senza dubbio valenza civilistica e dunque costituisce atto di accettazione tacita dell’eredità e che, in dipendenza del compimento di un atto valido quale accettazione tacita dell’eredità, la successiva rinuncia doveva essere considerata assolutamente inefficace in virtù del principio semel heres semper heres.
[2] La Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato, respingendolo.
Nella motivazione si legge che la Corte spiega da tempo che l’indagine relativa alla esistenza o meno di un comportamento qualificabile in termini di accettazione tacita, risolvendosi in un accertamento di fatto, va condotta dal giudice di merito caso per caso e non è censurabile in sede di legittimità, purché la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o da errori di diritto.[1]
E così è stata ritenuta la sentenza di secondo grado, sorretta da un iter motivazionale assolutamente congruo ed esaustivo ed in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica, essendo stato sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, ovvero provvedendosi al riscontro della valenza del complessivo comportamento tenuto da Tizio e Caio.
La Suprema Corte precisa, poi, per quanto più strettamente di interesse nella corrente sede, che l’elaborazione della Corte medesima ha puntualizzato che la voltura catastale non integra incondizionatamente gli estremi di un’accettazione tacita dell’eredità efficace ad ampio spettro soggettivo, richiamando la precedente pronuncia del 06/04/2017, ove si statuiva che “l’accettazione tacita di eredità – pur potendo avvenire attraverso negotiorum gestio, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l’altro chiamato all’eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del de cuius”.
[3] La decisione della Suprema Corte sembra, dunque, porsi in contrasto con l’orientamento sino ad oggi prevalente della stessa, orientata verso il riconoscimento alla voltura catastale di atto comportante accettazione tacita dell’eredità sulla base dell’assunto che “soltanto chi intenda accettare l’eredità assume l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio della proprietà dal “de cuius” a sé stesso”. [2]
Appare opportuno chiarire come il nostro ordinamento non preveda l’acquisto automatico dell’eredità in capo ai chiamati, ma, ai sensi dell’articolo 459 c. c., che l’eredità si acquisti con l’accettazione.
Sotto il profilo della volontà del delato, l’accettazione potrà essere espressa o tacita o, ancora, presunta. Non si può nascondere come, tuttavia, l’uomo comune ignori tale aspetto e si consideri erede per il solo decesso del de cuius, con la convinzione di dover esclusivamente adempiere a quelli che, in realtà, sono obblighi di carattere fiscale per “completare” gli orpelli burocratici necessari per divenire erede. Solo nel momento in cui viene contestata (in un senso o nell’altro) la qualità di erede che ci si preoccupa di rivolgersi ad un professionista che possa individuare gli elementi che portano a riconoscere od escludere la predetta qualità.
Quando il soggetto si vede contestata la qualità di erede da altri che pretendono di vantare diritti sull’eredità, si vorrà essere rassicurati sull’aver già acquisito tale qualità pur in assenza del compimento di un espresso atto di accettazione. Quando viceversa si dovesse esser chiamati a rispondere di debiti ereditari di cui si ignorava l’esistenza, si avvertirà l’esigenza di poter escludere l’acquisto della qualità di erede.
Tra gli atti che più sono stati oggetto di dibattito circa i loro effetti, si rinvengono la dichiarazione di successione e la domanda di voltura catastale degli immobili appartenenti al de cuius. In merito alla prima ipotesi, pacifica è ormai l’esclusione dal novero degli atti che possano comportare accettazione tacita. Opinioni diverse, invece, si rinvengono in merito alla seconda.
La posizione “tradizionale” della Cassazione veniva osteggiata da gran parte della dottrina ed alcuni pronunciati di merito, con argomentazioni che paiono condivisibili.
Innanzitutto, si rileva come colui che presenta la dichiarazione di successione debba provvedere (ai sensi degli articoli 3, comma 2 e 12, D.P.R. n. 650/1972) alla voltura catastatale entro il termine di 30 giorni dalla registrazione della dichiarazione di successione (in caso di mancato adempimento entro tale termine, viene irrogata una sanzione). Tale obbligatorietà, come evidenziato anche da una recente pronuncia di merito, “collide con il carattere necessariamente volontario dell’atto presupponente l’accettazione tacita, a norma dell’articolo 476 c.c..”[3]
Si evidenzia, poi, come la presentazione della dichiarazione di successione e, conseguentemente, la voltura catastale siano in realtà richieste anche al semplice chiamato all’eredità. Non solo l’erede, pertanto, può procedere alla voltura catastale; anzi, anche il mero chiamato dovrà (non solo potrà) procedervi. Orbene, ciò appare esulare dall’ambito applicativo dell’articolo 476 c.c., laddove si prevede che l’accettazione tacita consegua al compimento di un atto che il soggetto “non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.
Queste argomentazioni non sono state, invero, fatte proprie dalla Cassazione nella sentenza epigrafata, limitandosi la Suprema Corte a richiamare un precedente del 2017 (sopra riportato) in realtà non decisivo. In tale sentenza, infatti, si escludeva che la domanda di voltura non implicasse accettazione tacita dell’eredità per colui che non l’aveva firmata, salvo che costui l’avesse poi successivamente ratificata. Ma ciò è logico: una domanda presentata da un terzo giammai potrebbe comportare conseguenze giuridiche in capo a colui che poteva anche ignorarne l’esistenza.
La recente pronuncia, dunque, si apprezza più per l’affermazione in essa contenuta che “la voltura catastale non integra incondizionatamente gli estremi di un’accettazione tacita dell’eredità”, piuttosto che per il ragionamento giuridico alla base di essa e si auspica che la Suprema Corte, nel futuro, prenda spunto da quest’ultimo pronunciato per ampliare il ragionamento, magari facendo proprie le obiezioni in passato sollevate dalla dottrina.
[1] Cass. Civ., sentenza n. 12753 del 17/11/1999
[2] In tal senso, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 5226 del 12/04/2002.
Si vedano, inoltre, tra le molte: Cass. Civ. Sez. 2, Sentenza n. 10796 del 11/05/2009, a giudizio della quale “L’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare; ne consegue che, mentre sono inidonei allo scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile”; Cass. Civ., Sez. 6, Ordinanza n. 22317 del 21/10/2014; Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 7075 del 07/07/1999.
[3] Tribunale di Busto Arsizio, sentenza del 27 settembre 2018
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